Alfabeta - anno VI - n. 61 - giugno 1984

Il senso della letteratura / 7 Esemp~i IQtomatici Q uale è il senso della letteratura: della poesia, della prosa e anche della critica oggi? Se ne parla di nuovo da più parti: sui quotidiani e sui mensili, e anche su riviste con ambizione di maggior rigore e durata. Si ha l'impressione che dopo l'inesauribile discutere e, in parte, discutersi addosso degli anni sessanta, e dei primissimi anni settanta (in cui si era arrivati a dire tutto e il contrario di tutto sull'argomento, e in cui, dopo un affievolirsi e quasi prostrarsi della discussione durata circa un decennio, poeti e narratori hanno prodotto opere anche importanti che talvolta hanno smentito gli enunciati di poetica a suo tempo espressi, mentre i critici e i • saggisti hanno operato generalmente con più rigore in rapporto alle loro proposte nell'ambito della Neoavanguardia, o dello Strutturalismo linguistico, o della Semiologia, o più generale della Nuova Critica), si ha dunque l'impressione che qualcosa abbia ricominciato utilmente a muoversi nella discussione, ai suoi diversi livelli. Naturalmente le cose non sono uguali a prima: anche se, nei tempi lunghi, la discussione sul senso della letteratura pare avere impostato una volta per tutte le sue grandi linee fino dai primissimi lustri del secolo, con solo innumerevoli variazioni marginali nei successivi decenni, ma senza avere alla fin fine mutato il conto finale del dare/avere nei suoi diversi ambiti, neanche ora che il secolo comincia a declinare. Il divorzio di fondo tra il senso della lingua letteraria (poetica, narrativa, critica, ecc.) e quello della comunicazione pratica, economica, sociale, politica, ecc. - che fino dalle prime e ormai lontane rotture del tempo delle Avanguardie Storiche era stato sancito nelle sue diverse forme, determinando poi, successivamente, gli anni trenta con la crescita della nuova poesia e del rinascente romanzo italiano di fronte alla retorica e al populismo del regime in vistosa affermazione, e poi nell'opposizione più radicale della successiva stagione dell'Ermetismo all'impero fascista degli anni quaranta -, questo divorzio non avrebbe mancato di ricostituirsi dopo il crollo del regime. Questo, nonostante la breve illusione postbellica, in base a cui si era sperato di veder coincidere la lingua del Neorealismo e dell'Impegno con quella della comunicazione pratica e politiça, comunque diversamente articolata e finalizzata da parte del nuovo Potere democratico. Quest'ultimo, con le Sl!efinalità di gestione, ora governative e riformiste, e ora di più radicale opposizione, ora di prevalente conservazione e ora di apertura verso le istanze di ceti e classi emergenti, non avrebbe infine mancato di considerare la lingua della letteratura come un corpo comunque diverso o estraneo, come una sovrastruttura da controllare, da esorcizzare o reprimere; da tenere comunque in libertà vigilata sui giornali, nei mass-media, nella scuola e nell'Università, e in tutti i luoghi in cui. insomma, le due diverse lingue e intenzionalità si trovavano a confrontarsi. La lingua della letteratura non avrebbe peraltro mai rinunciato alle sue istanze prima di tutto espressive, liberatrici e formatrici; a sentirsi protagonista e volersi struttura comunque autonoma, portante e determinante, di quegli stessi eventi di cui il metalinguaggio del Potere si sarebbe fatto, a sua volta, gestore, organizzatore, e più o meno aperto normalizzatore. Di qui l'equivoco, a volte anche molto fertile, in base a cui la lingua della letteratura - protagonista nel suo ambito poetico, narrativo e, infine, anche saggistico e critico - avrebbe espresso l'evolversi di una società paleoindustriale e fino a poco fa ancora contadiaveva creduto di esorcizzare le pressioni crescenti della società industriale e delle sue tecnologie avanzate, mimandone stilisticamente i modi e le immagini fino allo stravolgimento, contestandone gli istituti con l'eversione e la decomposizione dei relativi linguaggi fino alla loro quasi polverizzazione, eccola ora procedere in relativo silenzio, e con progressivi aggiustamenti e assestamenti, eccola procedere alla ricostruzione e ricostituzione dei propri diversi livelli e spessori, non più operando la prosa» ha tenuto bene aperto il rapporto fra il basso e l'alto della lingua poetica negli anni settanta; o come il nichilismo metafisico dell'ultimo Caproni, che ha tenuto ugualmente aperto il rapporto verbale fra la sua aderenza alle cose e il suo verticistico annullarsi nella caccia a un divino arduo e inafferrabile; o come, nell'ultimo Betocchi, il sentimento cristiano che si trasforma in un continuo battere alla porta di un Dio che non risponde, che addirittura volta le spalle. A.Chinici, sipario del Teatro Comunale R. Valli a Reggio Emilia na, come era quella italiana, in una società industriale relativamente avanzata o matura, dove avrebbero dilagato le nuove tecniche, e in cui si sarebbero affermate le nuove culture antropologiche, sociologiche, psicologiche, le poetiche di Sperimentalismo e Neoavanguardia, lo Strutturalismo linguistico, la Semiologia, la Nuova • Critica, ecc. La lingua letteraria avrebbe così continuato a vivere autonomamente anche qui il divorzio sancito tanti decenni avanti nei confronti di quella del Potere politico, a sua volta in evoluzione nelle sue diver- / se sedi istituzionali, nella scuola,. nei mass-media, sulla stampa, ecc., suscitando un reciproco e indiretto giuoco di avvicinamento e divaricamento, di relative collusioni e seduzioni, o di più radicali ripulse. E eco allora, nel giuoco di questo pendolo in inesausto moto, la lingua letteraria, che negli anni sessanta e primi settanta esclusivamente nel senso dello straniamento, o del nonsenso comunque estremizzato o contestativo. Semmai procedendo alla ricostituzione e riorganizzazione autonoma di un'espressività formalizzata che, alla fine e nei tempi lunghi, avrebbe anche potuto aspirare a ridivenire mediatamente e, magari. ironicamente e simbolicamente comunicativa. Il pendolo della lingua poetica e il senso della letteratura, insomma, dopo gli anni «di piombo» del divorzio assoluto o tendenzialmente assoluto nei confronti del reale e del suo non utopico rappresentarsi, aveva ricominciato a muoversi e a modificarsi. Certo con modi trasposti, impliciti, magari anche ironici o grotteschi, verso una ricostituzione simbolica, o leggendaria, o avventurosa, o favolosa dei propri sensi o oggetti. Vogliamo registrarne qualche segno, diciamo così, sintomatico o esemplificativo? Come, ad esempio, la tarda poesia satirica e diaristica di Montale, che «simulando Come ancora, in Bertolucci, l'attraversamento poetico della nevrosi fra informale e sperimentale degli anni settanta, fino alla ricomposizione polifonica del poema o romanzo in versi; o come, in Sereni, sia rimasto aperto, fino alla fine, il rapporto ben vivo fra la progettualità della sua poesia e la sua ricerca di una musica atonale; o come, in Luzi, la tensione animistica del verso abbia saputo del pari salvaguardare una sua verticalità goticizzante e una sua dimensione altamente dialogica e infine anche scenica. Sono solo esempi, naturalmente; e altri sintomatici se ne potrebbero indicare fra gli scrittori maturi: nella intellettualissima messa in rapporto, nella poesia di Bigongiari, delle sorgenti ermetiche con le successive risultanze semiche e di «phoné»; o in quella di Fortini, del suo forzare drammaticamente il divario fra la totalità dell'utopia J!edagogica e la riduzione della relativa musica; o in Bassani il dimensionamento, a sua volta, della originaria scansione e suggestione romanzesca nella nuda lapidarietà del verso. E, continuando a indicare esempi sintomatici in altri ambiti generazionali, si metterà prima di tutto l'accento sull'alto e il basso, sulla lingua materna o ~petel:.., che non esclude l'ardua doratura dolomitica dell'inno, nella grande trilogia del bosco di Zanzotto; o il modo in cui il racconto autobiologico si apre, nell'ultima poesia di Giudici, all'intemporalità quasi romantica di un canto di più vaste risultanze; o come, in Sanguineti, il voluto sconcerto di un'iniziale distorsione provocatoria si sia via via mutato nella comunicatività ironica, diaristica o grottesca dei suoi recenti versi; o'come !'«alto stile» originario di Maria Luisa Spaziani si sia più tardi mutato in un più dolente e reagente «transito con catene». Come ancora, in Raboni, la poesia metropolitana abbia scavato, nel fondo del suo inferno, una sua grave e sospesa musica atonale; o come, all'opposto, in Porta l'iniziale volontà di sfida combinatoria si sia mutata nella comunicatività di un sentimento pieno, aperto e vitale; come infine, in Amelia Rosselli, l'ossessione drammatica della storia sia divenuta inesausta e visionaria storia interna di una nevrosi. Per non parlare delle· emergenti maturità di chi si è presentato di là del terremoto nichilistico degli anni settanta: da Bellezza, a Cucchi, a Conte, a Viviani, a De Angelis, a Biancamaria Frabotta, a Magrelli, ecc. 11 catalogo potrebbe continuare, dimostrando come il giuoco di avvicinamento e di ripulsa fra il senso e la lingua della letteratura e quello della vita tenda ora a ricomporsi al di là delle troppo semplificate e estremizzate idiosincrasie degli anni settanta. Non è un caso che anche i critici e i saggisti che più avevano puntato sullo straniamento linguistico della letteratura, sull'analisi messa a fuoco prima di tutto sui suoi significanti, abbiano reintrodotto, in vari modi, e in certi casi in modi persino sorprendenti, elementi aggreganti di significato. Come Agosti o Gramigna che adducono referenti psicoanalitici in una lettura semiologica; come Segre, che ha allargato con gran strumentazione il volano dell'analisi dei segni letterari con quello della filologia da cui proviene e quello della narratologia a cui infine perviene; come Maria Corti, che pesca nel concreto della lingua d'uso quanto rinnova vivacemente il sangue e il senso della «langue» letteraria; o come Eco che - non meno di Calvino che ha traversato con fantasia esemplare tante esperienze - ha trovato, nel molteplice spessore combinatorio della forma del romanzo, la soluzione figurata alle . infinite trasparenze e stratificazioni dei segni. Insomma, il senso caleidoscopi- 'O co della letteratura e, con esso, la e:: tavola dei valori letterari hanno ri- -~ preso a muoversi: Ne è certamen- ~ te parte, in questa stessa sede (Al- ~ fabeta n. 57, febbraio 1984), il ri- -. collegarsi di Leonetti ai moduli di ~ un espressionismo linguistico in -~ senso lato continiano, combinato 0-0 -. con altri successivi apporti (e pro- 'O babilmente il magistero ora alto e t: distaccato di Gianfranco Contini ~ presiede involontariamente, e magari a contraggenio, su molto di -0 ~ e::

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==