trasforma lo specchio in uno strumento di predazione, di cattura, di rapina fraudolenta, S porgendoci dall'una e dall'altra parte, sulla miseria di Narciso come sulla ricchezza di Dioniso, non incontriamo tuttavia che apparenza; e questo riflesso cangiante, questa fragile scrittura stesa sul vetro e sull'acqua, ha finito per segnare l'unica strada che Narciso si è trovata davanti. Tanto che possiamo indicarla col nome di destino, come lo è stato in effetti il suo destino, a cui il Narciso moderno, che ora chiamiamo apertamente l'uomo moderno, non ha potuto sottrarsi. Forse in verità non lo ha mai accettato; sovente lo ha anche parodiato; tuttavia, malgrado i soprassalti di comprensibile nostalgia, non ha mai tentato con decisione un improbabile ritorno indietro, verso quel mondo sostanziale da cui già il Narciso di Antiochia, di Ovidio e di Pompei aveva distolto lo sguardo. E se nel corso del lunghissimo intervallo si sono inaridite le fonti, al loro posto si sono moltiplicati gli specchi e, ancor più di quelle lastre artigianali di cristallo col rovescio di stagno e di argento, ai nostri giorni si sono moltiplicate le sue estensioni tecnologiche. La foto, il cinema e la televisione, questi specchi «dotati di memoria», disseminandosi su ogni punto della sfera rotante, si sono consociati per allestire sopra il palcoscenico del mondo una smisurata «camera di specchi» che ha avuto la forza di trasformare il pianeta in una translucida e scorrevole apparenza. Non solo ogni singola presenza, frazionandola e addizionando contemporaneamente ciascun frammento così ottenuto, pietra, onda, albero, sogno, edificio, animale, donna, oggetto, macchina, utensile, uomo, nuvola, fantasma, ma pure la sua sintesi globale: l'immagine planetaria della Terra, comprimendola dentro lo spazio di un fotogramma. Con simile exploit siamo stati posti di fronte a una straordinaria novità, non solo, ma anche a un 'immagine impensabile per qualsiasi uomo antico, cui è ragionevole relegare lo stesso uomo moderno che sta alle nostre spalle e che noi medesimi siamo stati fino a ieri. In questa immagine istantanea e globale che segna, dopo quello dell'uomo, l'ingresso della Terra nel suo «stadio dello specchio», è forse giusto intraredere - con «tremore e timore» misto a un sentimento di attesa - il profilo, l'ombra almeno di Dioniso eclissatosi per così tanto tempo dal nostro orizzonte? Ciò presupporrebbe che il presente «stadio dello specchio» della Terra, se non coincidere, corrisponda, richiami per lo meno, pur in una configurazione attenuata, lo specchio di Dioniso, annunciandone il ritorno. Lo specchio innalzato dalla tecnica avrebbe dunque finito per trovare riscontro con lo specchio magico del dio, con lo specchio che in un tardo bassorilievo una nutrice inginocchiata presenta al fanciullo divino, e con quello che nei racconti orfici gli porgono due giganti che hanno i volti paurosamente impiastricciati di terriccio bianco? In modo significativo lo specchio, che i misteri pongono accanto a un gruppo di giocattoli infantili, appare unicamente all'inizio della storia di passione e di trionfo del dio, simile a un esordio che ne contrassegni in cifra le fondamenta e il senso. P er rispondere all'interrogativo che ci siamo posti e non farsi abbagliare dall'apparenza, non occorre procedere a un inventario del mondo dell'apparenza medesima, enumerare tutto ciò che fa mostra di sé dentro lo specchio odierno. Non saranno né i mostri né le abominazioni né gli orrori e neanche gli splendori che pure vi si affacciano in misura diseguale e variabile, a tenere indietro il dio. Per arrivare a una risposta sarà bene esaminare quali cammini sono stati percorsi per costituire l'uno e l'altro specchio, quello di Dioniso come l'attuale specchio del mondo. In Dioniso il cammino si presenta sempre accidentato, violento, drammatico, come lo esprime il «gettarsi dentro» del commento di Proclo e il «tenersi dietro» di Olimpidoro. Ogni volta l'immagine che il dio bambino pone nello specchio si rovescia nell'immagine totale del mondo, mediante un atto creativo compiuto dal dio stesso (Proclo) o mediante uno smembrarsi, un farsi a pezzi, un divenire plurale del dio medesimo (ancora Olimpidoro). È sempre attraverso percorsi dinamici, dove il volto dell'uno divino si risolve nel volto divino del tutto, che si forma lo specchio di Dioniso. Non per queste ma per opposte strade si è costruito l'odierno specchio della Terra, che riproduce dentro di sé tutto quanto sta fermo, si muove e sogna, comprese le nostre silhouettes temporaneamente immobili. L'ingordigia, la dispotica avidità di dominio ha avuto una parte preponderante; e l'immagine che ci viene infine restituita in permanenza, nel suo collage di frammenti o nel suo risultato globale, rimbalza verso di noi, non nella tensione, ma nella passività del nostro sguardo. Essa ritorna a noi o come censimento di ciò che si possiede e che si desidera possedere oppure come spettacolo, dissipazione, sede dell'ecumenico parassitismo, o come quadro di controllo planetario oppure come diversivo, falso scopo, distrazione rumorosa. Il fatto è che, se lo specchio a nostra disposizione si configura all'esterno ampio e sovraffollato come quello di Dioniso, lo sguardo che vi gettiamo sopra si presenta ancora di stampo narcisistico. Chi fa da guida a questo sguardo non è certo il Narciso classico che, per quanto in fondo all'acqua della fonte pesca la propria morte, la pesca pur sempre attraverso un moto d'incantamento e di amore verso se stesso e la propria immagine. Il nostro è uno sguardo stanco e disamorato che ha percorso una lunga strada, durante la quale ha avuto tutto il tempo per barattare quel fresco stupore in assuefazione e quell'antico ardore in estraneità, distanza, risentimento, ostilità, se non in odio manifesto. Si direbbe piuttosto che riportiamo sullo specchio della Terra lo stesso sguardo con cui le ultime, grandi incarnazioni di Narciso, nel momento del tramonto del moderno, hanno osservato con sgomento la propria immagine che gli rimandava lo specchio. e osì, in questa non improbabile consonanza, per sapere con maggiore penetrazione qualcosa del nostro difficile oggi, ci volgiamo una volta di più a Cézanne, Ensor, Munch, Van Gogh, e alla galleria dei loro ammirevoli autoritratti, dove l'adolescente che fu tanto bello da infiammare le ninfe ha ceduto il posto a uomini maturi e non affatto amabili. Si vede che il moderno ha posseduto anche il solvente capace d'invecchiare e di guastare Narciso. L'evento capitale che registra la corona di questi volti assomiglia a una nera metamorfosi: la trasformazione del se stesso familiare riflesso sopra lo specchio in un estraneo portatore soltanto di perturbamenti e di minacce. Alla fine della sua parabola, in queste tarde e logorate personificazioni, Narciso ha cessato di riconoscersi nello specchio, come noi oggi non arriviamo a riconoscerci nello specchio plenario del mondo. Di questo estraneo, come Cézanne ne diffida e se ne difende, Munch se ne spaventa quasi si troGiorgio De Chirico, bozzetto per siparietto di Apollon Musagète, 1955-56, Milano, Teatro alla Scala vasse di fronte a un fantasma, Ensor ne fa la parodia - come farà più tardi, nella sfilata dei suoi travestimenti, il De Chirico scomposto e senile-, Van Gogh, mentre grida al soccorso, sta per scagliarglisi contro, così noi, nel vuoto odierno, nei confronti di questo estraneo diventato al nostro sguardo l'immagine globale della Terra, stiamo tracciando somiglianti gesti fatti di sospetto, di paura, di aggressione, di scherno. Dal momento che, invece della dimora comune, vi riconosciamo il luogo dell'estraneo, la fortezza temibile dell'altro, il bunker dell'avversario. Con la somma di questi diversi comportamenti, la distruzione e l'autodistruzione si confermano come sempre latenti possibilità di qualsiasi «stadio dello specchio» vissuto narcisisticamente. Così, in questa cupa emergenza, ci troviamo di fronte a una scelta simile a una tentazione: o mandare in mille pezzi lo specchio del mondo che ci si para davanti oppure stringere assieme i frammenti per mezzo di una forza legante che può essere fornita soltanto dall'erotismo. Nella seconda ipotesi, bisognerà che ci volgiamo indietro poiché, . allora come ora, esattamente come accade nella classica scena di Narciso, Dioniso sta nascosto in un canto dietro di noi. Seduto sul trono, da sempre, come lo raffigura la sua scena trionfale, Dioniso puerile guarda lo specchio tenendo il sesso gonfio, virilmente eccitato. Testo de/l'intervento di Alberto Boatto al convegno « Fa/lit imago. Meccanismi, fascinazioni e inganni dello specchio», tenuto a Ravenna, nelle sale di Palazzo Corradini, nel novembre '83. Gli atti del convegno saranno pubblicati dall'editore Longo di Ravenna.
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