Alfabeta - anno VI - n. 61 - giugno 1984

che di apprensione e classificazione del reale, portandolo, in un crescendo di nausea, verso la conoscenza/sperimentazione della «nuda esistenza»: io esisto immerso nelle cose, sono essere. Roquentin si dibatte afferrato dalla gratuita presenza dell'essere e dai ritorni di nausea, fino alla brusca rivelazione che le due cose vanno insieme, che la Nausea è «l'accecante evidenza dell'essere». Quando, nel Giardino pubblico, «il velo si strappa», questo «disvelamento dell'esistenza» è anche assimilazione della Nausea all'essere: «La Nausée ( ... ) c'est moi». Come per Lévinas, la coscienza dell'essere è insieme rifiuto dell'essere, impossibilità di essere ciò che si è, tendenza al superamento e impossibilità di superarsi; e, come per Lévinas, «ça pèse lourd sur votre coeur comme une grosse bete immobile». Vischiosa, in Sartre, l'esistenza non inchioda ma inghiotte: Roquentin si sente affogare in questa «enorme presenza» che è una confiture, una ignoble marmelade, un affalement gelatineux. Ma può solo avere la Nausea: evadere non è possibile - «l'existence est un plein que l'homme ne peut pas quitter». L'attimo di perdita di sé, l'orribile estasi che egli vive di fronte alla radice del castagno, lo fa sprofondare ancor più nell'essere: è regressione nell'indifferenziato, abolizione dello scarto tra existant e existence. Al di fuori dell'essere Roquentin non può che vaghegO sservando il Narciso del Caravaggio e l'Autoritratto allo specchio convesso del Parmigianino non tardiamo a convincerci che è da questo giovinetto che abbiamo ricevuto lo spec~hio; è dalle sue mani che è stato trasmesso a noi in eredità. Anzi l'impressione di esclusività e di possesso che riesce a comunicarci va ancora più in profondo; forse possiamo esprimerla dicendo che, nel corso del moderno, lo specchio è stato da Narciso addirittura posto sotto sequestro. Lo conferma il fatto che, nel nostro curvarci sopra qualsiasi superficie riflettente, non veniamo mai neppure sfiorati dal ricordo e dal brivido che una figura ben altrimenti più potente di questo giovinetto potrebbe disporsi al nostro fianco e guidarci mentre ci specchiamo. Questa figura in ombra, provvisoriamente rimossa fino ai margini della cancellazione, nasconde quella di Dioniso e col dio dell'apparenza e dell'ebbrezza un uso tutto diverso dello specchio. , Così, e in maniera sorprendente, mentre nella non breve stagione ellenistica, che dà la sua estenuata impronta all'intero classicismo, un dio mirabile e un adolescente sdegnoso si contendono in segreto il dominio dello specchio, sulla soglia del moderno, nell'età mamenst1ca del Parmigianino, qì:tdiò éontrasto sembra concludersi con la vittoria riportata dall'adolescente sopra il dio. Non senza un sospetto d'inganno, l'enigmatico signore dei misteri e delle iniziazioni si ritira nel silenzio e nell'oscurità, mentre la polvere dell'oblio sembra spegnere definitivamente il provocante scintillio del suo specchio. Tuttavia è solo a patto di trasformarsi, di radicalizzare il suo profilo che il giovinetto è arrivato a strappare simile vittoria, sicché il giare l'alterità della forma geometrica e della frase musicale, che per altro la scrittura sartriana assume in maniera assai più problematica. È comunque in questa direzione, pensando alla creazione artistica, che nell'ultima pagina del diario il personaggio della Nausée sognerà una qualche salvezza, una possibilità di «lavarsi dal peccato di esistere». Lf incontr~ tra Sar_tree ~évinas avviene e s1 mantiene sul terreno· dell'«antico problema dell'essere in quanto essere», che entrambi sentono l'esigenza di rinnovare. Di evasione non si parla nella Roni Kopels, sipario alla greca e (a destra) sipario alla tedesca o a ghigliottina Nausée, né di spinta a 'uscire'. Sartre postula invece un'ambiguità del soggetto che mentre subisce la fascinazione dell'inerte e partecipa in qualche modo della sua natura, è al tempo stesso capace di autoriNarciso moderno, che si forma nella torbidezza e nella inquietudine del manierismo, si rivela nella sostanza molto distante dal Narci- .-,soclassico. Sui mosaici di Antiochia e nelle pareti affrescate di giallo e di ocra di Pompei, come nei versi di Ovidio, quella fonte rilucente_ che sta assorbendo lo sguardo del giovinetto, faccia parte pure di una scena affollata o di una dispiegata narrazione, comunque si trova sempre, abita, in mezzo al mondo. È come se a Narciso che ha già respinto l'abbraccio delle fanciulle, dei fanciulli e delle ninfe, venisse incontro un'occasione conclusiva: o scegliere il mondo recintato della fontè·; su .cui sporge il suo volto, e che si riduce alla propria immagine, a questo duplicato; oppure scegliere quel mondo copioso che sta alle sue spalle e a cui fa già da ostacolo' questo suo curvarsi. ,., Roni Kopels, sipario all'italiana e ( a destra) sipario allafrancese Conosciamo la sua scelta: quel mondo pieno, presente nella varietà di creature vegetali, umane e soprannaturali come le tenere ninfe, verrà perduto da Narciso a vantaggio della conquista esclusiva del proprio riflesso. Solo a condizione di una completa cecità rispetto al mondo è concesso che gli venga illuminata la sua sembianza flessione. La coscienza, come ci dirà L'Erre et le Néant, è «decompressione dell'essere». In quanto a Roquentin, se è vero che nella coscienza egli trova, oltre al disgusto dell'essere, la difesa dal totale assorbimento nell'essere stesso, è anche vero che la sua esperienza è piuttosto quella della labilità di questa frontiera. Il cogito è irriso, nel suo esserci e nel suo opprimente riprodursi, troppo simile alla presenza e proliferazione dell'esistenza. Soffocamento e impotenza sono anche nel vissuto di Roquentin. Ma questo non esiste. Noi lo conosciamo solo in quanto 'messo in forma' attraverso la finzione letteraria. Quest'ultima è la sola modalità 'al di là dell'essere' che nella Nausée Sartre concretamente prospetta. Sartre e Lévinas saltano a piè pari (perché data per superata) la problematica dei freni rappresentati dalle convenzioni sociali e dai condizionamenti culturali, e riconducono il bisogno di evasione alla necessità esistenziale di sfuggire a quello che Malraux nella Voie Royale aveva chiamato /' état humain. Non c'è niente verso cui andare, l'evasione è pura tensione di fuga, il viaggio scompare come tematica e come figura. Cambia profondamente di connotati anche la Rivolta, perché non c'è più un Altro a cui addebitare il proprio malessere, contro cui sia possibile ribellarsi. Il malessere è diventato mal d'essere. Sebbene più esplicita che nella isolata in un solo punto. Tuttavia quel mondo esiste, effigiato nei pavimenti e nelle pitture parietali dei due centri ellenistici e cantato nei prodigi delle Metamorfosi. Un solo particolare, ogni volta che vi posiamo sopra lo sguardo, ha il potere di rinnovare il nostro turbamento, dove la sorpresa di fronte all'inatteso si .acc9mpagna alla felicità per un incontro sperato in segreto: escluso da Ovidio ma raffigurato a Antjochia come a Pompei, quel mondo folto che Narciso ha lasciato dietro di sé contiene pure in un canto un'ara consacrata a Dioniso, che è l'unica traccia divina presente in tutta la scena. Dunque, malg'fado l'ostentazio11edi voltargli le spalle, Narciso non è riuscito a sfuggire all'universo di Dioniso; di questo universo egli rappresenta piuttosto una trasgressione, una devianza nell'ordine essenziale dell'effusione, della corrispondenza erotica. È come se il suo specchio circoscritto e incorniciato non costituisse che uno spezzone, un frammento schizzato via dallo specchio illimitato, non circoscrivibile di Dioniso, straripante in ogni direzione, ~ato che comprende in sé il mondo. O il «tutto» come sostiene Olimpidorn o la «pluralità» come testimonia Proclo. E la stessa immagine di., Narciso che cosa contrassegna se • non un punto staccatosi con presunzione dal reticolo plenario di Dioniso e per ciò stesso condannato a una sorte di autodistruzione? O ra di questa complessità e ricchezza non scorgiamo nessuna traccia nel Narciso manieristico. Non soltanto l'ara di Dioniso ma la stessa scena del mondo risulta sparita del tutto. Simile cancellazione annulla qualsiasi possibilità di scelta; e l'unica occasione che gli venga tuttora offerriflessione di Lévinas, l'interrogazione sulla possibilità e sulle modalità del superamento dell'essere non trova risposta nel romanzo sartriano. La storia di Roquentin non avrà seguito, come non avrà seguito La Nausée. L'assunto della non-coincidenza con sé, della tensione. tra en-soi e pour-soi, che sostiene tutta l'elaborazione teorica de L'Erre et le Néant, sarà anche l'esigenza su cui a un certo livello si fonda nella Critique la ricerca di forme oppositive al pratico-inerte. Una costante, dunque, e al tempo stesso un abbandono del terreno della Nausée, il che spiega da parte del suo autore sia le drastiche condanne che le suecessive dichiarazioni di «fedeltà». Quanto al saggio di Lévinas, le ultime parole formulano l'esigenza di «uscire dall'essere per una nuova vita» (p. 47). Lo studio di Rolland che lo accompagna nelle edizioni in volume chiarisce il programma di ricerche filosofiche an° nuociate dalla metafora dell'evata è rappresentata da quel riflesso nell'acqua, quella iridescenza mutevole che davanti a lui sta affascinando i suoi occhi. E se nel Caravaggio distinguiamo ancora, semicerchi quasi perfetti che per di più tendono a combaciare tra loro, il corpo robusto del ragazzo dalla sua immagine, nel Parmigianino simile dualità appare dissolta a favore dell'unità. La presenza che il giovanissimo pittore ha avuto la sfrontatezza di estromettere dal suo autoritratto è la medesima realtà, il mcdello vivente - che poi sulla tela risulta anch'esso solo finzione -, il se stesso che sta al di qua del cavalletto, il Narciso intimo fino al disagio che staziona sempre al di qua dello specchio. Ora, sopra la superficie convessa che si protende verso di noi, non vediamo affiorare - quale assoluto e un po' mostruoso protagonista, ctm la pretesa appunto di essere tutto - che il riflesso speculare, la propria deformata apparizione. Dalla molteplicità del mondo, adesso veramente remoto, del Narciso classico, attraverso l'intermezzo duale e l'equilibrio concentrato ma precario del Caravaggio, siamo approdati a questo mondo monologante e unitario, dove ciò che si mostra non è altro che apparenza. Rispetto a questo mondo del quale scintilla soltanto l'apparensione, cioè quell'esigenza di pensare «al di là dell'essere inteso in senso verbale» che condurrà a Autrement qu'étre, ou Au-delà de l'essence (1974), passando per De l'existence à l'existant (1947). Ma sottolinea anche le metamorfosi della figura dell'evasione, l'abbandono di questa nozione e lo spostamento in direzione della «délivrance etica del Sé», operato attraverso un ripensamento della soggettività che recupera la categoria dell'Altro. Lévinas attribuisce all'esperienza della Grande Guerra questa trasformazione del senso dell'essere; Céline dice a suo modo la stessa cosa, quando apre il Voyage con la partenza di Bardamu per il fronte: è qui, al «mattatoio», che la chair diventa viande, e è qui che Bardamu è preso per la prima volta da «une immense envie de vomir». Con la pubblicazione della Nausée siamo alle soglie di un'altra guerra, il cui peso gravava sulla coscienza europea fin dai primi anni trenta. È tra queste due catastrofi che prende voce non solo il desiderio di «uscire dal peso dell'essere schiacciato da se stesso», ma anche (soprattutto?) quella fascinazione dell'essere come imprigionamento di cui si sono alimentati i nuovi «fiori del male». A questo primo scritto introduttivo seguiranno nei prossimi numeri di Alfabeta altri due scritti di A. Ponzio e A. Folin. za, come si colloca Dioniso· inesplicabilmente scomparso e dimenticato, ma nei cui confronti abbiamo, seppure con temerarietà, situato ogni volta la figura di Narciso? Come sempre il dio inafferrabile si colloca vicino e lontano. Vicino perché non è altri che Dioniso il dio dell'apparenza che, avendolo svuotato di contenuto e di pesantezza, avendolo alleggerito, ha mutato il mondo in una pura superficie levigata. Lontano milioni di anni luce perché Dioniso è il dio della comunione totale; e cosa diventa allora l'immagine unica e vulnerabile dello specchio dell'adolescente scontroso, la derisorietà di questa immagine, se la confrontiamo con la magnificenza di Dioniso, con la sua immagine dispersa e frammentaria, vittoriosa, che non conosce né cornice né bordo né limite? Agevolmente lo specchio del dio scavalca qualsiasi recinzione, dal momento che stringe dentro di sé l'inflazionata e variopinta totalità del mondo. Tanto la superficie di Narciso si presenta circoscritta così da consentire l'addensarsi al suo centro del puntiforme volto del giovinetto, quanto la superficie divina si rivela rovesciata verso una periferia, che non riesce tuttavia a raggiungere. Tutte quelle presenze che Narciso tiene fuori dal suo specchio, da sempre hanno fatto irruzione nello "<:t- specchio di Dioniso, spingendo eia- (3 scun frammento al punto di rottura. -~ In entrambi i percorsi, l'apparec- ci.. chio ottico ha la funzione di una ~ trappola; tuttavia, se nel percorso ....... breve di Narciso scatta solo per imprigionare l'adolescenza mortale, in quello di Dioniso scatta per intrap- ....... polare il mondo. L'atto audace, 'O creativo e frantumante, di rovesciare lo specchio sul mondo, consen- ~ tendo alla propria immagine di di- ;! sperdersi e d'identificarsi con esso, ~

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