Giornale dei Giornali Telegiornaeliquotidiani2 P er quanto possa sembrare strano ai non addetti, le ricerche empiriche sui contenuti dell'informazione quotidiana nazionale, presa nel suo insieme, sono piuttosto scarse. Se ci chiediamo, per esempio, che cosa comunicano agli italiani, in un giorno qualunque, i principali notiziari televisivi, radiofonici e a stampa, ci accorgiamo che non ci sono molti dati disponibili per rispondere alla domanda in modo adeguato. In Alfabeto n. 26/27 (luglio-agoe hi fa il tifo per l'Alfa Romeo si è certo molto arrabbiato durante il Gran Premio di automobilismo di San Marino, valevole per il campionato mondiale di Formula uno. Si è arrabbiato non solo e non tanto perché le Alfa Romeo non andavano bene - i tifosi, per un certo tempo, comprendono le difficoltà della squadra del cuore - ma soprattutto perché queste vetture venivano ignorate dalle telecamere che trasmettevano in diretta il Gran Premio e molto trascuratedal telecronista della Rai. I Gran Premi, come i mezzi di comunicazione di massa, vivono in gran parte sulla pubblicità; diretta, quella delle scritte su auto, tute dei piloti e dei meccanici, inquadrati durante il cambio dellegomme, sui bordi delki pista, sull'asfalto, ecc.; e indiretta, quella delle case automobilistiche o di componenti e lubrificanti che partecipano ai Gran Premi. Una di queste case automobilistiche, all'inizio del campionato dello scorso anno, si presentava allapartenza della corsa con poco carburante nei serbatoi, ·con le gomme a rapida usura ma di migliore aderenza, ben sapendo che in quelle condizioni non era competitiva con le altre vetture e quindi non avrebbe vinto. La strategiadi quella casa automobilistica consisteva nel riuscire a essereprima per dieci, venti giri, grazie alla maggiore leggerezza dovuta alla mancanza di benzina e alla maggiore aderenza: questo primato le avrebbe garantito le inquadrature televisiveper le scritte degli sponsor, che sarebbero così stati ripagati. Si poteva anche gareggiarenon per vincere ma per essere inquadrati dalla tv. La pubblicità era riuscita a modificare il «senso», sportivo, della competizione. Un altro meccanismo pubblicitario inficia invece lo spettacolo televisivo. E se ne è avuta la riprova nel recente Gran Premio di Francia (20 maggio). L'auto in testa alla corsa pretende per sé l'attenzione delle telecamere:sono lapiù brava, sono in testa, è me e i miei sponsor che si meritano il maggior tempo d'attenzione. Accade allora che le telecamere inquadrino per ore una vettura che, da sola, gira per un circuito, spettacolo davvero noioso. Si ignorano le bagarre, "i testa coda, i sorpassi e i duelli che avvengono fra concorrenti peggio piazzati. L'obbligo dellapubblicità spinge a ignorare il «senso», informativo e spettacolare, della trasmissione. Nella scelta delle inquadrature A cura di lndex-Archivio Critico de/l'Informazione. sto 1981) abbiamo riferito alcuni dati emersi da una ricerca svolta dalla Index, per conto dell'Ufficio Verifica Programmi Trasmessi della Rai, che prevedeva l'esame congiunto di telegiornali e quotidiarti, in vista di una loro analisi comparativa. A qualche anno di distanza, può essere interessante vedere quali siano le dinamiche e le costanti registrate da una ricerca analoga, nella quale Tg 1 e Tg 2 sono stati posti a confronto nell'arco di due mesi con il Corriere della Sera e La Repubblica. Il confronto è stato operato fra le edizioni serali dei Tg e i quotidiani del giorno successivo. Prima di passare in rassegna qualcuno dei risultati, è opportuno richiamare l'attenzione su taluni fatti che, nella consuetudine giornaliera, possono rimanere quasi inosservati e che però si trasformano in considerevoli ostacoli quando si voglia operare un confronto attendibile tra l'informazione diffusa dai Tg e quella diffusa Indice della comunicazione da alcuni dei principali quotidiani a stampa. Vi è infatti una considerevole sproporzione quantitativa fra i due tipi di notiziario, sia che si ricorra a una cruda misurazione del numero di parole, sia che si computi il numero di «temi-notizia» coperti da ciascuna edizione di un Tg o di un quotidiano. La sproporzione a vantaggio dei quotidiani è nettissima. Ciò significa che divengono problematici tutti i confronti riguardanti la «completezza» dei notiziari o la gerarchia Pubblicità Index - Archivio Critico dell'Informazione agiscepoi quel tanto di ovvio campanilismo che il Paese organizzatore esercita prestando una certa attenzione alle vetture che corrono per i suoi colori, e la Ferrariè stata definita così dal telecronista Rai: la nazionale azzurra dalle rosse vetture. Ma rosso era il colore attribuito dalla Federazione internazionale a tutte le vetture italiane, anche quelle Alfa Romeo, le quali però si presentano in un malvagio verde Benetton. La pubblicità cambia anche i colori nazionali. L'inglese Lotus fu la prima a abbandonare il suo colore, verde, per vestirsi in nero macchina f olografica. Ciascuno può, se lo ritiene interessante, trasferire questi meccanismi pubblicitari dal/'automobilismo ali'editoria, scrittao televisiva, alla radio, al cinema o a quanto crede più opportuno per perfezionare la propria conoscenza di questa società. Nel frattempo la pubblicità rimane il perno economico, il «rubinetto»fina.,,ziario, attorno a· cui ruota il sistèma dell'informa'- zione. Nuove tecnologie, infor,:,,a. tica diffusa· possono modificare la situazione - esistegià negli Usa una emittente televisiva via cavo che non trasmette pubblicità e gode di molto successo - perché potrebbero renderepossibile una comunicazione tra utenti o, almeno, una loro più diretta partecipazione al finanziamento del mezzo d'informazione, come nel caso della tv cavo. Ma sono discorsi facilmente falsificabili e comunque di lungo periodo, e non è detto che la pubblicità debba rimanere una cosa da saltare a piè pari come fanno milioni di italiani ogni giorno giocando con il telecomando. I «conti» il sistema de/l'informazione li deve fare con la pubblicità. In Italia si sono spesi, nel 1983, per la pubblicità: 2.666 miliardi, secondo uno studio di R. Albano per II millimetro; 2.639 stando a uno studio lnterMatrix realizzato per Upa (Utenti di pubblicità associati); 3.533 secondo la Nasa (Nielsen Auditing Service for Advertising) • che valuta le tariffe iorde di listino. Differenze si registrano anche nella ripartizione di questa cifra globale tra i diversi mezzi. In percentuale lnterMatrix assegna il 23.3 per cento ai quotidiani, il 22 ai periodici e il 43.I alla tv. Il millimetro, rispettivamente: 24.4, 21.0, 43.8 per cento. La Nasa: 19.2, 26, 52 per cento. Secondo i dati Nielsen, dunque, il mezzo televisivo ha superato per la prima volta nella storia i mezzi a stampa. Le altre due ricerche, pur riconoscendo alle televisioni private il merito di aver • fatto salire gli investimenti pubblicitari in Italia, ritengono che sia ancora la stampa a avere una maggior quota di introiti. lnterMatrix, e successivamente Il millimetro, hanno anche comunicato che, per la prima volta nella storia d'Italia, l'incidenza degli investimenti pubblicitari sul Pii (prodotto interno lordo) ha raggiunto lo 0,50. li raggiungimento di questa soglia hafatto esultaregli addetti al settore pubblicitario, e con ragione: i budget gestiti dalle agenzie hanno avuto un incremento che va dal 27.9 al 50 per cento, a seconda delle fonti, mai concordi, a fronte di una inflazione del 15 per cento. Meno fondato è l'entusiasmo di chi vive ai margini di questo settore e vi partecipa con l'analisi. «Clamoroso balzo in avanti del complesso investimento pubblicitario che, seg1,tendoil traino del boom televisi- • vo, ha realizzato un tasso reale di· espansione di gran lunga superiore a quello degli altri Paesi industrializzati e ha portato il rapporto col Pii oltre la soglia magica dello 0,50 per cento» (Pubblicità domani n. 4, 1984, p. 20). Molto più correttamente il direttore generale del/' Upa afferma nella sua relazione agli associati: «Siamo così pervenuti a livelli di investimento che, se anche non ci allineano, almeno ci avvicinano a quelli dei più importanti Paesi del mondo industrializzato». Si osserva che questo aumento dei budget pubolicitari è arrivato in un • momento di crisi economica e di diminuzione del consumo. Per la prima volta in Italia la spesa pubblicìtaria è stata utilizzata in funzione anticiclica, per risvegliare il consumatore in crisi addormentatosi davanti alla tv, la qual cosa viene considerata un «segno di maturità». I due fattori che hanno contribuito al raggiungimento dello 0,50 per cento sul Pii sono dunque, da un lato, la crisi economica che ha fatto sì che il Pii scendesse di 1,2 rispetto al 1982 e, dall'altro, l'ingresso delle televisioni private nel mercato pubblicitario, che hanno consentito a una massa di industrie medio-piccole e a molti commercianti di trovaie quello spazio televisivo· che, complici la Fieg e l'Upa, la Rai non aveva mai concesso loro - né può concedere adesso, visto il permanere delle restrizioni che le si impongono e nonostante sia stato accordato un aumento di 111 miliardi per la pubblicità da raccogliere nel 1984. L'ingresso in pubblicità di questi soggetti ha costretto i grandi a rivedere e rialzare la spesa pubblicitaria e ha spinto le televisioni a rialzare le tariffe. La Nasa ha fornito anche dati sulla ripartizione della spesa per aziende, secondo una elaborazione pubblicata da Strategia (n. 4, marzo 1984, p. 1). In testa si trova la Fiat auto, seguita da Procter & Cambie, Fiat Lancia, Renault, Alfa Romeo, Colgate-Palmolive, Lever, Star, Henkel, Ford auto. I Veicoli sono decisamente al primo posto nella classifica per categorie merceologiche; in seconda posizione, con meno della metà degli investimenti, si trova il settore Abbigliamento, seguito dai Liquori. Al terzo posto una sorpresa rispetto alle precedenti classifiche: i Mezzi di comunicazione di massa. Gli editori presenti fra i primi cento inserzionisti pubblicitari in Italia sono nell'ordine: Mondadori, Editoriale Corsera, Rizzo/i editore, Fab- •bri, Retequattro, Curcio, Canale 5, Italia 1, Rusconi, De Agostini: Accorpati per gruppo: Berlusconi, Mondadori e Rizzo/i sono i primi tre. Considerata nel suo complesso, per quanto consentito dai criteri di classificazione adoperati dalla Nasa, che non valuta l'autopubblicità, ed essendo noto che gran parte di questa pubblicità è effettuata sui media di appartenenza, quindi non a prezzi di listino, la «società dell'informazione» spende circa 400 miliardi per autopromozionarsi. Pochi, se si considerano le attese da primato del «post-industriale», ma comunque più dei Veicoli, tradizionali dominatori di questa classifica. Altro aspetto ricorrente delle valutazioni che si compiono nel rapportare le spese pubblicitarie al Pii, è quello di considerare questa quota un utile indicatore per decretare l'appartenenza di un Paese al mondo industrializzato, per sancire il suo «avanzamento» in società. Il Paese con il rapporto pubblicità/ Pii più elevato è l'Australia, seguita da Usa, Gran Bretagna, NuQva Zelanda, Perù, Cile e Svizzera. Questi sono gli Stati che nel/'82 hanno superato la quota di un punto pe~centuale. Ci sembra che l'elenco parli da solo, e che non si possa certo definire questa lista come il Gotha degli Stati industriali o «avanzati». È ovvio che, se ci limitiamo a selezionare i dati che ci fanno comodo, potremo sempre dire che Stati uniti e Giappone (questo ha avuto lo 0,99) hanno qualcosa più di noi, hanno persino più disoccupati di noi! Il millimetro, cui dobbiamo /'edi priorità fra i «temi-notizia». Sulla base delle rilevazioni effettuate in quella precedente, nella ricerca di cui stiamo parlando è stato predisposto un piano più omogeneo di comparazione, partendo dall'ipotesi secondo la quale i «temi-notizia» che compaiono nel sommario di un Tg corrispondano a quelli di una prima pagina. In effetti, confrontando per due mesi i sommari dei due Tg nazionali con le prime pagine del Corriere e della Repubblica, si è potu- /eneo dei rapporti pubblicità/Pii in vari Paesi, compie un'altra svista caratteristicadi questo tipo d'analisi. Considera il Giappone un Paese in cui vige la deregulation e l'eèonomia liberista, e ritiene che grazie a questo è una «locomotiva», insieme agli Stati uniti, dell'economia mondiale; ne risultache sia un Paese da imitare nelle sue scelte. Ebbene, il Giappone non è affatto afflitto da deregulation, considera infatti che solo i più forti possano guadagnarci dall'applicazione di questa dottrina e non si sente ancora a/l'altezza, nonostante le pressioni che gli Stati uniti stanno esercitando su di esso. «Hard core issue in financial deregulation remain unresolved» titola il Japan Economie Joumal del 24 aprile 1984, all'indomani degli incontri di Washington. Il Giappone è inoltre un Paese a forte e centralizzata programmazione economica, il suo ministero dell'Industria e commercio (Miti) coordina e impone la ricerca alle imprese private, e questa non è deregulation né economia liberista. Il Giappone sarà deregolamentato, verso l'estero, solo quando gli converrà davvero e non tanto per seguire l'ultima «moda» americana. L'Italia della deregulation che raccoglie 1000 miliardi di pubblicità televisiva e ne spende il 70per cento ali'estero per acquistare programmi non può fare molta strada. Essa dovrebbe rendersi conto che condivide la posizione sullo 0,50 per cento pubblicità/Pii con la Malaysia: se proprio si vuole considerare un indice questo rapporto, la situazione è questa. Inoltre, delle migliaia di miliardi di pubblicità italiana del 1983, il 40.6 per cento è gestito da ventuno agenzie di pubblicità non italiane. Le agenzie che hanno un volume d'affari per almeno 20 miliardi sono ventotto, e gestiscono il 50.46 per cento del totale degli investif!lenti, le italiane sono sette e gestiscono il IO. 7 per cento. Allora la strada del/'«avanzamento» non passa per di qui dove i nostri miliardi, assommati a quelli degli altri Paesi «in via di sviluppo» e «avanzati», servono afare da carbone alle altrui locomotive. Il futuro della pubblicità Upa, settembre 1983 Upa Relazione del direttore generale 9 maggio 1984 CIO ~ ~ .s ~ ~ ~ ..... o s;: ~ "èo ..... '0 ~ s li; .Q :g. '----------------------,---------------------------------------------------------1~
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