Alfabeta - anno VI - n. 61 - giugno 1984

La «trattativa» tra le due parti - alla quale ha amaramente alluso il padre di Tobagi a conclusione del processo- non è dunque un aspetto accessorio né occulto, ma rappresenta anzi l'esecuzione delle direttive implicite nel dettato legislativo, come conferma in maniera addirittura spettacolare il recente episodio verificatosi al processo romano del «7 aprile», dove il pentito Michele Galati si è rifiutato di testimoniare, dichiarandosi insoddisfatto del modo in cui le rivelazioni rese in istruttoria erano state remunerate dai giudici. Per approfondire ulteriormente il discorso, si può notare che il rapporto transattivo che si instaura fra le parti non è regolato genericamente sulla base delle leggi della «circolazione semplice», pur assumendo da questa la regola fondamentale dell'equivalenza «di principio» fra gli attori; esso obbedisce piuttosto a quella più specifica e determinata forma di scambio che è lo «scambio politico», vale a dire quella stipulazione nella quale i protagonisti della transazione non sono in possesso di «beni materiali», e tuttavia istituiscono uno scambio, mediante il quale essi operano addizionalmente una sorta di legittimazione incrociata. L'apertura stessa del terreno negoziale interrompe, perciò, il rapporto punitivo-repressivo instaurato dalla legge nei confronti del responsabile di crimini e sostituisce a esso una relazione bilaterale di scambio, a cui è sotteso il riconoscimento della reciproca autonomia dei soggetti coinvolti e quindi anche la legittimità a funzionare come partners della transazione in atto. O ltre che sul piano più strettamente giuridico, sul quale, in ogni caso, la legislazione premiale ha già prodotto palesi aberrazioni, anche sul piano politico generale il consolidamento di un siffatto orientamento rischia di rendere inevitabili taluni processi degenerativi propiziati dalla funesta stagione dell'emergenza. La tendenza alla clandestinizzazione della politica, che rappresenta certamente il contrassegno dominante dell'ultimo decennio, può trame infatti ulteriore alimento, e radicarsi profondamente, nel perpetuarsi e riprodursi di misure premiali; come dimostrano chiaramente gli effetti indotti dall'applicazione di tali misure da due anni a questa parte, la stessa struttura del processo penale rischia di subire modificazioni profonde, in presenza di un meccanismo che ribalta le caratteristiche fondamentali del diritto moderno, introducendo una struttura monologante, la contrattazione implicita e segreta, l'assenza del difensore nella fase del negoziato, il potere di «grazia» del giudice e l'incertezza delle figure normative. Sostituendo tacitamente ai criteri «moderni» di ammm1strazione della giustizia, riassumibili nella pubblicità del processo, nell'uso di prove oggettive e nella «dolcezza della pena», una struttura che ricalca, per la segretezza del meccanismo di accertamento della verità storico-processuale, il modello dell'Inquisizione, la legislazione premiale finisce insomma per accelerare la perdita di trasparenza nel funzionamento dell'apparato politico-amministrativo: alla trasformazione del politico in clandestino, e della politica in guerra, verrebbe così a corrispondere, sul piano giuridico, il passaggio - o il ritorno - dal processo pubblico al modello dell'Inquisizione. Ancora più rilevanti - e tutt'altro che rassicuranti - sono infine le conseguenze che l'eventuale persistenza e diffusione di un simile orientamento di politica del diritto è in grado di determinare per quanto riguarda la forma di organizzazione della società, e le regole che presiedono ai rapporti fra individui e gruppi sociali. Lo smisurato ampliamento dei limiti entro i quali la legge può intervenire, implicito in un provvedimento che punta a stabilire rapporti, mediante il «premio», con una molteplicità di soggetti irraggiungibili mediante la pena, lascia intravedere uno scenario nel quale la funzione · di controllo sociale del diritto venga fortemente accentuata. L'uso combinato di premi e punizioni esprime la tendenza a non tollerare l'esistenza di «zone franche» all'interno della società, a non consentire che la sfera del diritto possa essere limitata all'ambito dei comportamenti penalizzabili, e non anche a quello dei comportamenti premiabili. Da questo punto di vista, si può anzi osserva- . re che i mutamenti introdotti dalla legislazione premiale non soltanto modificano profondamente i caratteri e le finalità dell'ordinamento, ma incidono direttamente sull'immagine e sul modo di funzionare dello Stato. Questo cessa, infatti, di fondare la propria legittimazione sul monopolio della forza, e sostituisce a essa la facoltà di grazia. Scompare, con ciò, o almeno fortemente si attenua, la tradizionale funzione dello Stato di costituirsi come quel «potere comune» capace di disattivare, o di control- , lare mediante la sanzione, la «naturale>>belligeranza attiva fra i membri della comunità, chiamati ora a ricontrattare periodicamente le condizioni della loro partecipazione alla vita associata. Da un lato, insomma, la legittimità dello Stato non è più un dato «originario»; conseguente alla detenzione della forza, ma appare come risultato - sempre precario e comunque mai definitivamente consolidato - di un complesso di relazioni bilaterali; dall'altro, l'incertezza della norma, la duttilità del diritto, la potenziale conversione della pena in premio, t_endonoa ridurre i margini della <~sicurezza»sociale, rendendo sempre più potenzialmente reversibile il transito dallo stato di natura alla società civile. La valorizzazione del negoziato, quale forma «generale» del rapporto fra Stato e cittadini, può preludere infine a un'ulteriore e coercitiva riduzione della conflittualità sociale, in favore di un sistema regolato dalle leggi del contratto e dello scambio politico, nel quale quindi l'equivalenza di principio degli attori della transazione appiattisce irreversibilmente la società e favorisce il prevalere in essa della forza rispetto alla ragione, dell'autorità rispetto al consenso. Fra le numerose, e quasi sempre futili o insensate, escogitazioni futurologiche proliferate in quest'anno iniziato sotto il segno di George Orwell, può essere più appropriato citare, in riferimento alle condizioni in cui versa il nostro sistema politico, le immagini in-• quietanti suscitate dal Brave New World di Huxley: una società ispirata alle regole skinneriane, organizzata sulla base della combinazione di premi e punizioni, dominata da un potere sempre più accentrato e insieme sempre meno legittimo, incline all'uso delle tecniche neocomportamentiste di controllo e condizionamento. Occorre appena aggiungere che, nel romanzo di Huxley, il Mondo Nuovo è quello che emerge dalle macerie di una devastante guerra mondiale. Unammonimentsotrano ,:::s D. Veniamo informati che recentemente siete stati ammoniti dal Consiglio superiore della Magistratura per un «reato» d'opinione. Di che si tratta? perché? Romano Canosa - Amedeo Santosuosso. Per «essere venuti meno ai doveri di ufficio e per aver tenuto una condotta tale da rendersi immeritevoli della considerazione di cui il magistrato deve godere», avendo rilasciato nell'ottobre 1983una intervista a Il manifesto. Nella quale era scritto: a) che nel processo Barbone a Milano erano avvenute «illegalità e trattative» tra inquirenti e imputati; b) -che «siamo per l'autonomia anche da altre forme di potere che si concretizzano in alleanze tra gruppi di magistrati e partiti politici. Queste alleanze sono ancora più preoccupanti, ci sono centri di potere che si schierano con altri centri di potere, come è successo tra la stampa di sinistra e gli inquirenti del 7 aprile». D. Un ammonimento per tali fatti sembra strano. Tutta la stampa, per quanto concerne il processo Barbone, ha parlato di infiltrati (la cui esistenza è stata ammessa in parlamento dallo stesso ministro dell'Interno) e di altre cose poco chiare. Quanto al « 7 aprile», il dibattimento ha mostrato una lunga serie di imputazioni infondate: la «insurrezione», che persino il pubblico ministero di udienza ha rite- -~ nuto non giustificata; la utilizzaci.. •zioiié dei «pentiti» che in dibatti- ~ mento o si sono rifiutati di rispon- -. dere - vedi Casiraghi - o sono adg dirittura spariti con passaporto fai- -~ so, fornito, presumibilmente con il ~ consenso dei magistrati procedenti, ...... 'O dalle autorità di polizia, ecc. Come è stato possibile, alla luce di questi ~ fatti, arrivare a un ammonimento ~ nei vostri confronti? ~ Canosa-Santosuosso. Forse la Domande a Romano Canosa e Amedeo Santosuosso ragione prima della condanna va ricercata in un atteggiamento di «lesa corporazione». Non a caso nella motivazione della sentenza si legge: «Si tratta di accuse lesive della onorabilità di specifici magistrati in ordine a specifici procedimenti, lanciate senza prove dagli incolpati, che hanno così ritenuto di potere affiancare se stessi e la loro qualificazione professionale a coloro che tali critiche ed accuse rivolgevano. a quei magistrati. Al giudizio di ingiuriosità delle opinioni espresse dai due incolpati, si aggiunge quello che deriva dalla irresponsabilità di una campagna di stampa, cui gli incolpati con l'intervista si sono accodati». E tale campagna di stampa avrebbe «personalizzato in capo a taluni magistrati l'accusa di illegalità, invenzione di ipotesi accusatorie, montatura di processi politici». Non potendosi condannare I giornalisti «irresponsabili» in quanto esulano dalla sfera di potere del Consiglio superiore della Magistratura, esso ha condannato noi due che invece nella sua sfera di potere rientriamo. Possiamò ricordare il caso dell'imputato Massimo Libardi che il 19 novembre 1980 ha reso a un .giudice istruttore la seguente dichiarazione: «Mi avvalgo della facoltà di non rispondere non per un pregiudiiiale rifiuto a collaborare, bensì a causa del comportamento tenuto nei miei confronti da altra autorità giudiziaria. Ero stato assolto in grado di appello per insufficienza di prove dalla Corte di assise di appello di Milano dal reato di costituzione di banda armata e mi era stata promessa la rinuncia al ricorso in cassazione da parte della P.G. ove avessi accettato di fornire ogni informazione in mio possesso sulle organizzazioni eversive e su fatti a mia conoscenza. Nonostante il mio atteggiamento positivo la prom~ssa non è stata mantenuta come ho appreso ieri dal mio difensore». Si può ricordare inoltre la prassi esistente a Milano di redigere i verbali di interrogatorio dei pentiti molti giorni dopo l'interrogatorio stesso sulla base di appunti presi dall'inquirente (la formula è la seguente: «le dichiarazioni rese sono state dettagliatamente annotate dall'Ufficio e -r,er la loro verbalizzazione si rimanda a data da destinarsi»). Ciò in violazione di un principio fondamentale della procedura penale per cui la redazione del verbale deve essere contestuale al compimento dell'atto cui il verbale fa riferimento. Non risulta che il Consiglio superiore abbia preso provvedimenti disciplinari in questo o in altri casi analoghi. D. Dalla imputazione risulta che voi avevate criticato anche la lunghezza della carcerazione preventiva nei processi politici. Che cosa si dice al riguardo-nel provvedimento a vostro carico? Canosa-Santosuosso. Assolutamente nulla. Nelle quindici pagine non è contenuto neppure un accenno alla durata della carcerazione preventiva in Italia. Ed essa, va detto, è insieme «colpa» del legislatore e dei giudici. Della questione si è occupata ripetutamente anche Amnesty International che, per esempio, nel «rapporto 1981» ha affermato di essere «preoccupata per la natura poco chiara e vaga delle prove che spesso sono addotte per giustificare una prolungata detenzione. In molti casi le accuse originali sono state lasciate cadere solo per essere sostituite immediatamente con nuove accuse. Ciò ha consentito all'autorità giudiziaria di trattenere persone in detenzione preventiva per periodi eccessivamente lunghi pur rimanendo nell'ambito della legge». Evidentemente Amnesty intende riferirsi alla fioritura di imputazioni per insurrezione, avutasi dopo alcuni anni che gli imputati erano già detenuti in carcere con imputazioni minori, alla contestazione a tutti, o quasi, gli arrestati con accuse di violenza politica della veste di capo della banda armata, alla applicazione abnorme del «concorso morale», ecc. D. Questo provvedimento dunque sembra contenere una minaccia estesa sul piano dell'informazione, in un momento delicatissimo per le conclusioni in corso di processi relativi alla legislazione di emergenza. Esprimiamo preoccu- ,, pazione, ora che l'inconsistenza della prassi giudiziaria sul periodo del '68 si va sempre più dimostrando: caduta al «7 aprile» la «insurrezione» è stato dal P.M. caricatopenalmente «Potere operaio» che risulta avere avuto solo un più acceso verbalismo rivoluzionario, fra i gruppi politici. E LaLetteradel/'avvocato di Fioroni, svuotando Lepiù gravi accuse di reati specifici, ha fatto porre ad alcuni commentatori l'ipotesi che Fioroni intendesse svolgere dichiarazioni Limitative qualora avesse voluto o potuto essere presente in aula... Dunque il dibattito su questo passaggio è importantissimo, sta per il cittadino italiano che per L'intellettualedi sinistra eper il magistrato democratico e quello «dissenziente». Canosa-Santosuosso. Per completare qui il rilievo di precisazione sugli atti del Consiglio superiore della Magistratura, dobbiamo dire che esso ha una linea coerente unica in campo disciplinare. Qualche tempo fa ha condannato pesantemente il giudice· F. Marrone per aver scritto la prefazione a un manuale di autodifesa legale; in questa prefazione, non si diceva nulla di diverso e di più di 'luanto detto infinite volte da moltissimi nella prima metà degli anni settanta circa la necessità di non fidarsi degli apparati inquirenti (magistratura e polizia), la necessità di chiedere immediatamente la presenza di un legale, la necessità di non «collaborare» con questi apparati, ecc. E ciò secondo modelli che nei paesi anglosassoni sono da tempo molto diffusi e considerati da tutti pienamente legittimi (uno di questi manuali in Inghilterra viene pubblicato dalla popolarissima collana dei Penguin). Per giustificare la condanna di Marrone il Consiglio superiore si è inventato un «dovere di fedeltà» del magistrato nei confronti della am"!inistrazione giudiziaria, che in Italia non è previsto da nessuna norma; prospettando un modello tedesco di «lealtà» verso lo Stato che è esiziale per le pubbliche libertà (una sorta di «Berufsverbot all'italiana», come è stato detto). Nel nostro caso, poi, il Consiglio ha fatto un ulteriore passo avanti. Ha infatti introdotto un «obbligo di riserva» a carico dei giudici (una sorta di dovere al silenzio), anch'esso non previsto da nessuna norma dell'ordinamento giuridico del nostro paese. Questa giurisprudenza «creatrice» del Consigliò superiore contrasta in modo insanabile con il principio fondamentale (dietro cui per anni tutta la destra giuridica italiana si è raccolta compatta quando si trattava di criticare la giurisprudenza innovatrice dei pretori) secondo cui il giudice (tale è nel nostro caso il Consiglio) non ha il potere di creare le norme (compito che spetta al parlamento), ma deve limitarsi a applicarle. (a cura della redaiione)

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