Alfabeta - anno VI - n. 61 - giugno 1984

Cfr. Centro Internazionale di Semiotica e Linguistica Urbino, 9-28 lugli~ 1984 Come ogni anno, il Centro Internazionale di Semiotica e Linguistica, con il coordinamento di Pino Paioni, organizza a Urbino, dal 9 al 28 luglio, una serie di seminari, conferenze, convegni e tavole rotonde. Conferenze e seminari: Per A. Brandt, Omar Calabrese,· Francesco Casetti, Charles Grivel, Remo Guidieri, Wladimir Krysinski, Christian Jacob, Solomon Marcus, Herman Parret, Janos S. Petofi, Luis Prieto, Ferruccio Rossi Landi, Stéphane Sarkany, Emel Sozer, Paolo Valesio, Eliseo Veron. I temi affrontati andranno dalla narratologia alla teoria delle modalità, alla semiotica della pittura, alla teoria della comunicazione, ecc. Accanto alle conferenze, si svolgeranno quattro convegni internazionali: «I carteggi: figure dell'epistolario», 9-11 luglio, coordinatore Nicole Treves Gold; «L'incertezza del testo», organizzato dalla Mostra Internazionale del·Nuovo Cinema, 13-15 luglio, coordinatore Francesco Casetti; «Testo, connessità, coesione», 16-21 luglio, coordinatori Maria E. Conte, Emel Sòzer, Janos S. Petofi; «Decostruzione: teoria e pratica», 2327 luglio, coordinatori Maurizio Ferraris, Pino Paioni, Stefano Rosso. Per informazioni, rivolgersi a Pino Paioni, Centro Internazionale di Semiotica e Linguistica, Piazza del Rinascimento 7, 61020 Urbino (tel. 0722/3489). Andrew Feenberg Lukacs, Marx M.L. and the Sourc~ of Criticai Theory Oxford, Robertson & Co., 1981 pp. XIV-286, Ls. 17,50 Questo contributo di Andrew Feenberg, docente di filosofia alla San Diego State University, si inquadra nel vasto e specializzato panorama di studi sul «marxismo occidentale», segnalandosi per l'indubbia originalità del suo approccio. Si tratta, infatti, del primo tentativo di valutazione comparata di quelle che, secondo l'autore, sono le due fonti primarie del «marxismo occidentale»: i Manoscrim economico-filosofici del 1844 di Marx e Storia e coscienza di classe di Lukacs. Dopo aver definito, in apertura, le riflessioni del giovane Marx e del giovane Lukacs come esempi di 'filosofia della prassi' per la specificità del loro contenuto, Feenberg, che in quest'impresa dichiara di avvalersi essenzialmente della qualificata consulenza di Herbert Marcuse e di Lucien Goldmann, procede a un esame comparato dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 e di Storia e coscienza di classe, avendo cura tanto di rilevarne le affinità e le differenze metodologiche e categoriali, quanto di discuterne la portata dell'influsso sulle tendenze più contemporanee del marxismo, la Scuola di Francoforte di Horkheimer, Adorno, Marcuse e Habermas, e la filosofia marxista francese di Merleau-Ponty e di Goldmann. Feenberg conclude quindi la sua analisi affermando che soltanto in una sintesi tra la posizione del giovane Marx e quella del giovane Lukacs si possono efficacemente superare i limiti e le carenze di eiascuna. Questa sintesi rappresenta infatti, a suo avviso, una formulazione della 'filosofia della prassi' meglio strutturata e più solida e, come tale, più coerente e meglio difendibile. Ora, nonostante lo sforzo di chiarificazione e di approfondimento compiuto dall'autore, il testo risulta nel complesso alquanto farraginoso e non sempre convincenti sono le soluzioni da lui proposte ai problemi di volta in volta affrontati in sede di analisi teoretica. Franco Petroni Svevo Glauco Casarico in «Ritratti di autori italiani moderni e contemporanei nella storia della critica» Lecce, Milella, 1983 lire 6500 Nell'ambito degli studi sul Novecento italiano, non sono mancate nell'editoria (né il fenomeno sembra attenuarsi) collane critiche appositamente progettate. Basti ricordare almeno gli esempi delle collane di Mursia e della Nuova Italia («Il castoro»), che hanno sorretto il settore istituzionale degli studi universitari (specialmente la prima), e le curiosità e i bisogni di approfondimento più vari, talora anche marginali (specie la seconda), di un vasto ceto sociale scolarizzato e moderno. Accanto o a rimorchio di queste collane, quasi tutti i principal~editori hanno realizzato serie di monografie e guide alla lettura, con prevalente destinazione studentesca, di solito corredate di bibliografia, antologia dei testi e della critica, informazioni e schede varie: fenomeno di divulgazione non sempre culturalmente necessitato, né sempre condotto con sufficiente accortezza, ma ben noto nel «mercato delle lettere», e, nello specifico, stimolato dalla grande fame di modernità e di attualità successiva alla liberalizzazione dei programmi nella scuola e nell'università - entrambe attardate, fino a ieri, a tenere rigorosamente lontane la cultura e la storia del Novecento, considerate epigoniche e impure (tuttavia tale fame ha radici sociali e culturali più complesse). È la casa editrice leccese Milella, finora nota localmente e fra gli addetti, a tentare oggi un salto di qualità affacciandosi al mercato nazionale: lo fa con una collana progettata e diretta da Romano Luperini (che è anche promotore, assieme a Carlo Alberto Madrignani e a Franco Petroni, della nuova rivista L'ombra d'Argo, edita anch'essa da Milella). Il nuovo ruolo di promozione culturale delle piccole e medie case editrici meridionali, che tali iniziative confermano, è indice di un generale ampliamento e decentramento di un certo tipo di soggetti culturali. La originalità di questa collana, «Ritratti di autori italiani moderni e contemporanei nella storia della critica», consiste nell'essere pensata appositamente come storia della critica, cui in ciascun volume si aggiunge un breve profilo e un'ampia bibliografia. Tale esercizio, in particolare nella pratica didattica dell'università, è sempre stato erroneamente ritenuto routine artigianale in parte inutile, come un «farsi le ossa» in vista di nessun altro esperimento; risulta essere invece, alla prova dei fatti, non solo utile e istruttivo, ma talora illuminante più di altri. Il primo volume di questa collana, curato da Franco Petroni, è dedicato alla figura quanto mai significativa di Svevo (mentre si annunciano i . «ritratti» di Gadda, Verga, Marinetti e il futurismo). Il lavoro di Petroni si fa apprezzare per il garbo e la sobrietà della trattazione, che l'autore riesce a far quadrare con una notevole asciuttezza nell'esposizione e nel giudizio. Nel profilo, Petroni mette opportunamente in luce la sostanziale estraneità di Svevo alla cultura italiana (o forse meglio l'estraneità della cultura italiana a Svevo, troppo in là nelle premesse e troppo profondo nello scandaglio analitico per il gusto e la formazione della maggior parte dei lettori e dei critici), e di conseguenza la emarginazione che lo scrittore ha dovuto subire (non solo da parte degli esponenti della cultura tradizionale e idealistica), ben più lunga del silenzio e indifferenza che accompagneranno quasi tutta la sua attività, e che tuttora sono lungi dall'essere del tutto riassorbiti. A rendere ancor oggi indigesto questo autore, anche dopo l'ondata di cultura mitteleuropea in cui l'editoria italiana ci ha sommerso, è la radicalità non mediabile del suo pensiero e delle sue esperienze culturali, l'incessante e modernissimo sperimentalismo espressivo che gli è costato l'accusa di sciatteria e di insipienza formale (accusa in cui si misura la assoluta inadeguatezza dei riferimenti culturali italiani), il rifiuto di un'arte declamatoria e a tutto tondo, il sigillodi dissacrante verità che distingue la sua opera. Sgradevolezze, per il pubblico borghese e per la critica, il cui profondo significato Petroni non manca di sottolineare, tanto nel profilo quanto nella storia della critica, e che costituiscono, al tempo stesso, una premessa e una costante dell'indagine. Felice Rappazzo Herman Melville Poesie di guerra e di mare Scelta ·e traduzione di Roberto Mussapi Introduzione di Antonio Porta Milano, Mondadori, 1984 pp. 125, lire 5500 Già venticinque anni fa Alfredo Rizzardi (La condizione americana, Cappelli, 1959) lamentava la mancanza di attenzione, in Italia, per buona parte delle opere di Melville. offuscate dalla notorietà di Moby Dick e di pochi altri racconti ( Benito Cereno, Bartleby lo scrivano, Billy Budd, ecc.). La situazione non è diversa in America, dove ancora oggi troppi studenti presumono di sapere tutto sul 'simbolismo' della balena bianca, e quasi nessuno ha letto opere altrettanto problematiche o ancora più eccentriche come Pierre o The Confidence Man. Il destino delle poesie di Melville è stato anche peggiore. In Italia, le scelte di Luigi Berti (Fussi, 1957)e dello stesso Rizzardi (Cappelli, 1960) son ormai reperibili solo nelle biblioteche; lo stesso vale per la scelta da Clarel a cura di Elemire Zolla (Einaudi, 1965). L'unico volume in commercio che contenga una raccolta - fortunatamente piuttosto ampia - delle poesie di Melville, è il secondo delle sue Opere (Mondadori, 1975), con traduzione di Ruggero Bianchi. Se si confronta quest'ultima con quella di Roberto Mussapi, si vedrà come i due traduttori scelgano due vie completamente diverse. 'Letterale' quanto possibile, interlineare, prosaica, perfetto supporto per il testo originale a fronte quella di Bianchi. Dotata di «una sua consistenza sul piano estetico» - come si legge sulla quarta di copertina - quella del poeta-traduttore Mussapi, un giovane «formatosi nei 'fecondi' anni settanta» - come afferma Antonio Porta nella sua ampia introduzione - e che ha saputo leggere i versi di Melville liberandoli «da quel rumore di fondo che era e rimane il nostro vero, terribile, nemico». Non a tutti è noto che la scrittura di versi non rappresentò una piccola parentesi nella produzione melvilliana, ma lo impegnò per un arco di trent'anni dalla fine degli anni cinquanta al 1891, l'anno della sua morte. (L'unica prova narrativa di questo secondo periodo è infatti Billy Budd - di cui tra l'altro segnalo la recentissima riedizione della traduzione italiana nei tascabili Bompiani, che tiene conto della edizione critica HayfordSealts). La scelta di Mussapi si concentra su due raccolte in cui 'conflitto' e 'mare', due ossessioni ricorrenti in Melville, vengono esplicitamente tematizzate: Battle Pieces and Aspects of the War (1866) e fohn Marr and Other Sailors (1888). A differenza dell'ottimismo positivistico, del patriottismo e della 'retorica' di molti poeti suoi contemporanei (con le significative eccezioni di Poe e della Dickinson), Melville mostra di fronte alla guerra un occhio assolutamente disincantato, che ce lo rende assai vicino. Se per la lotta con la balena si può parlare di 'epica', della guerra sono invece sottolineati da Melville gli aspetti tecnici e il rapporto vita-morte nella sua brutale materialità. Senza moralismi o utopie, il conflitto diventa un luogo privilegiato per pensare l'essere: «la guerra - scrive Porta - genera il silenzio». L'altro luogo privilegiato è il mare. Chi non lo conoscé non può capire, come succede al compagno-fabbro di John Marr: «Friend, we know nothing of that here» («Amico, noi non sappiamo niente di tutte quelle cose»). Tante delle poesie scelte metterebbero a dura prova i ricercatori di 'equilibri poetici' e di 'centri strutturali'. Grazie anche a questa openness, Porta può parlare di crisi irreveFsibile del 'moderno' e della verità. Né stupisce il ruolo occupato da Melville nella genealogia di certo postmoderno proposta dai 'distruzionisti' americani (Spanos, Bové), per cui, per il romanzo, si parla della lignée Melville-Adams-Pynchon, e in poesia di Melville-Williams-Stevens e poi Creely-Ashbery-Dorn, ecc. Ancor meno immotivata risulta infine l'ossessione dei 'decostruzionisti' per la natura profondamente ambigua delle opere di M~lville. Stefano Rosso BCmLOIO PILLI 1DIIIOII m OOIIU111Ì msoa: BBICB·non l'lp dallaUbertà Docml,ll'IPl'l • rlYoluiaaari l'lieanaJl4setlla IOCllltà CGlltempGrula PslanaJ1..a nUclam BAYII-.IBOI Lalotta dl clule La IOdltà lDdutrlale PIOe I llBT& fra leauloal T..-1& dli npal paUtlcl IWIIAB·11111DT Sallamolulaal &ADII llddleeamelenadqlll A.SGIIWBITZBB llspette ,.-la rita Lamia rita e li mio ,euln Sl■OD\VBIL La prima radice L, aondlMM operala e.a.ma .Psleolol1a. ~ B. BnTBtBII■, -Dlalapl Olll le madri B.■OOUJB. 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