r evasioneperLévinas Emmanuel Lévinas DeU'evasione commento e note di J. Rolland ed. it. a c. di D. Ceccon e G. Frank Reggio E., Elitropia, 1984 pp. 171, lire 14.000 Le Grand Jeu (1928-1929) ristampa anastatica Paris, Jean-Michel Piace, 1977 pp. 354 Louis Aragon Le traité du style Paris, Gallimard, 198!2 («L'imaginaire») N el suo saggio giovanile sull'evasione del '35 - uscì nelle Recherches Philosophiques, ed è stato recentemente riproposto in volume dalle edizioni Fata Morgana (Paris 1982, pp. 128, ff. 45) e, in traduzione italiana, da Elitropia (Reggio Emilia 1984) - Lévinas àncora il suo discorso sulla constatazione di un mutamento di sensibilità, di cui coglie i segni nella letteratura contemporanea, e ne enfatizza la portata fino a parlare di un nuovo «mal du siècle». È questo ancoraggio - che può essere un artificio retorico ma che è anche una prima riflessione - a giustificare l'adozione di un termine alla moda mutuato dal linguaggio letterario e critico-letterario, per avviare un discorso che vuole arrivare «al cuore della filosofia», cioè a «rinnovare l'antico problema dell'essere in quanto essere» (p. 21). La constatazione di Lévinas sulla «strana inquietudine» (p. 16) di evasione manifestata dalla letteratura contemporanea non era nuova; completamente nuova e ricca d'implicazioni è la sua lettura del fenomeno. Già nel 1928, nel Traité du style, Aragon aveva constatato, per attaccarla, la mitologia dell'evasione diffusa dalla più recente letteratura. La partenza, il viaggio, l'avventura, l'evasione: tutte frottole spacciate per verità moderne, che improvvisamente bloccano la coscienza umana - che, come le droghe e il sentimento religioso, si fondano su una «imbecille ricerca di felicità» o «ricerca del paradiso», offrendo opportunistiche soluzioni al problema dell'esistenza. Le drammatiche scelte di Rimbaud, Aragon le vedeva svilite a leit-motiv, a moda. Anche per lui l'evasione è la forma aggiornata del «vague à l'ame», ma il tono dell'affermazione è fortemente dispregiativo. Come lo è la constatazione che il momento di massima diffusione del termine coincide con quello di sua totale perdita di senso. Nel desiderio di andarsene, di rompere I confini, di rischiare, "'"> Aragon non leggeva più nessuna s:s discesa all'inferno pur di sfuggire -~ al piatto comfort europeo (Céline, C). Lettres d'Afrique), nessun deside- ~ rio di conoscenza, nessuna ricerca -. di rinnovamento, bensì una preteg sa, infantile e borghese, di speran- ~ za - speranza di «uscirne» (sortir), ·bo di «sottrarsi a ciò che si è». E pe- ..... 10 rentoriamente replicava che la vita ::: è intollerabile e non c'è niente da ~ farci, non se ne esce, non ci si può l sottrarre a ciò che si è, non resta ~ che accettare la nausea, «l'immense vague qui emporte tout». Tutta la requisitoria di Aragon si muove sul filo del paradosso, non solo per il tono enfatico, ma per la scarsa problematicità e l'assenza di riferimenti concreti e di distinzioni, che non permette di capire a quale livello si colloca l'obbiettivo. I nomi, citati en passant, di Philippe Soupault e Paul Morand non impediscono al lettore avvertito di leggere tra le righe quelli di Maupassant, Schwob, Gide. Rimandano insomma a quella letteratura di fine secolo, lontana dalla radicalità di Rimbaud o di Germain Nouveau, che in sintonia con una certa lezione nietzscheana aveva invitato a evadere dalla 'prigione' rappresentata da ogni fissa dimora così come da ogni abitudine, e a scegliere la 'vita errante' in cui portare la propria insaziabile 'sete d'avventure', la propria fame di conoscenza dell'ignoto: quello che sta fuori di noi e quello che ci portiamo dentro. D'altra parte, l'insistenza della polemica sul «rimbaldismo contemporaneo» sembra investire altre tendenze: tra queste Le Grand Jeu, la rivista diretta da Roger Gilbert Lecomte, René Daumal, Joseph Sima e Roger Vailland, che usciva nell'estate di quello stesso anno. Mentre riprendeva l'invito a «partir sur !es routes», a uscire dalle norme etico-morali codificate e dalle strutture logiche del pensiero, essa proclamava la necessità della Rivolta come «sola possibilità di evasione e di liberazione». Nel numero successivo - che è della primavera '29, posteriore dunque al Trattato di Aragon, e tutto dominato dalla parola di Rimbaud - Daumal e Gilbert Lecomte sentivano il bisogno di una 'messa a punto' in cui precisavano la loro estraneità alla speranza, si qualificavano «tecnici della disperazione», ribadivano l'impegno a praticare la delusione sistematica, e definivano il Grand Jeu «interamente e sistematicamente distruttore». Come unico dogma, assumevano il CASSE-DOGME, spinto fino al CASSE SOI-MEME. La Rivolta su cui si fondava il loro programma, o almeno il gruppo, non andava infatti in direzione di una crescita dell'io, bensì di una sua dissoluzione; insieme alla diSandra Teroni struzione, percorreva le vie dell'uscita e dell'estasi. La sfida era a sortir, esplicitato come «uscire dall'essere umano». Totale assenza di finalità e di direzione, dunque, «slancio», «tensione forsennata» più che movimento, ma slancio coniugato con la «rinuncia continua», orientata verso la «pureté du vide», passando per tutti i procedimenti di spersonalizzazione. Su questa via avveniva l'incontro con le culture della veggenza, dello yoga, della tradizione occulta, del pensiero primitivo. L'esigenza affermata di «changer de pian» non era infatti riducibile al «cambiare sguardo» predicato da Gide. 11 saggio di Lévinas si muove almeno inizialmente in quest'area semantica: evasione, rivolta, nausea, uscita, sottrarsi a ciò ·che si è. Ma al tempo stesso Proscenio del Mil.nchner Kil.nstler-Theater riformula la questione, non soltanto portandola ai livelli della speculazione filosofica, tutto sommato estranei ai precedenti letterari, ma anche stabilendo diverse relazioni tra i termini. Nel rapporto tra nausea e evasione si passa dalla formulazione 'il bisogno di evasione è il tentativo di sottrarsi alla nausea' alla formulazione 'la nausea è il sintomo del bisogno di evasione'; in quello. tra nausea e rivolta non è più la prima che genera la seconda, ma viceversa. Sulla questione del sortir lo spostamento passa attraverso un uso forte del verbo, liberato da ogni possibile transitività (l'excédance contrapposta alla trascendenza), e il rifiuto di decidere se sia possibile o no 'uscire', implicito nella scelta di riconoscere questo bisogno e di tentare di decifrarlo. 'Sottrarsi a ciò che si è' è un'altra formula assunta in senso forte: diventa «sottrarsi all'essere», mentre ancora una volta la valutazione di impossibilità dell'impresa non ostacola l'analisi della tensione. Ciò che interessa Lévinas e fa l'oggetto della sua analisi è proprio la contraddizione, la compresenza degli opposti: esperienza dell'essere e nausea, imperiosa necessità e rigorosa impossibilità di 'uscire'. Nel bisogno di evasione - letto come Ùna conoscenza dell'essere dell'io che fa tutt'uno col soffocamento e con la spinta a uscirne - egli vede «la più radicale condanna della filosofia dell'essere» (p. 16), cioè di una filosofia fondata su una concezione dell'io come «autosufficiente», mutuata dall'immagine di essere offerta dalle cose. Vi vede anche l'espressione in forme drammatiche di una crisi dell'identità, poiché il bisogno di 'uscire fuori da se stessi' implica che si voglia spezzare «l'incatenamento più radicale, più irremissibile, il fatto che l'io è se stesso» (p. 20). La lettura che Lévinas faceva nel '35 del bisogno di evasione era talmente nuova che per introdurla egli doveva distinguere con insistenza questo bisogno non solo dal bisogno di trascendenza caro ai romantici, ma anche da espressioni molto più vicine nel tempo, come le teorie bergsoniane dello 'slancio vitale' e dell' 'evoluzione creatrice' (a cui pure riconosceva di rompere con la rigidità dell'essere classico), nonché dalla tematica letteraria della fuga dai limiti· dell'io per la realizzazione di tutti i compossibili. L'inquietudine che percorre •quasi due secoli di letteratura, pur differenziata nelle forine di espressione, viene a essere collocata sotto il comune denominatore della «fuga dai limiti dell'essere»; ma altro si può intèndere parlando di evasione, e altro intende Lévinas nella sua ridefinizione: l'evasione è «fuga dall'essere», nell'evasione l'io si fugge di fronte al fat~obrutale della sua esistenza. La tematica dell'evasione non è più trattata come risposta (più o meno velleitaria) a un altro bisogno, bensì come espressione di un bisogno; m quanto tale essa è dunque analizzata, al fine di delucidarne la natura e il significato. Il discorso, tutto giocato sulle metafore del vuoto e del pieno, del dentro e del fuori, segue un movimento circolare: partendo dall'evasione, esso conduce dal bisogno al piacere, dal piacere alla vergogna, dalla vergogna alla nausea e da questa di nuovo all'evasione. L'analisi della struttura del bisogno è centrata sui due poli entro cui esso si muove: il malessere che ne denota il sorgere, e la soddisfazione a cui sembra aspirare. Il primo, interpretato come un fatto dinamico («etre mal à son aise»), rifiuto di stare, sforzo per uscire, di cui si valorizza l'indeterminatezza dello scopo che l'uscita si propone. La seconda, constatata come sempre inadeguata (riproposizione del bisogno), e seguita da delusione; da cui la legittimità della domanda se «placare il bisogno» sia davvero nelle esigenze iniziali del bisogno stesso. Questa contestazione del bisogno come manque si accompagna alla lettura del piacere come delusione e inganno. La fenomenologia del piacere che Lévinas propone - ancora una volta il termine è preso in senso forte, rinviando al rapporto amoroso, è fa pensare a Bataille - lo rivela incapace di realizzare ciò che doveva promettere e sembrava permettere: l'abbandono di sé, nel senso anche dell'uscir fuori da sé, la liberazione da «una specie di peso morto al fondo del nostro essere» (p. 27). In questo senso il piacere è definito una promessa di evasione che si rivela fallace. E in questo senso la vergogna successiva alla caduta del piacere nel momento in cui l'estasi sembrava vicina segnala l'incapacità di rompere con se stessi e di perdersi, l'impossibilità radicale di fuggitsi per nascondersi a se stessi. La rivolta che accompagna questa esperienza dell'essere incatenati (rivés) a se stessi è all'origine della nausea, situazione-limite in cui sono esperiti insieme il pieno della presenza e «l'impossibilità di essere ciò che si è». « Esperienza ( ... ) de/l'essere puro» (p. 38), nella sua nudità, la nausea è al tempo stesso esperienza dell'evasione che s'impone e dell'impotenza a uscire da questa presenza. L o scavo di un tema letterario - assunto come il «tema inimitabile che ci propone di uscire dall'essere» (p.18) e us<!.10-- in un ripensamento critico del pensiero heideggeriano - preparava l'entrata in scena di Antoine Roquentin, il personaggio letterario a cui da allora sarebbe stata associata la Nausea. Non a caso, Lévinas rende un esplicito omaggio a Céline, per avere, nel Voyage au bout ,de la nuit, «spogliato l'universo» grazie a «una meravigliosa arte del linguaggio» (p. 34); attraverso la visione allucinata di Bardamu, la realtà rivela la sua essenza. Ed è Nausea - non un disturbo passeggero o intermittente, ma assunzione disgustata di ciò che è. Abolita ogni gerarchia tra umano e non umano, tutto è travolto nello stesso caos organico, connotato dalla ripetizione ossessiva degli stessi aggettivi. Il viaggio verso l'ignoto del Continente Nero e del Nuovo Mondo, poi lo spostamento all'interno di se stesso, nella propria notte, portano alla conoscenza della stessa realtà - intenable per dirla con Lévinas. De/l'evasione fa anche da cerniera con l'area semantica della Nausea, quella in cui s'incontrano i disgusti di Bardamu e le allucinate elucubrazioni di Roquentin, antieroe romanzesco che ha letto Husserl e Heidegger. A Roquentin Sartre fa vivere l'avventura di liberarsi di tutto ciò che riempie e nasconde («veste», diceva Lévinas) l'esistenza - non solo il lavoro e i legami sociali, ma anche il ricordo e le categorie logi-
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