Il gustodell,.,;n~iscrezione Otto Brunner Vita nobiliare e cultura europe.a trad. it. di G. Panzieri Bologna, Il Mulino, 1982 pp. 400, lire 25.000 Hans Georg Gadamer Verità e metodo trad. it. e cura di G. Vattimo Milano, Bompiani, 1983 pp. 582, lire 30.000 D ue ristampe benvenute, e da lungo tempo attese: ma in un caso viene riproposta l'opera di un grande storico tedesco contemporaneo, nell'altro un classico del dibattito sull'ermeneutica in Germania e in Europa. Due iniziative editoriali così distanti tra loro possono preterintenzionalmente convergere nella segnalazione di un arco di problemi? Almeno un nome, che ha interessato sia Brunner che Gadamer, basterebbe ad autorizzare una risposta affermativa: Balthasar Gracian, gesuita, morto nel 1658, veicolo decisivo della fondazione di una morale laica. Caro a Nietzsche, carissimo a Schopenhauer, che ne tradusse l'Orticulo Manual, Graci?n occupa uno spazio preciso nella letteratura morale tedesca, al punto che già alla fine del secolo scorso l'impatto delle sue opere meritò un'indagine monografica (K. Borinski, Balthasar Gracian und die Hofliteratur in Deutschland, 1894). Lo stravagante e ribelle Christian Thomasius fece addirittura coincidere la sua polemica rinuncia al latino come lingua obbligatoria dell'insegnamento universitario con un corso (il primo in lingua tedesca, 1687), a Lipsia, sull'Orticulo Manual. Gadamer incontra Gracian ricostruendo le tappe sei-settecentesche del gusto. Prima che Kant imprima una svolta estetica alla carriera concettuale del gusto, ci si muove a cavallo tra determinazioni morali e qualità estetiche. Il «grand siècle» ha dato, con il Don Chisciotte di Cervantes, un violento strattone all'ideale cavalleresco e nobiliare di humanitas. E ha poi proseguito la sua marcia trovando un punto di coagulo, oltre che nella querelle tra antichi e moderni, nelle riflessioni postume di La Rochefoucauld. È raro il buon gusto «che sa attribuire l'esatto valore ad ogni cosa, ne conosce tutti i pregi e sa esprimersi su tutto: le nostre conoscenze sono troppo limitate e la corretta disposizione delle qualità che fanno giudicare bene solitamente si conserva solo per le cose che non ci riguardano direttamente». Invece: «Quando si tratta di noi, il nostro gusto non ha più que- ~ sta esattezza (justesse) così necests saria. i preconcetti la turbano. tut- -~ to ciò che ha qualche rapporto con [ noi ci si presenta sotto un altro ~ aspetto». -..... C'è qualcosa che allontana irrig mediabilmente il gusto della veri- -~ tà, ma c'è qualcosa che, a dispetto 0() di ogni justesse, gli toglie un'im- ....... 10 pronta di arbitrio soggettivistico. i.: Sarà il problema di Kant: «sul gu- ~ sto c'è lotta, ma non disputa». In l La Rochefoucauld, intanto, appa1:i re evidente che la sicurezza del gusto (e del giudizio) si abbina alla possibilità di «prendere le distanze» e di valutare qualcosa, o qualcuno, evitando un eccessivo coinvolgimento personale. A rte della distinzione. insomma, ma come tecnica della lontananza. Né Gadamer né Brunner hanno insistito su un titolo significativo della bibliografia di Gracian: El Discreto (1646: lo si legge in B. Gracian, Obras completas, Madrid, Aguilar, 1960). Un inno alla prudenza, la grande virtù del Seicento, ma anche alla capacità di discernere, di distinguere, di «saggiare». L'uomo d'ingegno è l'uomo colto, l'«hombre en su punto», che può scegliere con consapevolezza e riflessione incamerando ciò di cui il gusto è ormai generalmente accreditato: un elemento di mediazione tra l'impulso sensibile e la libertà spirituale. Lo scatto sentimentale implicito nel gusto non è passibile di definizione univoca. Quel che invece viene delineandosi con chiarezza è la qualificazione negativa del gusto: il contrario del buon gusto è il non aver gusto, più che il cattivo gusto. Si punta su una sensibilità che rifugge da tutto ciò che la urta ma che, al positivo, è indimostrabile: il gusto si ha o non si ha, e troppe decisioni pratiche sono razionalmente infondabili. Nella ricerca di Gadamer questo interesse per le sfumature sottili (e recalcitranti al logos) rimanda più volte alla distinzione aristotelica tra la phronesis e l'episteme: e soprattutto all'immutabilità dell'oggetto della scienza, che in tanto è dimostrabile in quanto è suscettibile di apprendimento universale. La fascia di ciò che è dimostrabile viene però costantemente assottigliandosi: le conseguenze di questa svolta, lungamente preparata, sono incalcolabili. I suoi effetti sembrano depositarsi, tra l'altro, in quella che Gadamer analizza. forse troppo pacatamente. come «ermeneutica giuridica», e che non poche inquietudini può riservare. Ernst Forsthoff, giurista e politologo tedesco del nostro secolo al quale accenna anche Gadamer. ha osservato una volta - lo rammentava Cari Schmitt in uno scritto del 1961- che nelle più alte corti tedesche e nella dottrina costituzionale sottesa alla Legge fondamentale della Repubblica di Bonn è stata sconvolta l'ermeneutica giuridica tradizionale. e con essa sono state sconvolte la razionalità e l'evidenza della legge costituzionale. Al termine di questo processo può configurarsi una situazione che, parafrasando Hobbes e Schmitt. si riassumerebbe in termini drammatici: Va/or, non veritas facit legem. È da considerarsi un puro caso - si chiede Gadamer - il fatto che le lezioni di ermeneutica di Schleiermacher siano pubblicate, nell'edizione postuma, due anni prima del Geist des romischen Rechts (1840) di von Savigny? L'ermeneutica delle scienze dello spirito non è così lontana dall'ermeneutica giuridica: se la dogmatica del diritto denuncia inevitabilmente vuoti e lacune, il compito dell'interpretazione diventa quello della concretizzazione della legge, cioè dell'applicazione. Tra ermeneutica giuridica e dogmatica giuridica sussiste un rapporto costitutivo, nel quale l'ermeneutica ha la posizione preminente perché si è rivelata inso- ·stenibile l'idea di una dogmatica giuridica perfetta, nella quale ogni giudizio sia solo un puro atto di sussunzione del particolare all'universale. Se così stanno le cose, Gadamer rischia di sottostimare le ombre di cui è cosparso il cammino che da El Discreto di Gracian perviene alla moderna discrezionalità del giudice: quando il caso concreto mostrerà di non essere riassorbibile entro binari prescrittivi formali e generalissimi, ci sarà chi. nel secolo XX. non esiterà a sacrificare la certezza del diritto all'unicità e all'irripetibilità della decisione concreta. La preistoria dell'ermeneutica - e sarebbe lecito dire: del gusto - è anche la vicenda dell'affossamento dei modelli giusnaturalistici e della concordanza di verum e iustum. Finché c'è un testo, l'interpretazione è applicazione: ma quando classique all'illuminismo ciò che scompare non è solo un'immagine della vita - un·antica ontologia e una radicata idea del cosmo -. la «urbs diis hominibusque commu- • nis». il cui curriculum era stato plurisecolare. Ciò che compare. è d'obbligo aggiungere. è la forza: ed è assai suggestivo il fatto che. come ricorda Brunner. Amelot de la Houssaye traduca in francese nel 1683 il Principe di Machiavelli e nel 1684 l'Oraculo Manual di Gracian. È quasi. si direbbe ricorrendo a un lessico diverso. una transizione dalla qualità alla prestazione: l'humanitas di matrice nobiliare può contare su un gruppo di schemi di comportamento esemplari (di paradigmi. appunto) organizzati attorno alla virtù. Ma ora «poco importa la honra antigua, si la infamia es mooerna». (Gracian). Poeo importa la magnificenza antica, se il disonore è attuale. Le qualità appartengono a un mondo di ruoli fissi e di oggettivazioni obbligate. le prestazioni immettono invece in quel regno della intersoggettività costruito su scambi simbolici e sotti!i mutualità, che Pablo Picasso, sipario centrale di Mercure. 1924, Parigi, Musée National d'Art Moderne la crisi dei fondamenti avrà svuotato i testi, si aprirà un capitolo nervoso e allarmante. nel quale l'incertezza diventerà un attributo non solo del gusto, ma anche del diritto. L'ermeneutica si, esalta a fronte non delle identità, ma delle differenze: e il diritto è perennemente imbarazzato, e quasi snaturato, quando è costretto ad avventurarsi in terre lontane da quelle che ospitano il suo connaturale formalismo. Verità e metodo, opera di un originale lettore di Heidegger. è uno di quei libri-chiave che si pongono deliberatamente all'incrocio di molti saperi: e in qualche sua pagina particolarmente felice riesce a restituire quel tanto di tribunalizio che è anche nel più amabile giudizio di gusto. e quel tanto di esteticamente capriccioso che è anche nella più piatta utilizzazione/interpretazione del codice penale. A ltro settore ·di intervento è quello di Brunner. Diversa la strumentazione. diverso l'oggetto. Ma la distanza non è poi abissale. Nel passaggio dall'esprit accrescono il margine dell'accidente e del rischio - dell'imponderabile nei comportamenti altrui. Non appare un caso che tutto questo processo trovi una provvisoria conclusione. tra la fine del Settecento e i primi anni dell'Ottocento. in Schleiermacher. che è il fondatore dell'ermeneutica moderna: ma anche uno dei più acuti sistematori concettuali della «socievolezza» (Geselligkeit). L'eclisse della virtù come parametro solido di riferimento apre il mondo alla differenziazione: e si materializza intanto nella lotta tra nobiltà e corte. Di questa tensione la raffinata sensibilità storiografica di Norbert Elias ci ha dato un quadro di alta attendibilità. Ma anche Brunner può cogliere. nei versi di Wolf Helmhard von Hohberg. il nobiluomo del Seicento attorno alla cui figura e alla cui esperienza è strutturata la parte centrale del libro, la percezione dei pericoli della corte: «Cosa vediamo in città? cortigiani scrocconi. sfaccendati. / plebaglia senza fren_o_.velenoso motteggio e tradimento. / ed anche la calunnia; ivi è la patria della menzogna, / all'arte si antepone il favore e il denaro è virtù». Entra in crisi non tanto la veridicità come principio di condotta di vita, quanto il suo stesso ancoraggio: la simulazione (e la dissimulazione) si impone come pratica autonoma e tecnicamente collaudata entro la quale non avrebbe più senso discernere gli scopi dai mezzi. È legittimo pensare che lo scompaginarsi delle qualità «fisse» nobiliari sia il retroterra ideale della maturazione dell'ermeneutica quotidiana: quando l'agire individuale non è più la proiezione speculare di lineamenti comportamentali associabili al lignaggio. allo status sociale. alla tradizione cavalleresca, comprendere i motivi dell'agire altrui diventa una manovra interpretativa gravida di rischi. Si restringe l'area del prevedibile e del mentalmente anticipabile. Il problema all'ordine del giornd non è mai la trasparenza: è semmai la possibilità di costruire. anche nei rapporti sociali. qualcosa di simile ~I gusto. Il gusto si esercita solo sulle cose indifferenti .. o tutt'al più di divertimento, e non sulle cose che concernono i nostri bisogni. si legge nel!' Emilio di Rousseau: per queste ultime basta l'appetito. Eppure l'estetizzazione del gusto non dovrebbe fuorviare: qualcosa di grintoso. di offensivo, di irriducibilmente decisionale vi rimane. e può entrare in azione proprio quando si è allentato il grado di coinvolgimento diretto di chi deve giudicare. Ci si può chiedere allora se la caduta dell'areté antica. con il suo bagaglio aristocratico che permetteva, come osserva Brunner. di far confluire armonicamente vero essere e bene supremo. non sia sopravvenuta molto tardi. È una delle tesi di Gadamer: finché l'ordine dell'essente è considerato come qualcosa di esso stesso divino o come creazione di Dio. cioè fino al XVIII secolo. l'ordine ontologico include anche l'eccezione rappresentata dall'arte. Solo più tardi avvengono mutamenti radicali. Ma nel XVIII secolo l'ormai agonizzante idea greca del kosmos, e della bellezza come misura e simmetria. va a riconvertirsi in un'estetica della perfezione. Nella quale viene però determinandosi uno spostamento rilevante: al bello si accoppia il sublime (in funzione oppositiva o complementare). oppure il bello stesso viene caricandosi di valenze maestose. austere, solenni. Il disfacimento del vecchio mondo culturale europeo. compatto e raccolto. tetragono e saturo. tiene a battesimo anche quella che, con parola francese (ma curiosamente accolta in terra inglese e scozzese: per esempio in Francis Hutcheson) viene chiamata grandeur: e che viene spesso decisamente ascritta ai macro-organismi istituzionali, allo Stato, alle strutture del civil government. Come a dire che. in un mondo che sta incubando le possibili leziosaggini dello small is beautiful, qualcosa di gigantesco, dotato di una ordinata dispositio, resiste: le istituzioni.
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