Alfabeta - anno VI - n. 61 - giugno 1984

,. .. nulla come struttura trascendentale dentro cui il nulla appare come sinonimo di male e di negatività ontologica. Ma Caracciolo cita anche quella che Nietzsche in Umano, troppo umano chiama «la più seria delle parodie da me udite»: «In principio era il Nonsenso, e il Nonsenso era, presso Dio! e Dio era il Nonsenso». Ebbene, leggere la parodia di Nietzsche sulla scorta delle indicazioni heideggeriane significa, secondo Caracciolo, far compiere al nichilismo un passo in più: passo, questo, che ne impone la svolta religiosa. Ciò che qui viene in chiaro, infatti, è lo spazio in cui si rende possibile «così l'apparire come lo sparire di ogni figura di Dio, il teismo e l'ateismo, la preghiera e la bestemmia». Spazio religiosamente strutturato, appunto. Dice Caracciolo: se inizio e principio del filosofare è «il coraggio di guardare in faccia la realtà del niente», come non interrogarsi sul principio in base al quale il Nichts cessa di essere nichtig (nullo) ma si svela nichtend ( nullificante)? Ma allora si finisce inevitabilmente con l'andare incontro al problema che, con nichilistica coerenza, ci si era lasciati dietro le spalle: il problema di Dio. Guardare il niente in quanto niente e cioè nella sua negatività, in senso etico, è già guardarlo nella luce d'una postulata redenzione. «In questa linea - conclude Caracciolo richiamandosi a Wilhelm Weischedel - l'occuparsi del problema di Dio non può avere per il filosofo altro significato se non quello di cercare un senso ultimo a ciò che pare destituito di senso». Tanto poco questo «cercare un senso ultimo» ha carattere regressivo e pre-nichilistico, che non può veramente farsi problema se non dentro il nichilismo stesso. Ma com'è possibile, chiede Caracciolo, che il senso e dunque il sì all'essere scaturiscano dal negativo? Su questo punto il richiamo a Heidegger .é!Ppare a Caracciolo fondamentale. «Se nello spazio religioso può apparire il genio maligno, può morire Dio, può sorgere la rivolta ontologica - non è perché quello spazio sia dominato dal principio del male. Proprio l'opposto: ciò che lo domina è anzi quello che, su una potente indicazione di Heidegger, si potrebbe chiamare 1'apriori dell'eterno. ( ... ) Per il signoreggiare in lui di questo apriori come criterio fondamentale di giudizio, l'uomo non può affermare il genio maligno, se non qualificandolo appunto maligno e perciò facendo che s'affermi contro di esso e sopra di esso un imperativo ontologico che non solo lo condanna, ma segna i limiti del suo essere». A nche altre strade, per?, possono essere percorse m questa stessa direzione, cioè nella direzione d'un pensiero che pensa «religiosamente» il nichilismo. Compresa quella, solitaria e difficile, che scavalca polemicamente la tradizione filosofica per ritrovarsi su quel confine sempre più precario che è la sola scriptura, la nuda fede biblica. Mi riferisco al libro pubblicato recentemente presso Adelphi da Sergio Quinzio. Il quale rimprovera alla tradizione filosofica occidentale e a Heidegger in particolare di non sapere, anzi, di non potere (dato che la matrice, la struttura di pensiero resta fondamentalmente quella greca) rendere conto in modo adeguato del significato per l'Occidente dell'irruzione, sia pure subito imbrigliata dalla vincente grecità, del messaggio ebraico-cristiano. Esso è essenzialmente messaggio di salvezza e di redenzione; tale, cioè, da rappresentare un paradigma per cui il mondo moderno non è, heideggerianamente, «perfetta alienazione che non si confronta più con nulla, ma·è il tragico fallimento di una misericordiosa speranza», e più precisamente «è un'enorme malattia cresciuta nello spazio del mancato evento escatologico, una malattia disperata perché consiste nella perdita della 'naturale' rassegnazione alla sofferenza e alla morte». Non a caso Heidegger deve tornare ai prepotrà aver luogo solo se il mondo si capovolge da capo a fondo e perciò «l'abisso deve essere riconosciuto fino in fondo»), il moderno affrontamento del nulla resta «bruciante». Certo, scrive Quinzio, «molte esperienze del Novecento bordeggiano il nulla, ma lasciando in silenzio la domanda di salvezza: non bonificano la negatività, anzi ne fanno il loro demone interiore, La Piazza di Siena, da Joseph Furttenbach (il vecchio), Architectura Recreationis, Ausburg, 1640 socratici per vedere nella modernità il puro e semplice nulla dell'essere, nulla neppure più dicibile e tanto meno patibile perché nulla è ormai l'essere stesso. Invece, secondo Quinzio (che altrove però sembra far sua, citandola, la celebre affermazione heideggeriana di Perché i poeti secondo la quale, se alla nostra epoca è ancora riservata una svolta, questa un'odissea senza approdo intorno all'assenza e all'inanità». Eppure tutto questo - demone interiore, odissea senza approdo, ecc. - è in realtà tale «solo perché sussiste una traccia, una memoria, una nostalgia della domanda di salvezza». E certo, quando questa traccia e questa memoria si siano del tutto cancellate, il nulla, di per sé, non avrà più niente di tragico e di UN ALTERPIENODI IDEE,COMICS,CLIPEBADGE disperato. Allora l'11pprodo non potrà che apparire un «approdonaufragio sereno e giocoso, un non prendersi sul serio, uno spegnimento di ogni domanda». Ma anche allora - anzi, allora più che mai - ci si troverà esposti al colpo di ritorno del tragico. Quinzio in proposito parla, esattamente come Caracciolo, del «coraggio di fissare il volto del nulla»; e se Caracciolo aveva accennato alla «conversione» del negativo nel sì all'essere e alla vita come al pulsare dell'essere nella stessa forza che lo nega, ora Quinzio scrive che «fissato, il volto del nulla può convertirsi nel volto del Dio impotente nella storia». Al che si potrebbe obiettare - come qualcuno ha fatto - che questo è possibile grazie a un espediente tipicamente dialettico, anzi teologico-dialettico: si tratterebbe, insomma, ancora una volta del «salto», cioè del movimento per cui è la stessa spinta all'ingiù, è la stessa battuta a risospingere verso l'alto, così come è la negazione a restituire il proprio contenuto negato. Espediente, questo, che il nichilismo rende inefficace: perché, nichilisticamente, lo scendere è uno scendere univoco nel processo di svuotamento e di abbassamento, lo scendere è uno scendere e basta. Resta però il dubbio che le cose stiano proprio così e si lascino così facilmente risistemare nel quadro d'un nichilismo antidialettico e in definitiva antitragico. E, col dubbio, l'ipotesi che a muovere autori come Caracciolo e come Quinzio sia il legittimo tentativo di rendere effettivamente pensabile lo svuotamento e l'abbassamento: tant'è vero che in questione qui non è se non ciò che resta in basso e dal basso, dall'assolutamente basso (scandalo del male e sue implicazioni), osa avanzare domande tragicamente improponibili o quasi. ~ ::: ii u ii o ii l. :; . i. 00 ~ c::s ~ -~ c:i.. ~ ~ ..... o ~ C(I ::t ~ .... -o i;: ~ cu .Q c::s t;-. c::s

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==