P sicoanalisi e/o istituzione è un vecchio problema che non cessa di far scrivere, che impone la scrittura perché esclude la possibilità di una soluzione univoca. Per questo gli scritti de Il gioco impari (Milano, Angeli, 1983: raccolta di interventi al seminario su psicoanalisi e istituzione tenuto nel 1981-82presso la Federazione milanese del Pci) si ordinano secondo il discorso peculiare a ciascun autore senza toccarsi quasi mai. Un'eterogeneità programmatica che non pretende soluzioni, premettono i curatori. Al lettore vien fatto di chiedersi: chi intende che cosa per psicoanalisi? Chi intende che cosa per istituzione? Chi, ad esempio Sergio Finzi e Virginia Finzi Ghisi, usa il termine 'istituzione' nel senso di 'fondazione' (per la psicoanalisi l'istituzione fondamentale è fondazione del luogo della clinica), si pone in un'ottica molto diversa da quella di chi, come i curatori, è interessato alla psicoanalisi in quanto scienza sociale, e perciò strumento di analisi di che cosa è oggi un'istituzione. Nel secondo caso, si allude al significato protocollare, prescrittivo del termine, nel primo alla sua funzione inaugurale. Inoltre, un conto è considerare la psicoanalisi come scienza ordinata da una prassi - la clinica, appunto -, un'altra utilizzarla come griglia di lettura del sociale. A monte di ogni congiunzione o disgiunzione - di e/o - proposta dagli autori, porrei un'ulteriore questione che si aggancia solo in apparenza tangenzialmente a quella, rilevante e sottile, posta da Silvia Vegetti in questo stesso volume: le conseguenze sulla teoria psicoanalitica del misconoscimento freulilegamedeglianalisti diano della violenza del padre sul. figlio, veicolata da un mito - poco conosciuto e taciuto nella versione sofoclea dell'E~ipo - che racconta di come Laio, invaghito del giovanetto Crisippo, avesse tentato di violentarlo e di come questi, per sfuggirgli, si fosse suicidato. «Questa vicenda paterna, connessa al dramma da legami non certo marginali, vieneposta fuori testo sia da Sofocle, sia da Freud (... ). La colpa di Laio rappresenta la presa di possesso violenta dell'uomo sull'uomo, l'espropriazione del corpo più debole da parte del più forte» (p. 59). La questione è: lapsicoanalisi~ inventato dei nuovi modelli di organizzazione sociale? Il processo di istituzionalizzazione di quello che Freud definiva «movimento psicoanalitico» ha un tempo d'inizio ed è avvenuto tra conflitti, polemiche e mediazioni faticose. L'ordine gerarchico, le regoleprescrittive non hanno forse introdotto, come in ogni altra forma di legame sociale, la dimensione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo? Sulla scorta delle notizie forni te da Balint e Bernfeld, Moustaphà Safouan (Jacques Lacan et la question de la formation des analystes, Paris, Éd. du Seui/, 1983), uno dei primi allievi di Lacan, ha analizzato quel momento di trasformazione radicaledel movimento analitico negli anni 1923-'24, quando la Commissione d'insegnamento della Società psicoanalitica di Berlino decide di regolamentare le sue attività: la selezione dei candidati analisti attraverso tre colloqui preliminari, la durata dell'analisi, la designazione degli analisti didatti, il giudizio su quando un'analisi può considerarsi finita, il diMarisa Fiumanò vieto di definirsi analistaprima del- /' ammissione formale nella Società. Queste norme (tuttora in vigore, con piccole varianti non essènziali) appaiono scontate oggi, ma ali'epoca risuonavano come inaudite nel mondo analitico. Fino ad allora, la lunghezza delle analisi degli aspiranti analisti e le modalità della trasmissione teorica variavano secondo i desideri di ciascun allievo, la natura dei suoi sintomi, la contingenza del suo caso. Tutto cambia bruscamente allafine i:iellapricliniche, scuole, socie(à corporative. Alla stessa epoca si ha notizia del cancro alla mascella di Freud, che ne faceva prevedere vicina la morte. Come nel mito de~'orda primitiva da lui stesso tratteggiato in Totem e Tabù, si produce un accordo tra i suoi allievi dopo l'uc- ·cisione - in questo caso augurata - del padre; il pretesto che lo dissimulava era la necessitàdi proteggere la psicoanalisi dall'eterodossia. Quanto questo processo di istituzionalizzazione fosse una falsa necessità, è dimostrato dalle incertezJuan Mir6, bozzetto per il sipario di Jeux d'enfants, Ballets Russes, 1931 ma guerra mondiale, quando ali'eroismo e alle difficoltà dei primi tempi si sostituisce il successo, ai più vari livelli culturali e sociali, della nuova disciplina. Curiosamente - nota ironicamente Bernfeld - gli psicoanalisti desideravano acquisire, finalmente, uno statuto di rispettabilitàdopo tanta emarginazione; avereproprie ze, dalla varietà di posizioni e di idee sulle questioni della didattica nonché dalla scarsa letteraturasul- /' argomento. In breve, lapsicoanalisi si istituzionalizza nel momento in cui gli analisti cedono alle rassicurazioni fornite dal funzionamento gerarchico e regolano il loro legame secondo le norme di ogni altro legame sociale. Possono gli analisti tentare d'inventare delle forme di legame sociale che si sottraggano alla logica della gerarchia e del potere? Dopo Freud, Lacan ha ritentato l'impresa e proprio quando la sua Scuola raccoglievaconsensi, ': appartenervi non era più uno stigma ma un segno di prestigio sociale, l'ha sciolta - poco prima di morire. Come dire che la psicoanalisi non è garantita dalle sue istituzioni ma dalla sua capacità di essere fedele allo spirito della invenzione di Freud. Naturalmente, gli analisti non sono vaccinati dal potere e" dalla complicità con leforme comuni del legame sociale, ma sono - o dovrebbero essere - obbligati a domandarsi come, perché e in che misura stanno al giÒco sociale quando esso coinvolge la loro funzione. Chiedersi allora che cos'è per la psicoanalisi un'istituzione può trovare risposte solo se la psicoanalisi si è già chiesta l. se non si sia fatta istituzione essa stessa, 2. quali vantaggi - in questo caso - ne ricavi, 3. se all'invenzione dell'inconscio non debba corrispondere l'invenzione di qualcosa che - anche in termini organizzativi - caratterizzi il legame fra analisti come prodotto del- /' esperienza di un altro discorso. Autori vari • Il gioco impari a c. di A. Voltolin e M. Cirlà prefazione di M. Spinella Milano, Angeli, 1983 pp. 173, lire 14.000 Moustaphà Safouan Jacques Lacan et la question de la formation des analystes Paris, Éd. du Seui!, 1983 pp. 91 Unaltronichilismo Alberto Caracciolo Nichilismo ed etica Genova, Il melangolo, 1983 pp. 262, lire 16.000 Sergio Quinzio La croce e il nulla Milano, Adelphi, 1984 pp. 228, li~ 15.000 LJ ammonimento di Gramsci al padre Bresciani e, con lui, ai teologi e ai pensatori religiosi in genere («lasciate che siano gli atei a dire che cos'è l'ateismo e non preoccupatevi d'insegnarglielo») potrebbe essere aggiornato, come del resto è stato fatto, in chiave nichilistica: lasciate che siano i nichilisti... Sono sempre più numerosi, infatti, i tentativi di proporre da un punto di vista religioso valutazioni com- "- plessive d'un fenomeno che di N -:s quel punto di vista sembra rappre- -5 sentare la liquidazione. Ma davve- ~ Cl. ro qualsiasi discorso religioso sul ~ nichilismo finisce inevitabilmente -. fuori gioco, in quanto arroccato su ~ posizioni che il nichilismo, avan- ~ zando, spiazza? Davvero riportare •00 l'esperienza nichilistica a quella ..... 'O religiosa tradisce nostalgie metafisiche per l'origine, il fondamento, ~ il senso pieno e compiuto, cioè per ~ tutto ciò che il nichilismo di fatto ~ ha già risucchiato dentro di sé e dissolto? Intanto, bisogna dire che la pretesa del nichilismo d'essere il solo buon giudice di se stesso è per lo meno esposta a vedersi ritorcere contro il citato ammonimento gramsciano. Accade al nichilismo, infatti, non solo di doversi confrontare con l'esperienza religiosa, ma in definitiva di costituirsi e di affermarsi proprio attraverso questo confronto. Per esempio: è attraverso l'annuncio della morte di Dio, e attraverso la conseguente dissoluzione d'un pensiero avente nella fede in Dio la sua ragion d'essere, che il nichilismo si propone come la struttura teorica entro cui si rendono pensabili quella morte e quella dissoluzione. In secondo luogo, c'è da dire che, storicamente, il nichilismo ha trovato i suoi modelli all'interno della religiosità ebraico-cristiana, ed è anzi quel tipo di religiosità che in fondo ne contiene e ne spiega la genesi. Nessun nichilismo, se non a partire dall'idea di creazione e dunque dall'idea che ciò che è possa realmente non essere stato o non più essere; nessun reale scuotamento ontologico, se non a partire dallo svuotarsi di Dio stesso (fino a «farsi servo», secondo l'espressione paolina), ecc. Ma se è vero che, almeno rispetto al suo prodursi, il nichilismo Sergio Givone non può non essere riportato all'orizzonte religioso che lo precede, è anche vero che questo orizzonte implica il nichilismo come qualcosa che gli appartiene e resta al suo interno come possibilità permanente e effettiva: al punto che si potrebbe affermare, capovolgendo, che è la fede a nascere dal nichilismo, perché non solo la fede non ha senso se non là dove, nichilisticamente, viene a mancare qualsiasi ragione fondante, ma soprattutto non ha senso se non nell'esperienza del non senso. Di conseguenza la questione reApparato funeore di Paolo Parigi, 1644, incisione su rame di Cecchi Conti, Monaco, Deutsches Theatermuseum ligiosa del nichilismo, ben lungi dal lasciarsi confinare nell'apologetica, appare inevitabile, tanto dal punto di vista religioso quanto dal puntò di vista nichilistico. Ne va in essa del nichilismo come d'un momento essenziale di autochiarificazione da-parte d'un pensiero che esplicita e, anziché sciogliersene, conferma la propria dipendenza da categorie di ordine religioso. Ma appunto ne va del nichilismo; e non è detto che il nichilismo non pervenga, qui, a chiarire a se stesso e magari a mettere in questione la propria pretesa di definitività e di non oltrepassabilità. Infatti, se il nichilismo imputa non ingiustificatamente alla tradizione religiosa che lo precede di non sapersi abbandonare a se stessa fino a realizzare nichilisticamente -Je figure eh'essa ha evocato («chenosi», cioè abbassamento e morte di Dio, suo estremo svuotarsi), d'altra parte all'interno di questa tradizione è possibile guardare al nichilismo come a un pensiero, si potrebbe dire, in attesa di giudizio. Un giudizio che deve venire dall'al di là del nichilismo stesso, perché il nichilismo come esercizio di negazione è tale da negare infine anche la realtà del negativo, la realtà del nulla. (11che spiega in modo molto eloquente quella che è la parabola del nichilismo europeo: dagli inizi aggressivi e ispirati al pathos della distruzione, come nel caso del terrorismo rivoluzionario di fine secolo, agli attuali esiti concilianti e antipatetici). Del resto, come pensare lo svuotarsi e il dissolversi, se del soggetto di questo svuotamento e di questa dissoluzione non ne è più nulla? EJ questa la domanda che attraversa i densissimi saggi che, composti tra il 1976 e il 1983, Alberto Caracciolo ha raccolto nel suo ultimo libro. Non che Caracciolo, con ciò, alluda alla possibilità di ricostruire quanto il nichilismo decostruisce, quasi fosse ipotizzabile dopo l'esperienza nichilistica del pensiero una semplice inversione di rotta. Anzi, Caracciolo osserva _cheil soggetto di cui non ne è più nulla, il soggetto o il principio in base al quale il nulla si lascia cogliere nella sua verità, è il nulla stesso. Caracciolo a questo proposito fa valere la distinzione - operata da Heidegger già in Che cos'è la metafisica e poi ripresa anche in seguito - tra nichtiges Nichts e nich- -tendes Nichts: puro e semplice nulla, il primo, nulla che non è nulla; e nulla come fonte che evidenzia il nulla in quanto tale, il secondo,
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