P otrebbe essere il titolo di un film, se Hollywood facesse film di questo tipo, Woodward e Bernstein sono morti, per commentare il periodo più nero della stampa americana, in questo dopoguerra. Dalla fine del 1983alla primavera del 1984, infatti, il complesso rapporto di equilibrio che dal primo emendamento alla Costituzione («Il congresso non approverà alcuna legge per regolare le libertà di stampa e parola») in poi regola il braccio di ferro tra Stato e stampa, sembra scricchiolare, cambiare, irrigidirsi. E a denunciare questo stato di cose non è la stampa underground o radical, ma proprio i giornali dell'establishment, dal New York Times al Washington Post, alle università che aumentano i corsi sui pericoli di censura, ad Harvard come alla Columbia University. Ovviamente, quando si parla di «pericoli» della libertà di stampa in un apparato di comunicazione potente e sofisticato quale quello americano, non si deve certo immaginare un piccolo censore seduto a un tavolino con la matita rossa e blu, né, d'altra parte, un onnipossente Big Brother telematico. Le cose sono un po' più sottili, un po' più insidiose. Tutto cominciò lo scorso autunno quando, dopo una serie di meeting tra l'amministrazione Reagan, il segretario alla Difesa Caspar Weinberger e l'ammiraglio Wesley McDonald, fu deciso che i reporter non sarebbero stati ammessi nel teatro delle operazioni durante lo sbarco a Grenada. Censure tra Stato e stampa in tempo di guerra non erano un fatto inedito nella storia americana: il generale nordista Sherman aveva rimbrottato più volte i corrispondenti durante la guerra civile; nel corso della prima guerra mondiale i giornalisti americani dovettero osservare la rigida censura imposta dal comando franco-inglese; ma, durante la seconda guerra mondiale, la stampa fu sempre in prima linea, concordando con i comandi le notizie da non dare, solo per non danneggiare le operaziom. Il corrispondente di guerra veterano del New York Times, Drew Middleton, commenta: «Parecchia roba era ancora censurata, tonnellaggio di navi affondate, rapporti precisi su bombardamenti, ma comunque scrivevamo davvero molto di più di quello che oggi sembra il limite della prudenza al presidente Reagan». Tutto cambiò con la guerra di Corea, ma soprattutto con il Vietnam, con la tv a portare la guerra in casa. E della lezione del Vietnam si sono ricordati al momento di sbarcare a Grenada i colonnelli di allora, oggi diventati generali. La loro ricetta è stata semplice: i reporter e la stampa, la televisione e la radio fuori dai piedi. Secondo James Feron, inviato del New York Times alle Falkland e a Grenada, «la lezione della signora Thatcher. di dare solo pochissime notizie e tutte ufficiali durante la guerra contro l'Argentina, ha pagato, e così è stata importata in America». Lo choc è stato completo. Stuart Taylor ha scritto sul New York Times un lungo rapporto di tutte le imprecisioni, le inesattezze, le semplici bugie ~ raccontate dai portavoce ufficiali -::s sullo sbarco (dal numero di cuba- .5 ni, al bombardamento dell'ospe- ~ Cl. dale psichiatrico). ~ ...... L a stampa si attendeva il cong sueto, schietto e caloroso ap- ~ poggio del pubblico, di fronte ·ciò all'aggressione del presidente. È ...... -o andata in modo diverso: quando il giornalista televisivo più noto, ~ John Chancellor, ha chiesto in di- l retta l'opinione degli americani, ~ appellandosi alla tradizione di MaLa stampa limitata / 1 l'esempioUsa dison contro la censura, per ogni lettera di appoggio dai telespettatori ne ha ricevute dieci di critiche. Basta con la stampa e la sua intrusione in ogni angolo, questo il tono delle lettere, distribuite dallo sgomento <;:hancellorin un pubblico dibattito. Niente più, quindi, «prima pagina» alla Walter Matthau, niente più giornalisti ricchi e famosi e difensori della verità. Il rapporto tra stampa e opinione pubblica s'è rotto proprio all'indomani del Gianni Riatta numero uno. L'aria è arrivata fin su alla Corte suprema, che s'è messa a limare e a ridurre il peso della celebre sentenza del 1964 «New York Times versus Sullivan», la pietra angolare della libertà di stampa in America. Il preside della Columbia Law School Benno Schmidt, il più autorevole columnist liberal Anthony Lewis e il presidente del «Media and Society Seminar» della Ford Foundation Fred Friendly, si sono associati quest'anno per è stato condannato a pagare oltre 9 milioni di dollari, non per avere pubblicato alcunché di calunnioso «ma per avere semplicemente avviato un'inchiesta, senza scrivere una riga». The Milkweed, altro giornate di provincia, s'è vist~ arrivare una sentenza di condanna a 20 milioni di dollari di penale per diffamazione di una cooperativa casearia. Il capo di Stato maggiore americano in Vietnam, generale Westmoreland, chiede 120milioni di dollari alla Cbs, perché si ritiene GaspareMarte/lini,sipariodel TeatroallaPergola,1828 Vietnam e del Watergate, quando la gente s'è semplicemente seccata di troppe denunce, di troppa arroganza. Nessuno ha dimenticato le telecamere della Abc, Cbs, Nbc arrivare nelle case dei marines morti nell'attentato alla caserma di Beirut lo scorso autunno, prima di tutti, e chiedere alle madri in lacrime: «Signora, suo figlio è morto, non lo sapeva? ci può dire cosa prova?» I sondaggi hanno dato l'ultima botta: più del 60 per cento degli americani approvava la scelta contro la stampa. Da allora è cominciato nei giornali un lungo e un po' querimonioso processo di autocritica. Ma con l'ultimo sondaggio che assicura che solo il 13,7 per cento degli americani ha fiducia nella stampa (fonte: National Opinion Research Center), sia l'amministrazione di Washington che le grandi corporations si sono lanciate in una offensiva politica per mettere nell'angolo il loro critico uno spettacolare corso universitario a tre, in cui hanno - davanti a studenti, avvocati e giornalisti - fatto il punto dell'indebolimento di «New York Times versus Sullivan» e dello stato della stampa in Usa. Nel 1964, la Corte suprema aveva dato ragione al Times contro il signor Sullivan, un poliziotto razzista del Sud, dicendo che la stampa poteva anche sbagliare e pub- _blicarenotizie false a proposito di «pubblici ufficiali»purché lo facesse senza presupposta cattiva fede. Tradotto in italiano, vuol dire che se voi affermate che il giudice Sica ha commesso un'irregolarità, e non è vero, non venite condannati - a patto che possiate provare la vostra «assenza di malizia». Oggi, però, la Corte s'è messa a vedere malizia ovunque e a condannare giornali e giornalisti, in processi per diffamazione, al pagamento di cifre impressionanti. L'Alton Telegraph, dell'Illinois, diffamato dal giornalista Mike Wallace. S econdo Benno Schmidt, l'essenza della libertà di stampa negli Stati uniti (come del resto Habermas ha magistralmente scritto in Storia e critica dell'opinione pubblica) consiste proprio nella forza dei giornali di attaccare il governo - purché in buona fede - sotto lo scudo del primo emendamento: oggi quello scudo rischia di essere un colabrodo. Risultato: non ci sono inchieste degne di questo nome; i telegiornali - come ha denunciato il mitico decano Walter Cronkite - «ormai sono più degli show di varietà, in cui i giornalisti sono delle soubrettes, anziché dei programmi di informazione»; i settimanali vendono molto ma non denunciano nulla di esplosivo, tranne che c'è troppo burro nella dieta Usa e pochi spaghetti. Accanto a questa stampa intimorita, a giudizio di Anthony Lewis, c'è però di più. Insignito del premio Lovejoy - il maggiore assegnato in nome della libertà di stampa -, Lewis ha detto nel discorso di accettazione: «Accanto alle intimidazioni ai giornali, una più seria minaccia alla libertà è la campagna in favore della segretezza portata avanti dal presidente e dalla sua amministrazione». Questa campagna di difesa del «segreto di Stato» è forse la meno nota in Europa - e la più «moderna» - iniziativa di Reagan. Il presidente, infatti, ha ordinato a più di centomila funzionari dello Stato, che hanno accesso a informazioni riservate, di sottoscrivere un contratto a vita, nel quale si impegnano a sottoporre a censura preventiva ogni articolo, libro, discorso pubblico che vorranno produrre, durante e dopo la loro carriera. Vuol dire - ad esempio - che d'ora in avanti l'ex segretario di Stato Henry Kissinger, prima di pubblicare il prossimo tomo delle sue memorie, dovrà far leggere le bozze a un comitato ad hoc, che avrà il potere di concedere o negare, in tutto o in parte, l'imprimatur: Kissinger, infatti, come gli altri centomila sottoscrittori forzati dell'accordo, aveva accesso a «classified informations», informazioni top secret. La lentezza di questi controlli - sostiene Lewis - avrà naturalmente l'immediato effetto di impedire a questi cittadini di scrivere articoli per i giornali, che non possono certo attendere il complicato iter burocratico. L'avvocato Floyd Abrams, specializzato in questioni di diritto costituzionale, ha redatto l'impressionante dossier dei sintomi di questa tendenza al «segreto». Ecco i fatti principali da lui collazionati e pubblicati dal New York Times Magazine: «L'amministrazione Reagan negli anni di governo ha ridotto il Freedom of Information Act [che consente ai cittadini di controllare i propri archivi allo Fbi o alla Cia, per esempio. Ndr]; negato il visto d'ingresso alla vedova di Allende, al reverendo protestante Ian Paisley, all'attore Dario Fo, al salvadoregno di destra D' Aubuisson e a esponenti della giunta sandinista del Nicaragua; proibito la proiezione di film come lf you love this planet (premio Oscar) o .il documentario della Abc The killing ground per ragioni di sicurezza interna; moltiplicato il top secret su documenti federali; ristretto la circolazione scientifica nelle università». Così, un borsista cinese di vent'anni, Qy Yulu, che studia all'università del Minnesota in un programma di scambi culturali, s'è visto per ordine federale impedire l'accesso ai computer «per ragioni di sicurezza». Il senato accademico ha immediatamente respinto l'ordinanza e lasciato tranquillo il giovane studioso cinese. Se andrà avanti così - conclude Lewis - questa sarà una società senza più inchieste, con troppi «segreti di Stato» a impedirci di sapere che cosa bolle in pentola. Non è la denuncia di un radical forsennato: Lewis, come Schmidt, Abrams e Friendly, è convinto che nessun .paese goda di tanta libertà quanto gli Stati uniti, ma vede che oggi essa rischia serie limitazioni. Insieme alla schedatura sociale condotta dai supercomputer è forse questo il fenomeno più impres- • sionante dell'anno di Orwell: ma è condotto con tanto stile e grazia dagli esperti di Washington che pochi negli Stati uniti ne parlano, e nessuno in Europa. Questo scritto è introduttivo di un dibattito sulle nuove forme di controllo dell'informazione giornalistica, che avrà seguito di contributi nei numeri successivi.
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