Alfabeta - anno VI - n. 61 - giugno 1984

.- Kurt Vonnegut Il grande tiratore trad. it. di P. F. Paolini Milano, Bompiani, 1984 pp. 209, lire 16.000 Michael Mandelbaum Il futuro nucleare trad. it. di Davide Panzieri Bologna, Il Mulino, 1984 pp. 128, lire 8000 Luigi Cortesi Storia e catastrofe. Considerazioni sul rischio nucleare Napoli, Liguori; 1984 pp. 272, lire 19.500 M idland City, Ohio, non esi· ste; o meglio esiste soltan• to come luogo simboli'co scelto da Kurt Vonnegut per il suo ultimo romanzo, Il grande tiratore. Ma anche nelle pagine di Vonnegut, al di là del lungo flash-back sull'infanzia e la giovinezza del protagonista in cui il libro si articola, lo statuto di realtà di Midland City ha del fantasmatico. Un bel giorno - a quanto sembra - i politici Usa e i militari del Pentagono hanno deciso di sperimentare proprio in quel luogo gli effetti della bomba N. Ha funzionato: tutto, o quasi, è rimasto intatto, persino i televisori accesi; soltanto gli abitanti sono tutti morti. Naturalmente si è attribuito l'eccidio a un incidente e non se ne è parlato più che tanto: ora, circondate da un cordone sanitario di sentinelle, le case, le strade, le piazze continuano una loro esistenza spettrale: «Midland City è oggi una città fantàsma. Tutti i suoi abitanti sono morti in seguito allo scoppio di una bomba a neutroni. La notizia fece scalpore per una decina di giorni. Sarebbe potuta essere ancora più grossa, la storia - e magari innescare la terza guerra mondiale - se il governo non si fosse affrettato ad ammettere che la bomba era di fabbricazione americana. Anzi un telegiornale che io sentii qui ad Haiti la definì 'una bomba amica'... Non c'è più anima viva, quindi, a Midland City, nell'Ohio. Circa centomila persone sono morte. Era questa, più o meno, la popolazione di Atene all'Età d'Oro di Pericle». Così, dopo la distruzione di Dresda che egli descrisse in Mattatoio n. 5, Vonnegut ritorna sul tema della bomba (adesso, certo, più perfezionata e igienica), come sfondo dell'umor nero che sottostà al suo lavoro di scrittura. Ma, alle molte componenti delle narrazioni che ormai si ispirano alla fine atomica - non ultimo, certo, il gelido silenzio di Dissipatio H. G. di Morselli - lo scrittore statunitense aggiunge, secondo una visione che gli è propria (si veda, su La Repubblica, il recente «La bomba Kurt», di Beniamino Placido), la maturata convinzione dell'assoluto cinismo dei potenti. Una ragione di più per non illudersi sul futuro della nostra specie. ' D i parere contrario sembra essere invece il politologo - anch'esso statunitense - Michael Mandelbaum, che il retrocopertina editoriale de Il futuro nucleare ci presenta come «esperto di problemi nucleari di fama internaIl giorno prima / Materiali I granclS~itiratori zion·ale». Per Mandelbaum, infatti, se proprio non si può dire - madame la marquise! - che «tutto va bene», poco ci manca. «Il messaggio di questo libro - leggiamo a pagina 113 - è che il futuro nucleare sarà come il passato, seguirà una via di mezzo tra guerra nucleare e disarmo nucleare. Continueranno a esserci le armi nucleari, ma non saranno usate, almeno dai due paesi più formidabilmente armati l'uno contro l'altro. Le superpotenze continueranno a dissuadersi reciprocamende che molti preferiscano lasciare questo argomento agli esperti nucleari»; ed eventualmente alla saggezza dei leader, i capi di Stato. Infatti «la guerra nucleare comporta rischi tali (... ) che nessun leader del futuro vorrà probabilmente correre» (p. 18). Questa scelta di citazioni può sembrare maliziosa: ma - purtroppo - non lo è. La malizia, semmai, sta tutta dalla parte dell'autore, e di tanti altri «esperti» di fama più o meno internazionale. E consiste, come è facile rilevare anche dai (indice del resto, in questo come in altri casi, di rigore critico). Di questo libro di Cortesi, infatti, credo occorra sottolineare anzitutto, ribaltando sul suo autore quanto egli dice di Bobbio, «la compresenza (... ) del rigore scientifico e della passione morale». Pertanto, le stesse obiezioni mosse a Bobbio - e in particolare la difficoltà per quest'ultimo di individuare nella società, e in una società strutturata (nel senso, anche se non con i contenuti storici, dell'analisi marxiana), sia la genesi Laboratorio Franz Gruber, bozzetto di sipario principale, Amburgo, 1905 ca. te, la loro rivalità continuerà, ma si limiterà alla politica, alla corsa agli armamenti e a guerre per procura, come è successo dal 1945... Il messaggio è che la bomba è una malattia incurabile ma non mortale e finché il mondo accetta la malattia e prende le giuste precauzioni può continuare a vivere una vita normale»; almeno, precisa più avanti l'autore, sino al Duemila: poi si vedrà. Se abbiamo capito bene, secondo Mandelbaum uno dei pericoli maggiori è che «il mondo» non «accetti la malattia» e voglia guarirne. Leggasi: i movimenti pacifisti. L'equilibrio del terrore sarebbe stabilizzante; i movimenti pacifisti destabilizzanti. Ma neanche troppa paura, a questo proposito: poiché il disarmo totale preconizzato dai pacifisti «è irrealizzabile» (p. 102), «il movimento avrà difficoltà a tenere vivo l'interesse e l'entusiasmo dei suoi membri e a reclutarne altri. Il tasso di arruolamento in una causa senza speranza normalmente è basso. In ogni caso è estenuante fissare i propri pensieri sui pericoli dell'annientamento e non sorprenbrani riportati, nel dare per scontato, per certo, per apodittico, ciò che non è se non una opinione dell'autore, nel presentare le proprie tesi precostituite come un modello di ragione e di obbiettività. Che poi queste tesi coincidano con quelle più o meno in auge in alto, in altissimo loco, è_.meramente casuale. I signori studiosi alla Mandelbaum non fanno certo propaganda! S u tutt'altro terreno si muove la ricerca di Luigi Cortesi, Storia e catastrofe. Considerazioni sul rischio nucleare. Cortesi ci avverte, nella prefazione, che «non si tratta di un saggio unico, ma di una serie di saggi ai quali per opportunità editoriale si è dato il nome di capitoli»; e ricorda l'origine «occasionale» del libro, legata a un ripensamento critico di Il problema della guerra e le vie della pace di Norberto Bobbio, pubblicato da Il Mulino nel 1979. Ma ci sembra, per la tensione unitaria che tutto il libro sostiene, che si tratti - all'opposto della sicurezza ostentata da Mandelbaum - di una forma di understatement che il potenziale antagonistico alle guerre (un potenziale che la situazione atomica non solo rafforza ma rende indispensabile) - nulla tolgono al pieno riconoscimento della funzione che egli ha svolto e svolge per la elaborazione e la diffusione di quella «coscienza atomica» che è punto di partenza per ogni impegno pacifista, individuale o a largo raggio. Ma se Bobbio (questa volta «marxianamente»)affermachiaramente che lo Stato è violenza («lo stato, per sua natura, quale che sia il suo regime, è l'organizzazione della forza monopolizzata ( ... ). Lo stato, qualsiasi stato non è la eliminazione della violenza, ma la sua istituzionalizzazione»), Cortesi si pone opportunamente, nel secondo capitolo del suo libro («Autonomia e funzioni dello Statoguerra»), la questione dei mutamenti ulteriori che gli Stati hanno subito in questi ultimi decenni a causa della specificità della situazione atomica: «La novità qualitativa introdotta dall'arma nucleare nel rapporto tra Stato-guerra e società è dunque nella massima divaricazione dei termini, dei quali il primo è materialmente in grado di annullare il secondo perseguendo la propria legge di realizzazione» (corsivo nostro). E proprio qui si pone, con un'evidenza forse non del tutto elaborata in questo libro di Cortesi, la questione, il nodo storico, del significato che può assumere oggi la prassi della democrazia, e la sua stessa istituzionalizzazione nelle varie Costituzioni statali. La separatezza sostanziale tra volontà dei cittadini, comunque espressa, e decisioni inerenti alle guerre e alla loro preparazione non è infatti qualcosa di nuovo nella pratica politica e costituzionale moderna e contemporanea. I margini di potere decisionale lasciati ai Governi - di qualsiasi forma - vi sono stati sempre assai più ampi che in altri settori dell'intervento statale. Vi sono certo giustificazioni di ogni tipo per questa prassi, anche se una guerra poteva inferire ferite profonde al corpo dello Stato o della Nazione (si pensi soltanto allo smembramento dell'Austria, o alla frattura inerente, in questo dopoguerra, alle due Germanie), oltre che inenarrabili sofferenze ai singoli. Ma, per riprendere il passo di Cortesi sopra citato, non si poneva - prima della situazione atomica - la ipotesi stessa dell' «annullamento», non solo di ogni forma di società civile ma della vita stessa dei cittadini tutti. Di fatto, oggi, un Governo che considera sia pure soltanto prevedibile la propria partecipazione a un conflitto atomico, comunque motivata, si arroga sul cittadino quel diritto assoluto di vita e di morte che è proprio del tiranno. Nessuno può ritenere che superare questa impasse sia cosa semplice - e personalmente siamo meno fiduciosi di Cortesi sull'ipotesi di forme statuali socialiste diverse, e per taluni aspetti opposte, al cosiddetto socialismo reale; e proprio perciò siamo più disponibili, forse, alle prime, anche se timide, proposte di rielaborazione teorica, giuridica, politica in questo campo. Essenziale è però che la questione sia posta - qui e ora - almeno nei Paesi, come il nostro, muniti di armamento atomico. In attesa, bisogna pur dirlo, che un grado più elevato di consapevolezza permetta di compiere quel balzo qualitativo che consenta a tutti gli Stati, e a tutti i popoli, di controllare gli armamenti, almeno nucleari, a livello globale, mondiale. La logica pantoclastica di un conflitto atomico eventuale aggiunge infatti agli altri elementi di «perversioneit anche questo: che rimaner fuori dal conflitto non elimina la propria distruzione. Il che significa, per dirlo grossolanamente, che il problema della «democrazia», del volere popolare, non ~ è, se mai lo è stato, più di compe- !::t lenza dei singoli Stati, ma coinvol- -~ ge la condizione - come si dice - ~ planetaria. ~ A intenderla, questa condizio- -. ne, le ricerche di Luigi Cortesi g contribuiscono grandemente; ma ~ egli stesso è consapevole del grado ·be> ...... drammatico di arretratezza del '0 pensiero teorico e della prassi poli- ~ tica, rispetto ai livelli reali del ri- ~ schio pantoclastico entro cui sia- ;! mo coinvolti. ~

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