Travestitadaletteratura A volte le cose più ovvie ci colpiscono con la forza di una rivelazione. Mi sono accorto di recente che il linguaggio è un modo di comunicare inefficiente (naturalmente non intendo il linguaggio all'interno di un piccolo gruppo sociale, ma il linguaggio nel grande gruppo sociale, il mondo). Se ci osserviamo l'un l'altro (inglesi, svizzeri, francesi, italiani, tedeschi, russi, africani), vediamo che le differenze sono minime: la forma della mano, i capelli, i gusti, il rumore di un colpo di tosse, il modo di accendere una sigaretta; è ovvio, siamo tutti molto simili, eppure non possiamo comunicare se non imparando le lingue di ognuno di noi. Ciò è evidente, e da molto tempo il fatto che ci manchi un mezzo di comunicazione unificato è stato elevato a maledizione, conseguenza di un peccato remoto. Eppure, quando parliamo di sostituire le nostre lingue, incomprensibili tra di loro, con una lingua nuova, naturale o artificiale, che annullerà la maledizione di Babele, non siamo ancora sulla strada per risolvere il vero problema, che sta nella natura stessa del linguaggio. Noi presupponiamo una fase preistorica, prealfabetica, per le popolazioni dell'Europa, della Persia e dell'India - l'esistenza di una lingua antica chiamata indoeuropeo o ariano. Essa si divise in slavo antico, latino, germanico primitivo, e queste a loro volta in russo, polacco, ceco, bulgaro, italiano, francese, spagnolo, alto tedesco, basso tedesco e i loro dialetti. Per quanto aperti all'internazionalismo, non riusciamo a opporci alla continuazione di questo processo di divisione. Cambiare è nella natura della lingua. La struttura della mano umana è solida e spaziale, la struttura del linguaggio è temporale, liquida, estremamente mobile. Per creare il suo sistema di comunicazione principale, l'uomo ha scelto 11 sottotitolo del libro di Gilio Dorfles, I fatti loro (uscito nell'autunno scorso, e che riprende articoli pubblicati su giornali e riviste), è «Dal costume alle arti e viceversa». Una oscillazione tra cultura in senso antropologico e in senso specifico che si riflette nella bipartizione del volume, diviso in una prima parte dedicata a interventi di critica della cultura e dei comportamenti, e in una seconda che raccogliescritti su questioni più precisamente estetiche e teoriche. Ma, come già in altri libri di Dorfles, la distinzione è di massima o apparente: la prima sezione comprende - insieme a ragionamenti sulla utilità degli specchi negli ascensori, sull'uso del tu e de/- lei, sull'amore per il prossimo, sugli amici di infanzia e sul bricolage - articoli sulle concezioni moderne della temporalità, sull'arte infantile, riferimenti a Foucault e a Gombrich, ecc. Così pure, nella seconda parte si leggono, intercalati a scritti sul postmodern architettonico, sul Kitsch, sulla Heroic Fantagli organi meno attendibili. La lingua non è uno strumento scientifico capace di assumere una posizione esatta, ma un pezzo di carne instabile e incerto, che si occupa di semplici approssimazioni. La lingua, lo ripeto, è un mezzo inefficiente. Anthony Burgess che, siccome gli autori inglesi erano tradotti in francese e quelli francesi in tedesco e i russi in tutte le altre lingue, Shakespeare, Thomas Mann e T.S. Eliot fossero comprensibili ai cinesi e ai malesi. Fu quando mi chiesero di tradurre The Waste Land in malese che mi earth in forgetful snow» (Ottuse con immemore neve la terra). Ai tropici non c'è neve e quindi in malese non c'è una parola equivalente. C'è la parola persiana thalji, usata poeticamente per descrivere il pallore marrone della donna amata, ma come potrebbe essere Aleksandr Benois, bozzetto per siparietto di Traviata, 1950-51, Milano, Teatro alla Scala Lf arte o la professione che esercitiamo per guadagnarci da vivere consiste nello sfruttare una lingua o un dialetto che guarda all'interno del gruppo sociale e non all'esterno, verso il grande mondo. Niente è più sciocco della convinzione che la letteratura sia un'arte internazionale. Ciò è impossibile, poiché non esiste una lingua internazionale. Prima di andare a vivere in Oriente credevo ingenuamente accorsi del mio errore. «Aprii is the cruellest month» (Aprile è il mese più crudele) divenne «Bulan Aprii ia-Iah bulan yang dzalim sakali». Sottoposi questo verso a dei malesi che non avevano mai viaggiato. Non capivano; come poteva un mese essere crudele? La crudeltà è propria degli esseri umani. E ancora, come può un mese essere più crudele di un altro? Vicino all'equatore tutti i mesi sono uguali. E poi c'era il verso «Covering berlupa, ossia «forgetful» (immemore)? Rinunciai all'impresa. Rinunciai all'impresa di insegnare The Heart of the Matter (Il nocciolo della questione) di Graham Greene a studenti musulmani. Questo romanzo, come ricorderete, racconta l'agonia di un cattolico, un ufficiale di polizia britannico che si trova nell'Africa occidentale; costui è innamorato di due donne. Non potendo considerare il suo adulterio come un peccato, perché ciò significherebbe Dorflesarti e costume sy, interventi su questioni più personali (anche se collettive), quali il danno simbolico oltre che ·pratico procurato dai furti negli appartamenti, e la simpatia o antipatia immediate che ci suscitano certe persone. Già questo mélange rappresenta una scelta metodologica determinata, perché il saggismo, che è il genere letterario adottato da Dorfles in questa come in altre circostanze, incontra di solito scarsa fortuna proprio nel campo che gli dovrebbe essere proprio, cioè l'arte contemporanea. Se infatti non è infrequente imbattersi in trattazioni interdisciplinari in campi anche peregrini (poniamo, epistemologia e storia delle religioni) - quando la faccenda si fa seria, il saggista viene rimandato a casa, e le quotazioni dei film, delle regie teatrali e dei quadri sono stabilite in rubriche speciali nei quotidiani e nei settimanali. La particolarizzazione nei media ha un sapore lievemente paradossale, se si tien conto che da WagMaurizio Ferraris ner alle avanguardie alle neoavanguardie lo sforzo è stato per lo più di portare l'arte in campi diversi, cioè nell'ambiente e nel comportamento, Wort-Ton-Drama, ready made, o, del resto conseguentemente, stato etico; per le postavanguardie, in parte, il discorso cambia, ma il fenomeno è recente, e il Novecento in genere dovrebbe essere attraversato da domande tipo: parlando di Land art vale forse la pena di fare qualche riferimento ali'ambiente? Un discorso analogo, ovviamente,· vale per i comportamenti, _sempre meno legati a tradizioni e consuetudini, e quindi sempre più soggetti a una culturalizzazione esplicita - per cui si realizza la profezia di Wilde, che riteneva che i laghisti avessero influenzato il paesaggio inglese, rendendolo nebbioso, e che per parte sua considerava che l'evento più doloroso della sua vita fosse stata la morte di Lucien de Rubempré delle Illusions perdues. Ma, come spesso avviene, la profezia si realizza in forma perversa. Come la critica si particolarizza nei media proprio quando dovrebbe interrogarsi con maggiore concentrazione sui rapporti tra arte e comportamento, così quest'ultimo si esteticizza in maniera piuttosto degradata. Effettivamente non è insolito incontrare persone che si comportano come al cinema, ma il gusto non pare abbia subito grandi modificazioni dirette per opera delle avanguardie, che di fatto si sono trovate di fronte a una sostanziale assenza di interlocuto- . ri. E si creano situazioni difficilissime, come quella, riferita da Dorfles, dei due anziani genitori di un architetto olandese che aveva costruito per loro una vasta villa in vetro e cemento, luminosa ·e senza tramezzi, e che si muovono per ambienti spogli senza azzardarsi a mettere una pendola o un barometro, per timore del figlio. Di chi è la colpa? Dell'architetto utopista o dei vecchini incapaci di 'abitare nel moderno'? Così nelle analisi_di Dorfles le questioni estetiche si intrecciano a considerare l'amore come un peccato, si dibatte nella disperazione, riconosce di essere dannato e infine si suicida per accelerare l'inevitabilità di questa dannazione. Una storia commovente o forse tragica. Ma i miei studenti mu~ulmani la giudicarono estremamente comica. Perché questo ufficiale idiota non diventa musulmano? Avrebbe così pÒtuto sposare entrambe le donne e, se avesse voluto, altre due ancora. Ecco che fine fa l'universalità di un importante romanziere contemporaneo. E Shakespeare? In società noneuropee, a volte va un po' meglio di Greene. Ho visto un film tratto da Riccardo III in un kampong del Borneo, e il pubblico capiva molto bene il tradimento, il delitto e la lotta dell'uomo di guerra per salire al trono. Ritengo che la credessero una storia contemporanea: anche le spade e i costumi sembravano quelli di una cerimonia del Borneo. Ma si trattava di una rara eccezione alla regola dell'inesportabilità della letteratura, un bene molto diverso dall'oppio, dal marxismo o dalla Coca-Cola. A lcuni di noi, qui a Venezia, sono uniti dalla pratica letteraria, ma molti di noi condividono l'errore che ci sia un'arte universale, e che i suoi più grandi artefici possano essere contrabbandati oltre l«efrontiere di tutte le nazioni. Voglio suggerire che l'arte è universale quanto più la sua validità è dubbia. Nel nostro desiderio di considerare la letteratura come voce dell'umanità, piuttosto che un mormorio di voci appartenenti a segmenti insulari di umanità, siamo tentati di semplificare sia il contenuto sia il mezzo. Evelyn Waugh, uno dei pochi romanzieri del mio paese che sono sempre riuscito a ammirare senza riserve, ha detto che la prova del valore di un testo è la sua traducibilità. In un certo senso questo è vero, una volta premesso che per problemi di tipo etico. Mentre il Moderno sta declinando e il Postmoderno (per restare in campo architettonico) rivaluta tinelli, tramezzi, castelli gotici e villotte di ogni stile, le buone maniere e tradizioni scompaiono senza essere sostituite da alcunché. Venuti meno i programmi - sovente esagerati - di socializzazione dell'arte e dellapolitica, l'io («il più osceno dei pronomi», dice Gadda) tiene banco senza essere contrastato; e la gente, come o più di prima, tra vetro e acciaio o in residence assiro-babilonesi, continua a occuparsi dei f atti suoi. L'utente che non è stato migliorato dai sogni del Moderno, saluta f e/ice l'avvento di postavanguardie che non lo mettono più in soggezione, e accoglie l'arte così come tutto il resto (informazione, cultura, casi altrui) con un sinistro: Madame Bovary c'est moi! Gilio Dorfles I fatti loro Milano, Feltrinelli, 1983 pp. 214, lire 17.000
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