Alfabeta - anno VI - n. 61 - giugno 1984

Numero cinque • Aprile 1984 Tout doit tourner autour des écrits à paraitre. Lacan, 1974 BOLLETTINO TRIMESTRALE M.M. Chatel Le sinthòme ou la version du père a cura di A. Salvati M. Fiumanò L'analisi di controllo L. Burzotta «La machine incarne l'activité symbolique la plus radicale chez l'homme» f. Vennemann Appunti del Seminario sulla Ichspaltung abbonamento: 4 numeri sostenitore L. 25.000 c/c postale n. 55545008 intestato a COSA FREUDIANA Via S. Elena, 29/6 - 00186 Roma Via Sardegna, 32 - 20146 Milano PELLICANO LIBRI Via A. Di Sangiuliano, 20 ~i, Catania - ·r ( I Inediti rari e diversi scelti da Dario Bel lczza ALBERTO MORAVIA LATEMPESTA pp. 78, L. 6.000 BEPPE COSTA , .. ROMANZO SICILIANO pp. 80, L. 6.000 Stmmenti ANTONINO FINOCCHIARO CHIAREZZA SUI TUMORI pp. 56, L. 12.000 Prima Impaginazione a cura di Beppe Costa GIOVANNI ARCURI VILIPENDIO ALLA TOLLERANZA pp. 80, L. 7.000 * GIANNI BUSCO LO SGUARDO FINITO pp. 90, L. 8.000 * GIUSEPPE FRAZZETTO NEI PREPARATIVI DEL VOLO pp. 60, L. 7.000 DOMENICO AGNELLO COME QUANDO pp. 60, L. 6.000 * con incisione originale numerata da I a 100L. 40.000 La Nave dei Folli RICCARDO REIM BELLO L'AMORE MIO CHE SE NE ANDÒ IN MARINA pp. 76, L. 6.000 1936, anno di stesura di Erica, al 1964, anno della ristampa e della revisione delle Donne. Ciò che più conta, esso vi è interpretato nella sua globalità, come un unico romanzo di cui i cinque testi costituiscono articolazioni diegetiche e concettuali, volte a narrare la stessa verità, a rispondere alla stessa domanda. «Il 'romanzo' di Vittorini nasce da una interrogazione, che percorre e unisce in una sola storia ogni testo: può, il lavoro, che è a fondamento della realtà e dei rapporti fra gli uomini, salvarli? Può, la storia, salvare la vita? Ogni sua opera è come una domanda che pone la domanda seguente, un anello della medesima catena, un frammento, un preludio all'opera da fare. E la scrittura non offre la risposta definitiva, né approda all'opera: piuttosto, cresce su se stessa, sui dubbi che attraversano e legano le diverse opere in un unico romanzo» (p. 8). Così la favola di Erica, che ancora crede nella possibilità di tenere distinto il lavoro alienato («quelle tre ore») dal sogno, si trasforma nella conversazione come metafora dello scambio, unica comunicazione possibile nella società dominata dal valore e dalla merce; e si invera nella scelta stoica e solitaria della morte, operata, in circostanze diverse ma con lo stesso valore di denuncia della menzogna di una vita solo apparente, da Enne 2 in Uomini e no, dal nonno e da Muso di fumo nel Sempione. E quando, usciti dalla solitudine, forti di un progetto collettivo che dovrebbe unirli come uomini, gli eroi vittoriniani tentano un nuovo diverso modo di vivere, oltre la guerra e il fascismo, essi constatano che anche il loro lavoro, «consapevole e creativo», soggiace alla violenza del valore e del potere che governa i rapporti sociali non meno di quanto governi la società delle merci. Il romanzo del lavoro è dunque la summa di un'opera narrativa che dice l'esistenza come lavorovalore, la vita alienata a funzione produttiva, e la riconosce e descrive uguale in modi tempi luoghi differenti. Si può essere più o meno d'accordo con questa reductio ad unum di un'opera che ci si è abituati a concepire come frammentaria e per più aspetti incompiuta, si può provare disagio avvertendo a tratti nella lettura dei singoli testi una prepotente intenzione definitoria e totalizzante che suona, non di rado, come tautologica perentorietà, ma non si può negare che, sottoposti a una analisi sistematica, .i cinque romanzi rivelano una coerenza organica, non sovrimposta. Essi mostrano una fedeltà co- . stante all'interrogativo radicale sul significato dell'esistenza, non in termini astratti e utopici, ma in diretto rapporto con la natura e la storia: una natura storicamente determinata dalla mediazione del lavoro, una storia non risolta in iterazione o sviluppo progressivo e dialettico ma confrontata alla necessità di mutamenti radicali - pensati come attuali, non attesi come ipotetici futuri socialisti. «Vittorini ci racconta il lavoro, la storia del rapporto dell'uomo col mondo: non la preistoria. Ci parla della natura nel processo lavorativo, come economia politica: non della natura prima del lavoro. La natura in quanto tale non c'è più: la sua scomparsa è stata prodotta dallo stesso processo di produzione. Il 'destino' dell'uomo non è che la storia, non è che il lavoro» (p. 180). Non si tratta, né la Panicali lo ipotizza, di un progetto narrativo pianificato nei particolari o teorizzato nell'insieme, di una vittoriniana Comédie humaine o di un Ciclo dei vinti alla maniera verghiana; come ogni autentico rapporto critico, quello tra Vittorini e la sua interprete è reciproco: l'insistenza dell'interrogativo vittoriniano ha sollecitato la Panicali a rilevare l'intima coerenza delle metafore narrative nelle quali esso si traduce, la volontà propria della Panicali di una critica unitaria che affronti l'opera nella sua totalità le ha permesso di riconoscere nelle diverse formulazioni romanzesche la stessa domanda e di percepirla come interrogazione radicale di verità. All'unità del corpus narrativo corrisponde nella saggista un preciso rifiuto della logica della separazione critica: «io credo che la cultura sia una: esattamente come la realtà, contraddittoria ma unica, in cui viviamo. Eppure la critica, perennemente lacerata dai dualismi, continua a perseguire la logica della separazione. Evidentemente deve sentirsi più a suo agio quando esamina i ruoli, le differenti funzioni, anziché quando fa i conti con l'unità di scrittura e vita. Ancora oggi i critici siano essi conservatori o gauchisti non fanno che dividere» (Il Ponte, 31 maggio 1980). so referente storico in un saggio del 1969 ( «Erica e i suoi fratelli e l'alienazione degli anni trenta»), nel volume attuale si generalizza all'intero corpus romanzesco e si articola nelle analisi dei singoli testi in nuove acquisizioni critiche. Nelle analisi di Uomini e no e Il Sempione strizza l'occhio al Frejus la vis interpretativa della Panicali trova maggiori difficoltà di applicazione, ma nei due ultimi capitoli sulle redazioni 1949 e 1964 de Le donne di Messina il discorso critico torna a farsi acuto e persuasivo. Come Vittorini è convinto che compito proprio del linguaggio poetico «è di conoscere e di lavorare per conoscere quanto, della verità, non si arriva a conoscere con il linguaggio dei concetti», altrettanto la Panicali è tenacemente determinata a tradurre immagini e metafore, strutture e vicende narrative in notizie e rivelazioni sullo stato di cose esistente, che ci aiutano a pensare, a capire la nostra e altrui realtà. A questo fine ella impiega tutte le sue armi: In primo luogo, lo strumento linguistico: e tenta una scrittura critica che lei stessa definisce «quasi teatrale. Non più piatSipario di Le nozze degli Dei.favola dell'Ab. Gio. Carlo Coppola (1637), incisione monocroma, Milano, Museo TeatraleallaScala L, attività vittoriniana della Panicali è ben nota: i suoi studi editi tra il '68 e il '73 e raccolti nel '74 nel volumetto Il primo Vittorini (Milano, Cleup), costituiscono tutt'oggi, nel pur animato panorama della ricerca sugli anni della formazione vittoriniana, un punto fermo, costruiti come sono su un gusto sicuro dell'analisi linguistica e.stilistica, della valutazione storico-critica, e su una attenta ricerca di testi e di dati, per di più difficili da reperire dal momento che l'intera raccolta dei saggi, curata da Raffaella Rodondi, attende da anni di essere finalmente stampata presso la Casa editrice Einaudi. Rispetto a quei saggi, tuttavia, il libro attuale si presenta come affatto diverso. Si direbbe che quei primi studi storico-filologici, presupposti e perciò non più esibiti, servano ora alla Panicali a sgombrare il campo da discussioni preliminari, di ordine storico e ideologico, e le consentano di affrontare l'opera narrativa di Vittorini nei soli testi che ella individua come essenziali, le cui immagini le appaiono come approssimazioni successive a un'unica verità - storica, politica, letteraria -, quella dell'esistenza come vita alienata dal lavoro. La tesi, già formulata con precitamente saggistica, ma locutoria» - a tratti interrogativa, più spesso assertiva, sempre retta da una logica di tipo induttivo, scandita su equivalenze e giustapposizioni, e sistematicamente sottratta al ritmo più lento e avvolgente dell'argomentazione critica sillogisticae deduttiva. In seconda istanza, le citazioni, narrative saggistiche epistolari. Nel Romanzo del lavoro i testi di Vittorini e di altri interlocutori più che risuonare, secondo l'esplicito desiderio dell'autrice, come voci di una molteplice conversazione, sono utilizzati come materiale di costruzione di un discorso critico totalizzante, all'interno del quale essi svolgono la funzione, non tanto di •un confronto dialettico, quanto di sottolineare con la loro plurima provenienza la forza coesiva dell'amalgama nuovo che li ospita. L'indice di queste voci registra presenze che vanno da Marx Stalin Gramsci Togliatti a Holderlin ' Nietzsche Heidegger Lacan; una tavola di frequenze permetterebbe probabilmente di osservare che i francesi - Blanchot e Baudrillard in primis - sono i più citati, ma né l'uno né l'altro dato permetterebbero di rendere conto dell'uso tutto personale che ne fa la Panicali. Il risultato è un discorso critico in cui l'interpretazione si accampa come momento primario e esclusivo, assumendo in sé descrizione, analisi, commento. Ciò deriva dalla familiarità della Panicali alla materia del suo saggio almeno tanto quanto dalla convinzione della necessità culturale di una pratica siffatta. In questo senso il Romanzo del lavoro è oltre che un saggio su Vittorini una proposta di ricerca critica che, senza rinunciare alla specificità dell'oggetto, per così dire monografico, ambisce a offrire un modello di lettura dei testi contemporanei e insieme della realtà in cui viviamo. Non è strano né casuale che, accanto a Vittorini, Pasolini e Sciascia siano i due autori su cui si esercita l'attenzione critica della Panicali. Ef su David Herbert Lawrence che si appunta invece l'attentissimo sguardo filologico di Raffaella Rodondi (curatrice delle Opere na"ative di Vittorini per i «Meridiani» Mondadori) nel saggio del volume offerto a Dante !sella. La scelta di Lawrence tra gli autori stranieri che Vittorini ha letto e tradotto non è fortuita: la documentazione dei prestiti lessicali, stilistici, metaforici, iconografici e di gusto critico che dal narratore e saggista inglese passano a Vittorini romanziere e storico della letteratura americana appare in queste pagine imponente e certo superiore a quella che ci si potrebbe attendere dal lavoro di traduttore e dalle analogie tematiche di Sea and Sardinia (1921) e Quaderno sardo (1932, più noto come Sardegna come un'infanzia), di Studies in Classic American Literature (1923) e Americana (1941). Il materiale raccolto dalla Rodondi le permette di tracciare un rapporto tra i due che, iniziato con lo «sfruttamento intensivo» (p. 562) dei diari del viaggio in Sardegna, si prolunga ben oltre il quinquennio 1933-38 durante il quale Vittorini traduce Il purosangue, Il serpente piumato, La vergine e lo zingaro, Pagine di viaggio (nonché frammenti di racconti e saggi critici), e si riverbera per «diffrazione» (p. 563) su pressoché tutti i testi posteriori, da Erica alle Città/del mondo. L'opera narrativa e cnt1ca di Lawrence finisce per svolgere la funzione di un ricco, quasi inesauribile serbatoio di temi e lessemi, immagini e giudizi cui Vittorini attinge a più riprese e in tempi diversi per l'elaborazione del proprio linguaggio poetico non meno che per la condensazione dei propri miti critici. Salvo poi definire Lawrence un «caso illustre di impotenza procurata»: «giudizio drastico, che - come ricorda la Rodondi - per un curioso effetto di contrappasso si ritorcerà sull' 'ultimo' Vittorini» (pp. 555-56). Merito della Rodondi è quello di aver usato il proprio scandaglio filologico non per verificare una «introiettata acquisizione di formule lessicali e stilistiche» (p. 564) e compilare una nuova colonna da aggiungere al registro debitorio di Vittorini, ma per ricostruire un sistema di relazioni articolate e complesse, «in bilico tra emulazione e contestazione» (p. 568), nutrito di affinità psicologiche, consonanze emotive, tensioni polemi- ~ che e concorrenziali, coincidenze ,;:i i:: ideologiche e di gusto, la cui im- ·i portanza nella formazione non so- ~ lo letteraria di Vittorini appare og- i gi con tutta evidenza. ..., Sicché questo saggio, nel quale ~ si cercherebbe · invano la parola, ~ oggi di moda, 'intertestualità', ri- ·èo .... suita di fatto per la lucidità del giu- '0 dizio critico uno studio esemplare r:: sui modi in cui, nell'incontro di ! due sensibilità affini, la letteratura ~ si nutre di letteratura. à

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