Enzo Golino «Vittorini, la Differenza» postfazione a Elio Vittorini Le due tensioni a c. di Dante Isella Milano, Il Saggiatore, 1967, 198!2 pp. XVIII-284, lire 12.000 Anna Panicali Il romanzo del lavoro. Saggio su Elio Vittorini Lecce, Milella, 1982 pp. 183, lire 12.000 Raffaella Rodondi «Vittorini e Lawrence» in Studi di letteratura italiana offerti a Dante lseUa Napoli, Bibliopolis, 1983 pp. 690, lire 50.000 LJ interesse per Vittorini rides~atosi i~ quest_i ultimi anm non s1 esaunsce per 1 fortuna in scoop giornalistici del tipo di quello di Lorenzo Greco (Censura e scrittura, Milano, Il Saggiatore, 1983). Anno dopo anL a passione dell'esploratore, l'impulso alla scoperta o riscoperta di «continenti semiotici» nuovi, o ma/noti, o negletti, e il gusto, l'ansia di fornirne al lettore italiano mappe, carte nautiche hanno spinto Carlo Prevignano - dopo l'impresa della Semiotica nei Paesi slavi (Milano, Feltrinelli, 1979) - a dar vita a una pubblicazione «tutta sua». Questo Signum per l'appunto, di cui ha visto la luce il fascicolo inaugurale (distribuito dalla Libreria Feltrinellidi Bologna), e che mi sembra meriti considerazione - per motivi che cercherò di spiegare - anche fra i «non addetti» e fra i «non amici» (o i «non più amici») della semioticasemiologia. Il grosso, il «piattoforte», del fascicolo è costituito dalla traduzione di un volume del polacco Stefan Zolkiewski, intitolato La cultura letteraria. Semiotica e letteraturologia. Ma preferirei partire dal «contorno», dai contributi minori raccolti in fondo al quaderno. Possiamo leggere qui il testo della breve ma stimolante comunicazione di Stefano Alliney, Prevignano e Libero Lenzi, For a semionics between simulation of behavior and experimental semiotics, presentata dagli autori al li Congresso internazionale di semiotica (Vienna, luglio 1979); l'articolo del moravo Ivo Osolsobé Ripensando la semiotica: verso una tipologia delle situazioni epistemiche, pur esso molto ricco di spunti originali e suggestivi, e un altro scritto di Osolsobé, Riflessioni sulla semiotica slava, che è un'intrigante, minuziosa recensione ('dall'interno') ali'antologia La semiotica nei Paesi slavi cui accennavo sopra. A essa, Osolsobé muove l'accusa - molto a_michevole,per la verità - di avere concesso alla «modellizzazione» e ai «modelli» (ossia ai «modelli» e alla «modellizzazione» «con cui lavora la cultura») uno spazio chepotrebbe apparire eccessivo, specie «in alcune sezioni» del- /' opera, dove l'attenzione per quei fenomeni sembra assurgere a «tratto specifico della semiotica slava». Soltanto il futuro - scrive Osolsobé - «dimostrerà se la teoria della moVittorinie lavoro no, in Italia e all'estero escono sull'autore di Conversazione in Sicilia volumi e saggi che documentano, al di là dei répechages giovanili, i rapporti della sua opera con la cultura del Novecento. Enzo Golino, tra i motivi della permanente attualità di un libro come Le due tensioni, le cui prime note risalgono al 1961, colloca proprio il fatto che «l'ideologia letteraria di Vittorini era profondamente intrisa di vissuto, aveva radici profonde in esperienze primarie», nasceva cioè da un'attività intellettuale volta a «spostare sempre più avanti il punto in cui la letteratura incontra la vita, e viceversa, senza perdersi l'una nell'altra ma giocando una partita che ha come posta la trasformazione del mondo». Golino, che nel '68 fu tra i primi e "piùacuti recensori delle Due tensioni e che oggi si interroga su quanto di quegli appunti «merita il credito di un ascolto rinnovato» da lettori tam mutati ab illis, non ha Giovanna Gronda dubbi nel riconoscere che la ricerca vittoriniana di una letteratura congetturale e probabilistica, che allora poté sembrare astrattamente volontaristica quando non velleitaria, si è rivelata l'ipotesi teorica più adatta a dar ragione di opere - critiche e narrative - che si sono accampate con singolare rilievo sull'orizzonte letterario dei nostri ultimi anni: il Lector in fabula di Eco non meno del romanzo di Calvino Se una notte d'inverno un viaggiatore. Merito di un'illusione scientista - condivisa, come ricorda Golino, da Debenedetti - secondo la quale la crisi epistemologica da cui era nata la scienza moderna non poteva non coinvolgere anche la letteratura? risultato di un'insoddisfazione crescente per la propria e altrui impasse narrativa? bisogno utopico di un mutamento profondo dello stato di cose esistente in attesa del quale «l'esigenza di vivere nel certo anziché nel probabile è irrazionale» (Le due tensioni, p. 83) e l'unica ricerca possibile è quella sperimentale e progettuale? Risposte a domande come queste dipendono dalla valutazione critica tutt'altro che pacifica dell'opera vittoriniana, ma nella loro molteplicità confermano che si trattava di interrogativi destinati a durare ben oltre l'attività intellettuale di chi li sollecitava. e he Vittori_ni~ontinu~a ~ro~~- care reaz1om e opz1om entiche di segno radicale lo prova il recente volume di Anna Panicali. Non conosco la motivazione con cui nel settembre 1983 la giuria di Pietrasanta ha assegnato il Premio Luigi Russo a Il romanzo del lavoro. Saggio su Elio Vittorini, ma non ho difficoltà a immaginare che almeno una delle ragioni dell'attribuzione sia costituita dal carattere di oltranza della sua proposta critica. Nella prefazione al Garofano rosso Vittorini scrive: «lo non ho mai aspirato 'ai' libri; aspiro 'al' Continensteimiotici dellizzazione nelle teorie semiotiche slave è un ospite temporaneo e casuale, oppure se essa ne è diventata una parte stabile», dotata di concrete, reali «prospettive», «e veramente funzionale». «Io spero fermamente - conclude lo studioso - in questa seconda eventualità». Vorrei ricordare per inciso, e soprattutto per l'occasione che mi si offre qui di «discolparmi», che Osolsobé rimprovera garbatamente il sottoscritto, in quanto responsabile della «sezione polacca» nel- /' antologia in questione, di aver subordinato al punto di vista «modellizzante» «l'intera scelta dei testi», trascurando «l'eccellente scuola polacca di semiotica logica e linguistica». «Faccani probabilmente - aggiunge Osolsobé - la considera _(enon del tutto ingiustamente) appartenente alla tradizione semiotica occidentale». Ebbene, alle ragioni teoriche e «programmatiche» intuite dal recensore, devo aggiungerne una eminentemente pratica: il fatto che, all'epoca in cui preparavo la mia «sezione polacca», stava per esserepubblicata, in una lin.: gua allaportata del lettore italiano, la traduzione dell'ottimo volume curato nel 1971 da Jerzy Pelc: mi riferisco a Semiotics in Poland. 1894-1969, che sarebbe poi apparsa nel 1979. E veniamo, come è doveroso, a Stefan Z6Jkiewski. Nato a Varsavia nel 1911, già al tempo degli studi universitari (mentre in Lituania, a Vilna, stava sorgendo la «scuola» critico-letteraria di Manfred Kridl, che prenderà più tartj.iil nome di «metodo integrale») Zolkiewski si affilia al Koto Polonist6w (Circolo polonistico) varsaviano. Nel '38, dallepagine della rivista Zycie Literackie (Vita letteraria), egli lancia quella specie di vibrante manifesto che è Ritorno a Itaca (Powr6t do Itaki), accessibile anche in traduzione italiana in La semiotica nei Paesi slavi. Zolkiewski vi proclama: « La scienza moderna della letteratura sta tornando alla scienza della lingua, come Ulisse alla sua ingrata isola nativa»; e conclude: «Gli studi empirici nei più diversi settori Remo Faccani delle ricerche letterarie testimoniano che quanto c'è in esse di verificabile, rientra ne~'ambito più vasto della teoria linguistica... » Durante l'occupazione nazista, Zolkiewski è nelle scuole, nelle riviste, negli organismi clandestini della capitale, in cui s'innesca la disperata resistenza culturale della Polonia. Nell'immediato dopoguerra, dalla redazione della rivista Kuinica (La fucina), dalla direzione del/'Istituto delle ricerche letterariee, in seguito, dalla segreteria dell'Accademia polacca delle scienze, egli si fa paladino del «realismo in letteratura»e di un «orientamento marxista», nel campo di quelle che si chiamano oggi le scienze umane. Bruno Munari, sipario per Il suggeritore nudo di Anton Giulio Bragaglia. 1929 Ma l'ottimismo della volontà da cui scaturiscono queste posizioni e programmi, non tarda a cercare nuove strade, nuovi sbocchi. Z6i'- kiewski si va spostando sul terreno di una sociologia delÌa letteratura molto problematica e sfaccettata, non poi così lontana da certi sviluppi del formalismo e «paraformalismo» russo degli anni venti, per quanto arricchita dei recenti apporti occidentali. Nel '55, egli assume la carica di ministro dell'Istruzione superiore nel primo governo polacco del «disgelo», per uscirne quattro anni dopo (quasi una meteora, se si pensa ali'«eternità» degli insediamenti politici che si rispettano). Deluso dall'incertezza, dalla pusillanimità, dall'involuzione del regime di Gomulka, il suo ultimo atto pubblico clamoroso sarà l'appoggio, il sostegno da lui. dato al movimento studentesco polacco, nellaprimavera varsaviana del '68: un gesto che gli costerà la cattedra universitaria da cui aveva insegnato per un ventennio, ma non gli impedirà di svolgere a tutt'oggi mansioni di prestigio e un'alacre attività di ricerca all'ombra de/l'Istituto delle ricerche letterarie. L'espressione più articolata del lavoro di Zolkiewski è, sicuramente, il volume del '79 Kultura, socjologia, semiotyka literacka. Di questa raccoltadi saggi, l'opera ora tradotta in italiano costituisce, a un tempo, la sintesi e la continuazione. Il lettore avrà la sorpresa di scoprire o approfondire un'immagine di studioso con alle spalle una «carriera» delle più singolari e complesse. e dotato di una fisionomia ben autonoma, anche nel/'ambito degli interessi semiotici del- /' Europa orientale. La scelta z61kiewskiana di quella che si suol chiamare la «pragmatica» - e cioè, in sostanza, il terreno dei rapporti semiotici del testo con coloro che lo «fruiscono» - nasce e si dispiega sull'onda lunghissima di un'investigazione che non solo viene straordinariamente «da lontano», ma riesce a mediare efficacemente con originalità tra Est e Ovest - diciamo, tra Bachtin, Lotman e Parsons. In una «scheda» che conclude Signum 1, Prevignano osserva che «una sociopragmatica à la Zé>/- kiewski, storica ed empirica», può anche venir intesa e interpretata come «esempio di 'semiotica della società', anzi della società, sociologicamente non ingenua, sub specie litteraturae». Secondo Prevignano, i 'limiti' del saggio La cultura letteraria, «e più in generale della concezione di Z6lkiewski, stanno forse (. ..) nel non aver almeno indicato il senso di una complementarità tra sociopragmatica e psicopragmatica, quest'ultima ammessa di sfuggita come 'psicologia della ricezione'». A me sembra che quei 'limiti' siano una prova del rigore e del- ['«onestà» del polacco: essi rappresentano le tappe, i confini provvilibro; scrivo perché credo in 'una' verità da dire: e se torno a scrivere non è perché mi accorga di 'altre' verità che si possono aggiungere, e dire 'in più', dire 'inoltre', ma perché qualcosa che continua a mutare nella verità mi sembra esigere che non si smetta mai di ricominciare a dirla». La Panicali l'ha preso in parola: «Una è la storia e uno il suo romanzo. Molti sono i racconti: niente altro •che episodi, tappe, figure, forme storiche della verità» (p. 180). _ Tutti i capitoli del suo libro, tranne uno, sono dedicati ai romanzi, analizzati alla luce di una stessa interrogazione che concerne il significato della loro metafora narrativa. Il corpus narrativo vittoriniano risulta così affrontato, se non nella sua interezza, nei suoi nuclei essenziali: Erica e i suoi fratelli, Conversazione in Sicilia, Uomini e no, Il Sempione strizza l'occhio al Frejus, Le donne di Messina (prima e seconda redazione) - in un arco di t~mpo che va dal sori di un work in progress aperto su~'avvenire. Un quarantennio abbondante separa Ritorno a Itaca dai frutti più maturi della ricercadi Zolkiewski, Kultùra, socjologia, semiotyka literacka e La cultura letteraria - almeno quattro volte il tempo che l'Ulisse omerico spese per rimettere piede sulla sua «petrosa Itaca». Si direbbe che l'Ulisse z6lkiewskiano abbia seguito in qualche modo i consigli che nel 1911 (anno di nascita del polacco ... ) K. Kavafis dava al proprio Ulisse e ulisside: «Se per Itaca volgi il tuo viaggio, I fa' voti e ti sia lunga la via,/ e colma di vicende e conoscenze. I( ... ). E siano tanti i mattini d'estate I che ti vedano entrare (e con che gioia I allegra!) in porti sconosciuti prima. I( ... ). Récati in molte città dell'Egitto, I a imparare a imparare dai sapienti. I Itaca tieni sempre nella mente. I La tua sorte ti segna quell'approdo. I Ma non precipitare il tuo viaggio. I Meglio che duri molti anni, che vecchio I tu finalmente attracchi a/l'isoletta, I ricco di quanto guadagnasti in via ... » (trad. di F.M. Pantani). . Perché, a ben guardare, anche Zolkiewski ha finito per raggiungere Itaca, sia pure lungo una rotta diversa da quella che s'era prefisso, e sbarcando in un punto della costa che non è quello vagheggiato nei tardi anni trenta (né potrebbe esserlo!) ma gli sta vicino con buona pace di Osolsobé. È il porto - se non della scienza della lingua, «sistema modellizzante primario» - della teoria e della pratica dei «sistemi modellizzanti secondari». E il braccio di «mare della Storia» che egli ha dovuto percorrere - la Polonia di Pifsudski e del dopoPil'sudski, del giogo nazista e dello slancio rivoluzionario, dello stalinismo e del post-stalinismo, su su... - non ha nulla da invidiare (o ha tutto da invidiare) al Mediterraneo dell'eroe antico frustato dall'ira di Posidone, con le sue tempeste e i suoi naufraghi, i suoi Lestrìgoni e Ciclopi. Signum 1 a c. di Carlo Prevignano pp. 178, lire 25.000
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