Mensile di informazione culturale Giugno 1984 Numero 61 - Anno 6 Lire 3.500 Edizioni Cooperativa Intrapresa Via Caposile, 2 • 20137 Milano Spedizione in abbonamento postale gruppo 111/70• Printed in Italy Agenzie per la comunicazione pubblicitaria in Milano e Modena S. Teroni: L'evasione per Lévinas * A. Boalht; Il mito e lo specchio* M. Forti:Esempi sintomatici* F.Masini: La ricerca inGermania Prove d'artista: G. D'Agostin6/C. Vhriani:Pensieri per una poetica clella ve$1e* Da Berlino* Da LosAngeles M. Cucchi:Porta dell'invasione* G. Groncla:V-dtorinie lavoro* N. Minnella: La poesia amerindia* R. Fauani: Continenti se■-lotici A. Burgess: Tnr.reslila eia letteratura* M. Fermris: Dorfles arti e costume* Testo: G. Casanova: lcosameron (a cura cliF.Portinari) R. Esposito: Il conflitto sospeso* M. Spinella: I grancli tiratori* G. RioHa: L'esempio Usa* A. Sciacchitano: Encore? M. Fiumanò: li legame clegli analisti* S. Givone: Unaltro nichilismo* B. Accarino: Il gusto clella discrezione* Cfr. , A.G. Biuso: Le vite cliNietzsche * Cfr.analitico: La saggistica teorica* G. Passerone: Cinema secondo Deleuze U. Curi: Le devastazioni dell'emergenza* Unammonimento strano, intervista a R. Canosa e A. Santosuosso A. Attisani: Il fondamento clel mimo* Centro clidocumentazione sulla legislazione cl'emergenzà(6) * Immagini: Caclutaclel Sipario Giornale clei Giomali: Telegiomali e quotidiani (2) * lnclice clella comunicazione: Pubblicità •
I Libri che restano. FEDERICO DE ROBERTO Romanzi Novelle e Saggi I Meridiani . A cura di Carlo A. Madrignani Tutti i romanzi (L'Illusione, I Viceré e L'Imperio) e, per la prima volta, offerta ai lettori un'ampia scelta dalle novelle, i saggi, le prefazioni e le lettere. In un solo volume il "meglio" di De Roberto. GIOVANNI GIUDICI Lume dei tuoi misteri Lo Specchio Una raccolta di poesie salutata subito dalla critica e dai lettori, èome il libro più ricco e completo dell'autore. ANTONIO PORTA Invasioni Lo Specchio Dopo Passi passaggi Antonio Porta ricòflferma con questi versi l'intensità di una stagione poetica singolarmente vitale. JUNICHIRÒ TANIZAKI Gli insetti preferiscono le ortiche Medusa '80 Traduzione di Mario Teti Prefazione di Natalia Ginzburg Un romanzo dell'autore de La Chiave. La storia di un'ossessione condotta con impareggiabile sottigliezza psicologica e con un ritmo narrativo incalzante e impalpabile. MONDADORI BrigittaBerger Pater L. Berger In difesa dellafamlgllaborghese Una ragionevole, laica, non reazionariadifesa dell'istituzione familiare dopo anni di obbligatori anatemi e di stridula retorica «contro» Jean Starobinski Montalgne Il ~radosso dell'apparenza Starobinski legge Montaigne: un incontro d'eccezione, un saggio esemplare di un maestro della critica contemporanea John Forrester Il llnguagglo e le origini dellapslcanallsl Parolecome sintomi, conversazione come terapia: le scienze del linguaggio e il loro ruolo nella scienza della psiche José AntonioMaravall Potere,onore,élltes nellaSpagna .. del Secolod'oro Etica dell'onore e confini di casta: le trasformazioni dell'aristocrazia spagnola nel Seicento il Mulino le immagindii questo numero Mentre il sudario copre alla vista un corpo morto, pur con lafunzione di indicarlo, il sipario è chiuso su un'incognita e si apre su uno spettacolo-sorpresa, richiudendosi poi al suo spegnimento, che rinvia • al sonno (se non alla morte), ai sogni e allefantasticherie dello spettatore. Fino al secolo scorso il sipario funziona in tal senso, o almeno così viene inteso in quel luogo, theatrum, che non è destinato solo alle rappresentazioni drammatiche ma a innumerevoli cerimonie laiche. Il sipario è u'n incipit, interruttore o inaugurazione dello sguardo, svolge la stessa funzione che ritroviamo nel frontespizio decorato di un libro o in quell'unità architettonica che è una soglia. La morbida otturazione della soglia obbedisce a comando, è fatta per aprirsi e dirigere l'attenzione su una finta morte, la rappresentazione. Il sipario è il sudario della morte finta. La mostra L'avventura del Sipario, a cura di Valerio Morpurgo (Prato, Teatro Metastasio), e il catalogo (Ubulibri, Milano 1984, pp. 215, lire 42.000), da cui sono tratte le immagini di questo numero di Alfabeta, costituiscono la più importante sistematizzazione finora tentata di documenti e studi su questo elemento primario del microcosmo teatrale. Anzi, a detta del curatore, microcosmo esso stesso: «Il Sommario Sandra Teroni L'evasione per Lévinas (Dell'evasione, di E. Lévinas; Le Grand Jeu. 1928-1929, di Autori vari; Le traité du style, di L. Aragon) pagina 3 Alberto Boatto Il mito e lo specchio pagina 4 Marco Forti Esempi sintomatici («Il senso della letteratura» 7) pagina 6 Ferruccio Masini La ricerca in Germania («Il senso della letteratura I Riferimenti») pagina 7 Maurizio Cucchi Porta dell'invasione (Invasioni, di A. Porta) pagina 8 • Prove d'artista: Giovanni D'Agostino pagina 9 Cesare Viviani Pensieri per una poetica della veste pagina 10 Nando Minnella La poesia amerindia (In Tota/ Resistance, di Autori vari; Living in Reality, di Autori vari; The Great Sioux Nation, di R. Dunbar Ortiz; Akwesasne Notes; Oyate Wicaho; Black Hills Paha Sapa Report) pagina 11 Comunicazione ai collaboratori di «Alfabeta» Le collaborazioni devono presentare i seguenti requisiti: a) ogni articolo non dovrà superare le 6 cartelle di 2000 battute; ogni eccezione dovrà essere concordata con la direzione del giornale; in caso contrario saremo costretti a procedere a tagli; b) tutti gli articoli devono essere corredati da precisi e dettagliati riferimenti ai libri e/o agli eventi recensiti; nel caso dei libri occorre indicare: auCaduta del Sipario Sipario ha sempre rispecchiato, nei suoi diversi periodi, l'evoluzione dello spazio e della scena teatrale, nel mutevole avvicendarsi di riferimenti col circostante ambiente sociale. Un microcosm·o di strutture e rapporti che si trasformava (pur mantenendo alcuni caratteri originari) di pari passo con la tradizione figurativa; finché, a ciclo pittorico ormai concluso sul finire del secolo, allude ormai all'architettura domestica, per epopea di tendaggi simulati (a trompe-l' oeil) in un teatro divenuto luogo consolidato delle ritualità borghesi». L'imponente lavoro di raccolta e classificazione non è certo diminuito dalla considerazione che il sipario teatrale rappresenta solo un aspetto del «dispositivo di soglia», dell'evolversi di ideologie e pratiche di gestione dello sguardo (meglio: interruttore della visione intenzionale). L'avventura del Sipario, infatti, pur non collocandosi esplicitamente in questa prospettiva, accenna e lascia aperta una possibile lettura del sipario in tale contesto di sensi; così come è abbastanza controllata la tentazione pur forte di interpretazioni di marca psicanalitica. Né tocca questo lavoro l' affermazione che di microcosmi da scoprire ce ne sono tanti ancora, anche tali da denunciare per la loro importanza vistose carenze storiograDa Berlino a cura di Kurt Hilgenberg e di Maurizio Ferraris pagina 12 Da Los Angeles a cura di fon R. Snyder e di Maurizio Ferraris pagina 13 Giovanna Gronda Vittorini e lavoro (Vittorini, la Differenza, di E. Golino; Il romanzo del lavoro. Saggio su Elio Vittorini, di A. Panica/i; Vittorini e Lawrence, di R. Rodondi) .. pagina 15 Remo Faccani Continenti semiotici (Signum 1, a c. di C. Prevignano) pagina 15 Anthony Burg~ Travestita da letteratura pagina 17 Maurizio Ferraris Dorfles arti e costume (I fatti loro, di G. Dorfles) pagina 17 Testo: Giacomo Casanova Icosameron a cura di Folco Portinari pagine 19-21 Roberto Esposito Il conflitto sospeso («Il giorno prima» 3) pagina 23 Mario Spinella I grandi tiratori (Il grande tiratore, di K. Vonnegut; Il futuro nucleare, di M. Mandelbaum; Storia e catastrofe. Considerazioni sul rischio nucleare, di L. Cortesi) pagina 24 Gianni Riotta L'esempio Usa («La stampa limitata» 1) pagina 25 Antonello Sciacchitano Encore? (Ancora. Seminario XX, di J. Lacan) pagina 26 tore, titolo, editore (con città e data), numero di pagine e prezzo; c) gli articoli devono essere inviati in triplice copia; il domicilio e il codice fiscale sono indispensabili per i pezzi commissionati e per quelli dei collaboratori regolari. La maggiore ampiezza degli articoli o il loro carattere non recensivo sono proposti dalla direzione per scelte di lavoro e non per motivi preferenziali o personali. Tutti gli articoli inviati alla redazione vengono esaminati, ma la rivista si compone prevalentemente di fiche (si pensi, per esempio, alla macchineria teatrale). Qualsiasi microcosmo è creazione dello sguardo, è visibile solo dopo essere stato inquadrato e scoperto da un sipario; solo l'indagine ha il potere di rilevare tracce del mondo e dei suoi cambiamenti in ogni piccolo oggetto. Questa operazione, dunque, segna già una buona differenza da una storiografia teatrale idealisticamente fissata sui testi. Sarebbe opportuno però seguire veramente le tracce e non condizionare il paradigma indiziario alla scelta di un unico mezzo di indagine: non si può pensare al sipario come comparto autonomo della vita materiale del teatro e dell'immaginario spettacolare. La pluralità di contributi storici e teorici attorno a questa mostra tende giustamente, piuttosto che a una documentazione esaustiva, a indirizzare l'attenzione di chi si occupa dello spettacolo a un oggetto plurisignificante, senza celare né le predilezioni dei singoli estensori (sono per esempio praticamente assenti tutti i generi minori) né i soggettivi punti di fuga interpretativi. Il teatro di questo secolo segna non solo il passaggio a un'insistenza sul «sipario decorato» ma soprattutto la caduta di funzionalità della vecchia cortina rispetto a una scena generalmente più vitalistica, Marisa Fiumanò Il legame degli analisti (Il gioco impari, di Autori vari; Jacques Lacan et la question de la formation des analystes, di M. Safouan) pagina 27 Sergio Givone Un altro nichilismo (Nichilismo ed etica, di A. Caracciolo; La croce e il nulla, di S. Quinzio) pagina 27 BrunoAccarino Il gusto della discrezione (Vita nobiliare e cultura europea, di O. Brunner; Verità e metodo, di H.G. Gadamer) pagina 29 Alberto Giovanni Biuso Le vite di Nietzsche (La catastrofedi Nietzsche a Torino, di A. Verrecchia; Nietzsche. Una biografia intellettuale, di L.A. Salomé; Nietzsche e il circolo vizioso, di P. Klossowski; Vita di Nietzsche, voli. 1-3, di C.P. Janz) pagina 30 Cfr. pagina 31 Cfr. Bibliognuaa analitica La saggistica teorica 1983-1984 a cura di Maurizio Ferraris pagine 32-33 Giorgio Pas.serone Cinema secondo Deleuze (L'immagine-movimento. Cinema I, di G. Deleuze) pagina 34 Antonio Attisani Il fondamento del mimo (Parole sul mimo, di É. Decroux) pagina 35 Umberto Curi Le devastazioni dell'emergenza pagina 36 Centro di documentazione sulla legislazione d'emergenza (6) pagina 36 collaborazioni su commissione. Occorre in fine tenere conto che il criterio indispensabile del lavoro intellettuale per Alfabeto è l'esposizione degli argomenti - e, negli scritti recensivi, dei temi dei libri - in termini utili e evidenti per il lettore giovane o di livello universitario iniziale, di preparazione culturale media e non specialista. Manoscritti, dise_gnie fotografie non si restituiscono. Il Comitato direttivo che presuppone un cambiamento dell'intero luogo teatrale e persino dei modi di ricezione dello spettacolo. Così, il meccanismo che copre e che scopre esplode in mille invenzioni e il sipario di una volta viene casomai incorporato nella scenografia come-citazione leggibile o come frammento metaforico. Oggi, dopo essere stato straniato, assieme ad altri topici del teatro all'italiana, il sipario può tornarea essere convenzione significante, univoca e flessibile al tempo stesso. Una tecnica ha mostrato i suoi diversi moventi culturali e può dunque essere nuovamente scelta. Il catalogo di L'avventura del Sipario, molto ricco e ben curato come è nello stile Ubulibri, entra nella biblioteca dello studioso soprattutto per gli scritti di cui diamo elenco: Sipari teatrali (Jean-Louis Barrault), 11sipario come fattore diasistematico (Gilio Dorfles), Il sipario dal mito all'illusione (Anna Panica/i), La soglia della metafora del sipario (Francesco Leonetti), Storia dei sipari decorati in Germania e in Austria (Karl Bachler), Il sipario simbolista russo (Gabriella Di Milia), Il sipario teatrale in Russia (Tatiana Borisnova Klim), Pour en finir avec le rideau (Denis Bablet), Il sipario perduto (Franco Quadri, Oliviero Ponte di Pino). Antonio Attisani Romano Canosa Amedeo Santosuosso Un ammonimento strano intervista a cura della redazione pagina 37 Giornale dei Giornali Telegiornali e quotidiani (2) pagina 38 Indice della comunicazione Pubblicità pagina 38 Le immagini Caduta del Sipario a cura di Antonio Attisani alfabeta mensile di informazione culturale della cooperativa Alfabeta Comitato di direzione: Nanni Balestrini, Omar Calabrese, Maria Corti, Gino Di Maggio, Umberto Eco, Francesco Leonetti, Antonio Porta, Pier Aldo Rovatti, Gianni Sassi, Mario Spinella, Paolo Volponi Redazione: Carlo Formenti, Maurizio Ferraris, Marco Leva, Bruno Trombetti Art director Gianni Sassi Edizioni Intrapresa Cooperativa di promozione culturale Redazione e amministrazione via Caposile 2, 20137Milano Telefono (02) 592684 Coordinatore tecnico: Giovanni Alibrandi Coordinamento markLting: Sergio Albergoni Composizione: GDB fotocomposizione, via Tagliamento 4, 20139 Milano Telefono (02) 5392546 Stampa: Rotografica viale Monte Grappa 2, Milano Distribuzione: Messaggerie Periodici AbbonamenJo annuo Lire 35.000 estero Lire 45.000 (posta ordinaria) Lire 55.000 (posta aerea) Numeri arretrati Lire 5.000 Inviare l'importo a: Intrapresa Cooperativa di promozione culturale via Caposile 2, 20137 Milano Telefono (02) 592684 Conto Corrente Postale 15431208 Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 342 del 12.9.1981 Direttore responsabile Leo Paolazzi Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati '
r evasioneperLévinas Emmanuel Lévinas DeU'evasione commento e note di J. Rolland ed. it. a c. di D. Ceccon e G. Frank Reggio E., Elitropia, 1984 pp. 171, lire 14.000 Le Grand Jeu (1928-1929) ristampa anastatica Paris, Jean-Michel Piace, 1977 pp. 354 Louis Aragon Le traité du style Paris, Gallimard, 198!2 («L'imaginaire») N el suo saggio giovanile sull'evasione del '35 - uscì nelle Recherches Philosophiques, ed è stato recentemente riproposto in volume dalle edizioni Fata Morgana (Paris 1982, pp. 128, ff. 45) e, in traduzione italiana, da Elitropia (Reggio Emilia 1984) - Lévinas àncora il suo discorso sulla constatazione di un mutamento di sensibilità, di cui coglie i segni nella letteratura contemporanea, e ne enfatizza la portata fino a parlare di un nuovo «mal du siècle». È questo ancoraggio - che può essere un artificio retorico ma che è anche una prima riflessione - a giustificare l'adozione di un termine alla moda mutuato dal linguaggio letterario e critico-letterario, per avviare un discorso che vuole arrivare «al cuore della filosofia», cioè a «rinnovare l'antico problema dell'essere in quanto essere» (p. 21). La constatazione di Lévinas sulla «strana inquietudine» (p. 16) di evasione manifestata dalla letteratura contemporanea non era nuova; completamente nuova e ricca d'implicazioni è la sua lettura del fenomeno. Già nel 1928, nel Traité du style, Aragon aveva constatato, per attaccarla, la mitologia dell'evasione diffusa dalla più recente letteratura. La partenza, il viaggio, l'avventura, l'evasione: tutte frottole spacciate per verità moderne, che improvvisamente bloccano la coscienza umana - che, come le droghe e il sentimento religioso, si fondano su una «imbecille ricerca di felicità» o «ricerca del paradiso», offrendo opportunistiche soluzioni al problema dell'esistenza. Le drammatiche scelte di Rimbaud, Aragon le vedeva svilite a leit-motiv, a moda. Anche per lui l'evasione è la forma aggiornata del «vague à l'ame», ma il tono dell'affermazione è fortemente dispregiativo. Come lo è la constatazione che il momento di massima diffusione del termine coincide con quello di sua totale perdita di senso. Nel desiderio di andarsene, di rompere I confini, di rischiare, "'"> Aragon non leggeva più nessuna s:s discesa all'inferno pur di sfuggire -~ al piatto comfort europeo (Céline, C). Lettres d'Afrique), nessun deside- ~ rio di conoscenza, nessuna ricerca -. di rinnovamento, bensì una preteg sa, infantile e borghese, di speran- ~ za - speranza di «uscirne» (sortir), ·bo di «sottrarsi a ciò che si è». E pe- ..... 10 rentoriamente replicava che la vita ::: è intollerabile e non c'è niente da ~ farci, non se ne esce, non ci si può l sottrarre a ciò che si è, non resta ~ che accettare la nausea, «l'immense vague qui emporte tout». Tutta la requisitoria di Aragon si muove sul filo del paradosso, non solo per il tono enfatico, ma per la scarsa problematicità e l'assenza di riferimenti concreti e di distinzioni, che non permette di capire a quale livello si colloca l'obbiettivo. I nomi, citati en passant, di Philippe Soupault e Paul Morand non impediscono al lettore avvertito di leggere tra le righe quelli di Maupassant, Schwob, Gide. Rimandano insomma a quella letteratura di fine secolo, lontana dalla radicalità di Rimbaud o di Germain Nouveau, che in sintonia con una certa lezione nietzscheana aveva invitato a evadere dalla 'prigione' rappresentata da ogni fissa dimora così come da ogni abitudine, e a scegliere la 'vita errante' in cui portare la propria insaziabile 'sete d'avventure', la propria fame di conoscenza dell'ignoto: quello che sta fuori di noi e quello che ci portiamo dentro. D'altra parte, l'insistenza della polemica sul «rimbaldismo contemporaneo» sembra investire altre tendenze: tra queste Le Grand Jeu, la rivista diretta da Roger Gilbert Lecomte, René Daumal, Joseph Sima e Roger Vailland, che usciva nell'estate di quello stesso anno. Mentre riprendeva l'invito a «partir sur !es routes», a uscire dalle norme etico-morali codificate e dalle strutture logiche del pensiero, essa proclamava la necessità della Rivolta come «sola possibilità di evasione e di liberazione». Nel numero successivo - che è della primavera '29, posteriore dunque al Trattato di Aragon, e tutto dominato dalla parola di Rimbaud - Daumal e Gilbert Lecomte sentivano il bisogno di una 'messa a punto' in cui precisavano la loro estraneità alla speranza, si qualificavano «tecnici della disperazione», ribadivano l'impegno a praticare la delusione sistematica, e definivano il Grand Jeu «interamente e sistematicamente distruttore». Come unico dogma, assumevano il CASSE-DOGME, spinto fino al CASSE SOI-MEME. La Rivolta su cui si fondava il loro programma, o almeno il gruppo, non andava infatti in direzione di una crescita dell'io, bensì di una sua dissoluzione; insieme alla diSandra Teroni struzione, percorreva le vie dell'uscita e dell'estasi. La sfida era a sortir, esplicitato come «uscire dall'essere umano». Totale assenza di finalità e di direzione, dunque, «slancio», «tensione forsennata» più che movimento, ma slancio coniugato con la «rinuncia continua», orientata verso la «pureté du vide», passando per tutti i procedimenti di spersonalizzazione. Su questa via avveniva l'incontro con le culture della veggenza, dello yoga, della tradizione occulta, del pensiero primitivo. L'esigenza affermata di «changer de pian» non era infatti riducibile al «cambiare sguardo» predicato da Gide. 11 saggio di Lévinas si muove almeno inizialmente in quest'area semantica: evasione, rivolta, nausea, uscita, sottrarsi a ciò ·che si è. Ma al tempo stesso Proscenio del Mil.nchner Kil.nstler-Theater riformula la questione, non soltanto portandola ai livelli della speculazione filosofica, tutto sommato estranei ai precedenti letterari, ma anche stabilendo diverse relazioni tra i termini. Nel rapporto tra nausea e evasione si passa dalla formulazione 'il bisogno di evasione è il tentativo di sottrarsi alla nausea' alla formulazione 'la nausea è il sintomo del bisogno di evasione'; in quello. tra nausea e rivolta non è più la prima che genera la seconda, ma viceversa. Sulla questione del sortir lo spostamento passa attraverso un uso forte del verbo, liberato da ogni possibile transitività (l'excédance contrapposta alla trascendenza), e il rifiuto di decidere se sia possibile o no 'uscire', implicito nella scelta di riconoscere questo bisogno e di tentare di decifrarlo. 'Sottrarsi a ciò che si è' è un'altra formula assunta in senso forte: diventa «sottrarsi all'essere», mentre ancora una volta la valutazione di impossibilità dell'impresa non ostacola l'analisi della tensione. Ciò che interessa Lévinas e fa l'oggetto della sua analisi è proprio la contraddizione, la compresenza degli opposti: esperienza dell'essere e nausea, imperiosa necessità e rigorosa impossibilità di 'uscire'. Nel bisogno di evasione - letto come Ùna conoscenza dell'essere dell'io che fa tutt'uno col soffocamento e con la spinta a uscirne - egli vede «la più radicale condanna della filosofia dell'essere» (p. 16), cioè di una filosofia fondata su una concezione dell'io come «autosufficiente», mutuata dall'immagine di essere offerta dalle cose. Vi vede anche l'espressione in forme drammatiche di una crisi dell'identità, poiché il bisogno di 'uscire fuori da se stessi' implica che si voglia spezzare «l'incatenamento più radicale, più irremissibile, il fatto che l'io è se stesso» (p. 20). La lettura che Lévinas faceva nel '35 del bisogno di evasione era talmente nuova che per introdurla egli doveva distinguere con insistenza questo bisogno non solo dal bisogno di trascendenza caro ai romantici, ma anche da espressioni molto più vicine nel tempo, come le teorie bergsoniane dello 'slancio vitale' e dell' 'evoluzione creatrice' (a cui pure riconosceva di rompere con la rigidità dell'essere classico), nonché dalla tematica letteraria della fuga dai limiti· dell'io per la realizzazione di tutti i compossibili. L'inquietudine che percorre •quasi due secoli di letteratura, pur differenziata nelle forine di espressione, viene a essere collocata sotto il comune denominatore della «fuga dai limiti dell'essere»; ma altro si può intèndere parlando di evasione, e altro intende Lévinas nella sua ridefinizione: l'evasione è «fuga dall'essere», nell'evasione l'io si fugge di fronte al fat~obrutale della sua esistenza. La tematica dell'evasione non è più trattata come risposta (più o meno velleitaria) a un altro bisogno, bensì come espressione di un bisogno; m quanto tale essa è dunque analizzata, al fine di delucidarne la natura e il significato. Il discorso, tutto giocato sulle metafore del vuoto e del pieno, del dentro e del fuori, segue un movimento circolare: partendo dall'evasione, esso conduce dal bisogno al piacere, dal piacere alla vergogna, dalla vergogna alla nausea e da questa di nuovo all'evasione. L'analisi della struttura del bisogno è centrata sui due poli entro cui esso si muove: il malessere che ne denota il sorgere, e la soddisfazione a cui sembra aspirare. Il primo, interpretato come un fatto dinamico («etre mal à son aise»), rifiuto di stare, sforzo per uscire, di cui si valorizza l'indeterminatezza dello scopo che l'uscita si propone. La seconda, constatata come sempre inadeguata (riproposizione del bisogno), e seguita da delusione; da cui la legittimità della domanda se «placare il bisogno» sia davvero nelle esigenze iniziali del bisogno stesso. Questa contestazione del bisogno come manque si accompagna alla lettura del piacere come delusione e inganno. La fenomenologia del piacere che Lévinas propone - ancora una volta il termine è preso in senso forte, rinviando al rapporto amoroso, è fa pensare a Bataille - lo rivela incapace di realizzare ciò che doveva promettere e sembrava permettere: l'abbandono di sé, nel senso anche dell'uscir fuori da sé, la liberazione da «una specie di peso morto al fondo del nostro essere» (p. 27). In questo senso il piacere è definito una promessa di evasione che si rivela fallace. E in questo senso la vergogna successiva alla caduta del piacere nel momento in cui l'estasi sembrava vicina segnala l'incapacità di rompere con se stessi e di perdersi, l'impossibilità radicale di fuggitsi per nascondersi a se stessi. La rivolta che accompagna questa esperienza dell'essere incatenati (rivés) a se stessi è all'origine della nausea, situazione-limite in cui sono esperiti insieme il pieno della presenza e «l'impossibilità di essere ciò che si è». « Esperienza ( ... ) de/l'essere puro» (p. 38), nella sua nudità, la nausea è al tempo stesso esperienza dell'evasione che s'impone e dell'impotenza a uscire da questa presenza. L o scavo di un tema letterario - assunto come il «tema inimitabile che ci propone di uscire dall'essere» (p.18) e us<!.10-- in un ripensamento critico del pensiero heideggeriano - preparava l'entrata in scena di Antoine Roquentin, il personaggio letterario a cui da allora sarebbe stata associata la Nausea. Non a caso, Lévinas rende un esplicito omaggio a Céline, per avere, nel Voyage au bout ,de la nuit, «spogliato l'universo» grazie a «una meravigliosa arte del linguaggio» (p. 34); attraverso la visione allucinata di Bardamu, la realtà rivela la sua essenza. Ed è Nausea - non un disturbo passeggero o intermittente, ma assunzione disgustata di ciò che è. Abolita ogni gerarchia tra umano e non umano, tutto è travolto nello stesso caos organico, connotato dalla ripetizione ossessiva degli stessi aggettivi. Il viaggio verso l'ignoto del Continente Nero e del Nuovo Mondo, poi lo spostamento all'interno di se stesso, nella propria notte, portano alla conoscenza della stessa realtà - intenable per dirla con Lévinas. De/l'evasione fa anche da cerniera con l'area semantica della Nausea, quella in cui s'incontrano i disgusti di Bardamu e le allucinate elucubrazioni di Roquentin, antieroe romanzesco che ha letto Husserl e Heidegger. A Roquentin Sartre fa vivere l'avventura di liberarsi di tutto ciò che riempie e nasconde («veste», diceva Lévinas) l'esistenza - non solo il lavoro e i legami sociali, ma anche il ricordo e le categorie logi-
che di apprensione e classificazione del reale, portandolo, in un crescendo di nausea, verso la conoscenza/sperimentazione della «nuda esistenza»: io esisto immerso nelle cose, sono essere. Roquentin si dibatte afferrato dalla gratuita presenza dell'essere e dai ritorni di nausea, fino alla brusca rivelazione che le due cose vanno insieme, che la Nausea è «l'accecante evidenza dell'essere». Quando, nel Giardino pubblico, «il velo si strappa», questo «disvelamento dell'esistenza» è anche assimilazione della Nausea all'essere: «La Nausée ( ... ) c'est moi». Come per Lévinas, la coscienza dell'essere è insieme rifiuto dell'essere, impossibilità di essere ciò che si è, tendenza al superamento e impossibilità di superarsi; e, come per Lévinas, «ça pèse lourd sur votre coeur comme une grosse bete immobile». Vischiosa, in Sartre, l'esistenza non inchioda ma inghiotte: Roquentin si sente affogare in questa «enorme presenza» che è una confiture, una ignoble marmelade, un affalement gelatineux. Ma può solo avere la Nausea: evadere non è possibile - «l'existence est un plein que l'homme ne peut pas quitter». L'attimo di perdita di sé, l'orribile estasi che egli vive di fronte alla radice del castagno, lo fa sprofondare ancor più nell'essere: è regressione nell'indifferenziato, abolizione dello scarto tra existant e existence. Al di fuori dell'essere Roquentin non può che vaghegO sservando il Narciso del Caravaggio e l'Autoritratto allo specchio convesso del Parmigianino non tardiamo a convincerci che è da questo giovinetto che abbiamo ricevuto lo spec~hio; è dalle sue mani che è stato trasmesso a noi in eredità. Anzi l'impressione di esclusività e di possesso che riesce a comunicarci va ancora più in profondo; forse possiamo esprimerla dicendo che, nel corso del moderno, lo specchio è stato da Narciso addirittura posto sotto sequestro. Lo conferma il fatto che, nel nostro curvarci sopra qualsiasi superficie riflettente, non veniamo mai neppure sfiorati dal ricordo e dal brivido che una figura ben altrimenti più potente di questo giovinetto potrebbe disporsi al nostro fianco e guidarci mentre ci specchiamo. Questa figura in ombra, provvisoriamente rimossa fino ai margini della cancellazione, nasconde quella di Dioniso e col dio dell'apparenza e dell'ebbrezza un uso tutto diverso dello specchio. , Così, e in maniera sorprendente, mentre nella non breve stagione ellenistica, che dà la sua estenuata impronta all'intero classicismo, un dio mirabile e un adolescente sdegnoso si contendono in segreto il dominio dello specchio, sulla soglia del moderno, nell'età mamenst1ca del Parmigianino, qì:tdiò éontrasto sembra concludersi con la vittoria riportata dall'adolescente sopra il dio. Non senza un sospetto d'inganno, l'enigmatico signore dei misteri e delle iniziazioni si ritira nel silenzio e nell'oscurità, mentre la polvere dell'oblio sembra spegnere definitivamente il provocante scintillio del suo specchio. Tuttavia è solo a patto di trasformarsi, di radicalizzare il suo profilo che il giovinetto è arrivato a strappare simile vittoria, sicché il giare l'alterità della forma geometrica e della frase musicale, che per altro la scrittura sartriana assume in maniera assai più problematica. È comunque in questa direzione, pensando alla creazione artistica, che nell'ultima pagina del diario il personaggio della Nausée sognerà una qualche salvezza, una possibilità di «lavarsi dal peccato di esistere». Lf incontr~ tra Sar_tree ~évinas avviene e s1 mantiene sul terreno· dell'«antico problema dell'essere in quanto essere», che entrambi sentono l'esigenza di rinnovare. Di evasione non si parla nella Roni Kopels, sipario alla greca e (a destra) sipario alla tedesca o a ghigliottina Nausée, né di spinta a 'uscire'. Sartre postula invece un'ambiguità del soggetto che mentre subisce la fascinazione dell'inerte e partecipa in qualche modo della sua natura, è al tempo stesso capace di autoriNarciso moderno, che si forma nella torbidezza e nella inquietudine del manierismo, si rivela nella sostanza molto distante dal Narci- .-,soclassico. Sui mosaici di Antiochia e nelle pareti affrescate di giallo e di ocra di Pompei, come nei versi di Ovidio, quella fonte rilucente_ che sta assorbendo lo sguardo del giovinetto, faccia parte pure di una scena affollata o di una dispiegata narrazione, comunque si trova sempre, abita, in mezzo al mondo. È come se a Narciso che ha già respinto l'abbraccio delle fanciulle, dei fanciulli e delle ninfe, venisse incontro un'occasione conclusiva: o scegliere il mondo recintato della fontè·; su .cui sporge il suo volto, e che si riduce alla propria immagine, a questo duplicato; oppure scegliere quel mondo copioso che sta alle sue spalle e a cui fa già da ostacolo' questo suo curvarsi. ,., Roni Kopels, sipario all'italiana e ( a destra) sipario allafrancese Conosciamo la sua scelta: quel mondo pieno, presente nella varietà di creature vegetali, umane e soprannaturali come le tenere ninfe, verrà perduto da Narciso a vantaggio della conquista esclusiva del proprio riflesso. Solo a condizione di una completa cecità rispetto al mondo è concesso che gli venga illuminata la sua sembianza flessione. La coscienza, come ci dirà L'Erre et le Néant, è «decompressione dell'essere». In quanto a Roquentin, se è vero che nella coscienza egli trova, oltre al disgusto dell'essere, la difesa dal totale assorbimento nell'essere stesso, è anche vero che la sua esperienza è piuttosto quella della labilità di questa frontiera. Il cogito è irriso, nel suo esserci e nel suo opprimente riprodursi, troppo simile alla presenza e proliferazione dell'esistenza. Soffocamento e impotenza sono anche nel vissuto di Roquentin. Ma questo non esiste. Noi lo conosciamo solo in quanto 'messo in forma' attraverso la finzione letteraria. Quest'ultima è la sola modalità 'al di là dell'essere' che nella Nausée Sartre concretamente prospetta. Sartre e Lévinas saltano a piè pari (perché data per superata) la problematica dei freni rappresentati dalle convenzioni sociali e dai condizionamenti culturali, e riconducono il bisogno di evasione alla necessità esistenziale di sfuggire a quello che Malraux nella Voie Royale aveva chiamato /' état humain. Non c'è niente verso cui andare, l'evasione è pura tensione di fuga, il viaggio scompare come tematica e come figura. Cambia profondamente di connotati anche la Rivolta, perché non c'è più un Altro a cui addebitare il proprio malessere, contro cui sia possibile ribellarsi. Il malessere è diventato mal d'essere. Sebbene più esplicita che nella isolata in un solo punto. Tuttavia quel mondo esiste, effigiato nei pavimenti e nelle pitture parietali dei due centri ellenistici e cantato nei prodigi delle Metamorfosi. Un solo particolare, ogni volta che vi posiamo sopra lo sguardo, ha il potere di rinnovare il nostro turbamento, dove la sorpresa di fronte all'inatteso si .acc9mpagna alla felicità per un incontro sperato in segreto: escluso da Ovidio ma raffigurato a Antjochia come a Pompei, quel mondo folto che Narciso ha lasciato dietro di sé contiene pure in un canto un'ara consacrata a Dioniso, che è l'unica traccia divina presente in tutta la scena. Dunque, malg'fado l'ostentazio11edi voltargli le spalle, Narciso non è riuscito a sfuggire all'universo di Dioniso; di questo universo egli rappresenta piuttosto una trasgressione, una devianza nell'ordine essenziale dell'effusione, della corrispondenza erotica. È come se il suo specchio circoscritto e incorniciato non costituisse che uno spezzone, un frammento schizzato via dallo specchio illimitato, non circoscrivibile di Dioniso, straripante in ogni direzione, ~ato che comprende in sé il mondo. O il «tutto» come sostiene Olimpidorn o la «pluralità» come testimonia Proclo. E la stessa immagine di., Narciso che cosa contrassegna se • non un punto staccatosi con presunzione dal reticolo plenario di Dioniso e per ciò stesso condannato a una sorte di autodistruzione? O ra di questa complessità e ricchezza non scorgiamo nessuna traccia nel Narciso manieristico. Non soltanto l'ara di Dioniso ma la stessa scena del mondo risulta sparita del tutto. Simile cancellazione annulla qualsiasi possibilità di scelta; e l'unica occasione che gli venga tuttora offerriflessione di Lévinas, l'interrogazione sulla possibilità e sulle modalità del superamento dell'essere non trova risposta nel romanzo sartriano. La storia di Roquentin non avrà seguito, come non avrà seguito La Nausée. L'assunto della non-coincidenza con sé, della tensione. tra en-soi e pour-soi, che sostiene tutta l'elaborazione teorica de L'Erre et le Néant, sarà anche l'esigenza su cui a un certo livello si fonda nella Critique la ricerca di forme oppositive al pratico-inerte. Una costante, dunque, e al tempo stesso un abbandono del terreno della Nausée, il che spiega da parte del suo autore sia le drastiche condanne che le suecessive dichiarazioni di «fedeltà». Quanto al saggio di Lévinas, le ultime parole formulano l'esigenza di «uscire dall'essere per una nuova vita» (p. 47). Lo studio di Rolland che lo accompagna nelle edizioni in volume chiarisce il programma di ricerche filosofiche an° nuociate dalla metafora dell'evata è rappresentata da quel riflesso nell'acqua, quella iridescenza mutevole che davanti a lui sta affascinando i suoi occhi. E se nel Caravaggio distinguiamo ancora, semicerchi quasi perfetti che per di più tendono a combaciare tra loro, il corpo robusto del ragazzo dalla sua immagine, nel Parmigianino simile dualità appare dissolta a favore dell'unità. La presenza che il giovanissimo pittore ha avuto la sfrontatezza di estromettere dal suo autoritratto è la medesima realtà, il mcdello vivente - che poi sulla tela risulta anch'esso solo finzione -, il se stesso che sta al di qua del cavalletto, il Narciso intimo fino al disagio che staziona sempre al di qua dello specchio. Ora, sopra la superficie convessa che si protende verso di noi, non vediamo affiorare - quale assoluto e un po' mostruoso protagonista, ctm la pretesa appunto di essere tutto - che il riflesso speculare, la propria deformata apparizione. Dalla molteplicità del mondo, adesso veramente remoto, del Narciso classico, attraverso l'intermezzo duale e l'equilibrio concentrato ma precario del Caravaggio, siamo approdati a questo mondo monologante e unitario, dove ciò che si mostra non è altro che apparenza. Rispetto a questo mondo del quale scintilla soltanto l'apparensione, cioè quell'esigenza di pensare «al di là dell'essere inteso in senso verbale» che condurrà a Autrement qu'étre, ou Au-delà de l'essence (1974), passando per De l'existence à l'existant (1947). Ma sottolinea anche le metamorfosi della figura dell'evasione, l'abbandono di questa nozione e lo spostamento in direzione della «délivrance etica del Sé», operato attraverso un ripensamento della soggettività che recupera la categoria dell'Altro. Lévinas attribuisce all'esperienza della Grande Guerra questa trasformazione del senso dell'essere; Céline dice a suo modo la stessa cosa, quando apre il Voyage con la partenza di Bardamu per il fronte: è qui, al «mattatoio», che la chair diventa viande, e è qui che Bardamu è preso per la prima volta da «une immense envie de vomir». Con la pubblicazione della Nausée siamo alle soglie di un'altra guerra, il cui peso gravava sulla coscienza europea fin dai primi anni trenta. È tra queste due catastrofi che prende voce non solo il desiderio di «uscire dal peso dell'essere schiacciato da se stesso», ma anche (soprattutto?) quella fascinazione dell'essere come imprigionamento di cui si sono alimentati i nuovi «fiori del male». A questo primo scritto introduttivo seguiranno nei prossimi numeri di Alfabeta altri due scritti di A. Ponzio e A. Folin. za, come si colloca Dioniso· inesplicabilmente scomparso e dimenticato, ma nei cui confronti abbiamo, seppure con temerarietà, situato ogni volta la figura di Narciso? Come sempre il dio inafferrabile si colloca vicino e lontano. Vicino perché non è altri che Dioniso il dio dell'apparenza che, avendolo svuotato di contenuto e di pesantezza, avendolo alleggerito, ha mutato il mondo in una pura superficie levigata. Lontano milioni di anni luce perché Dioniso è il dio della comunione totale; e cosa diventa allora l'immagine unica e vulnerabile dello specchio dell'adolescente scontroso, la derisorietà di questa immagine, se la confrontiamo con la magnificenza di Dioniso, con la sua immagine dispersa e frammentaria, vittoriosa, che non conosce né cornice né bordo né limite? Agevolmente lo specchio del dio scavalca qualsiasi recinzione, dal momento che stringe dentro di sé l'inflazionata e variopinta totalità del mondo. Tanto la superficie di Narciso si presenta circoscritta così da consentire l'addensarsi al suo centro del puntiforme volto del giovinetto, quanto la superficie divina si rivela rovesciata verso una periferia, che non riesce tuttavia a raggiungere. Tutte quelle presenze che Narciso tiene fuori dal suo specchio, da sempre hanno fatto irruzione nello "<:t- specchio di Dioniso, spingendo eia- (3 scun frammento al punto di rottura. -~ In entrambi i percorsi, l'apparec- ci.. chio ottico ha la funzione di una ~ trappola; tuttavia, se nel percorso ....... breve di Narciso scatta solo per imprigionare l'adolescenza mortale, in quello di Dioniso scatta per intrap- ....... polare il mondo. L'atto audace, 'O creativo e frantumante, di rovesciare lo specchio sul mondo, consen- ~ tendo alla propria immagine di di- ;! sperdersi e d'identificarsi con esso, ~
trasforma lo specchio in uno strumento di predazione, di cattura, di rapina fraudolenta, S porgendoci dall'una e dall'altra parte, sulla miseria di Narciso come sulla ricchezza di Dioniso, non incontriamo tuttavia che apparenza; e questo riflesso cangiante, questa fragile scrittura stesa sul vetro e sull'acqua, ha finito per segnare l'unica strada che Narciso si è trovata davanti. Tanto che possiamo indicarla col nome di destino, come lo è stato in effetti il suo destino, a cui il Narciso moderno, che ora chiamiamo apertamente l'uomo moderno, non ha potuto sottrarsi. Forse in verità non lo ha mai accettato; sovente lo ha anche parodiato; tuttavia, malgrado i soprassalti di comprensibile nostalgia, non ha mai tentato con decisione un improbabile ritorno indietro, verso quel mondo sostanziale da cui già il Narciso di Antiochia, di Ovidio e di Pompei aveva distolto lo sguardo. E se nel corso del lunghissimo intervallo si sono inaridite le fonti, al loro posto si sono moltiplicati gli specchi e, ancor più di quelle lastre artigianali di cristallo col rovescio di stagno e di argento, ai nostri giorni si sono moltiplicate le sue estensioni tecnologiche. La foto, il cinema e la televisione, questi specchi «dotati di memoria», disseminandosi su ogni punto della sfera rotante, si sono consociati per allestire sopra il palcoscenico del mondo una smisurata «camera di specchi» che ha avuto la forza di trasformare il pianeta in una translucida e scorrevole apparenza. Non solo ogni singola presenza, frazionandola e addizionando contemporaneamente ciascun frammento così ottenuto, pietra, onda, albero, sogno, edificio, animale, donna, oggetto, macchina, utensile, uomo, nuvola, fantasma, ma pure la sua sintesi globale: l'immagine planetaria della Terra, comprimendola dentro lo spazio di un fotogramma. Con simile exploit siamo stati posti di fronte a una straordinaria novità, non solo, ma anche a un 'immagine impensabile per qualsiasi uomo antico, cui è ragionevole relegare lo stesso uomo moderno che sta alle nostre spalle e che noi medesimi siamo stati fino a ieri. In questa immagine istantanea e globale che segna, dopo quello dell'uomo, l'ingresso della Terra nel suo «stadio dello specchio», è forse giusto intraredere - con «tremore e timore» misto a un sentimento di attesa - il profilo, l'ombra almeno di Dioniso eclissatosi per così tanto tempo dal nostro orizzonte? Ciò presupporrebbe che il presente «stadio dello specchio» della Terra, se non coincidere, corrisponda, richiami per lo meno, pur in una configurazione attenuata, lo specchio di Dioniso, annunciandone il ritorno. Lo specchio innalzato dalla tecnica avrebbe dunque finito per trovare riscontro con lo specchio magico del dio, con lo specchio che in un tardo bassorilievo una nutrice inginocchiata presenta al fanciullo divino, e con quello che nei racconti orfici gli porgono due giganti che hanno i volti paurosamente impiastricciati di terriccio bianco? In modo significativo lo specchio, che i misteri pongono accanto a un gruppo di giocattoli infantili, appare unicamente all'inizio della storia di passione e di trionfo del dio, simile a un esordio che ne contrassegni in cifra le fondamenta e il senso. P er rispondere all'interrogativo che ci siamo posti e non farsi abbagliare dall'apparenza, non occorre procedere a un inventario del mondo dell'apparenza medesima, enumerare tutto ciò che fa mostra di sé dentro lo specchio odierno. Non saranno né i mostri né le abominazioni né gli orrori e neanche gli splendori che pure vi si affacciano in misura diseguale e variabile, a tenere indietro il dio. Per arrivare a una risposta sarà bene esaminare quali cammini sono stati percorsi per costituire l'uno e l'altro specchio, quello di Dioniso come l'attuale specchio del mondo. In Dioniso il cammino si presenta sempre accidentato, violento, drammatico, come lo esprime il «gettarsi dentro» del commento di Proclo e il «tenersi dietro» di Olimpidoro. Ogni volta l'immagine che il dio bambino pone nello specchio si rovescia nell'immagine totale del mondo, mediante un atto creativo compiuto dal dio stesso (Proclo) o mediante uno smembrarsi, un farsi a pezzi, un divenire plurale del dio medesimo (ancora Olimpidoro). È sempre attraverso percorsi dinamici, dove il volto dell'uno divino si risolve nel volto divino del tutto, che si forma lo specchio di Dioniso. Non per queste ma per opposte strade si è costruito l'odierno specchio della Terra, che riproduce dentro di sé tutto quanto sta fermo, si muove e sogna, comprese le nostre silhouettes temporaneamente immobili. L'ingordigia, la dispotica avidità di dominio ha avuto una parte preponderante; e l'immagine che ci viene infine restituita in permanenza, nel suo collage di frammenti o nel suo risultato globale, rimbalza verso di noi, non nella tensione, ma nella passività del nostro sguardo. Essa ritorna a noi o come censimento di ciò che si possiede e che si desidera possedere oppure come spettacolo, dissipazione, sede dell'ecumenico parassitismo, o come quadro di controllo planetario oppure come diversivo, falso scopo, distrazione rumorosa. Il fatto è che, se lo specchio a nostra disposizione si configura all'esterno ampio e sovraffollato come quello di Dioniso, lo sguardo che vi gettiamo sopra si presenta ancora di stampo narcisistico. Chi fa da guida a questo sguardo non è certo il Narciso classico che, per quanto in fondo all'acqua della fonte pesca la propria morte, la pesca pur sempre attraverso un moto d'incantamento e di amore verso se stesso e la propria immagine. Il nostro è uno sguardo stanco e disamorato che ha percorso una lunga strada, durante la quale ha avuto tutto il tempo per barattare quel fresco stupore in assuefazione e quell'antico ardore in estraneità, distanza, risentimento, ostilità, se non in odio manifesto. Si direbbe piuttosto che riportiamo sullo specchio della Terra lo stesso sguardo con cui le ultime, grandi incarnazioni di Narciso, nel momento del tramonto del moderno, hanno osservato con sgomento la propria immagine che gli rimandava lo specchio. e osì, in questa non improbabile consonanza, per sapere con maggiore penetrazione qualcosa del nostro difficile oggi, ci volgiamo una volta di più a Cézanne, Ensor, Munch, Van Gogh, e alla galleria dei loro ammirevoli autoritratti, dove l'adolescente che fu tanto bello da infiammare le ninfe ha ceduto il posto a uomini maturi e non affatto amabili. Si vede che il moderno ha posseduto anche il solvente capace d'invecchiare e di guastare Narciso. L'evento capitale che registra la corona di questi volti assomiglia a una nera metamorfosi: la trasformazione del se stesso familiare riflesso sopra lo specchio in un estraneo portatore soltanto di perturbamenti e di minacce. Alla fine della sua parabola, in queste tarde e logorate personificazioni, Narciso ha cessato di riconoscersi nello specchio, come noi oggi non arriviamo a riconoscerci nello specchio plenario del mondo. Di questo estraneo, come Cézanne ne diffida e se ne difende, Munch se ne spaventa quasi si troGiorgio De Chirico, bozzetto per siparietto di Apollon Musagète, 1955-56, Milano, Teatro alla Scala vasse di fronte a un fantasma, Ensor ne fa la parodia - come farà più tardi, nella sfilata dei suoi travestimenti, il De Chirico scomposto e senile-, Van Gogh, mentre grida al soccorso, sta per scagliarglisi contro, così noi, nel vuoto odierno, nei confronti di questo estraneo diventato al nostro sguardo l'immagine globale della Terra, stiamo tracciando somiglianti gesti fatti di sospetto, di paura, di aggressione, di scherno. Dal momento che, invece della dimora comune, vi riconosciamo il luogo dell'estraneo, la fortezza temibile dell'altro, il bunker dell'avversario. Con la somma di questi diversi comportamenti, la distruzione e l'autodistruzione si confermano come sempre latenti possibilità di qualsiasi «stadio dello specchio» vissuto narcisisticamente. Così, in questa cupa emergenza, ci troviamo di fronte a una scelta simile a una tentazione: o mandare in mille pezzi lo specchio del mondo che ci si para davanti oppure stringere assieme i frammenti per mezzo di una forza legante che può essere fornita soltanto dall'erotismo. Nella seconda ipotesi, bisognerà che ci volgiamo indietro poiché, . allora come ora, esattamente come accade nella classica scena di Narciso, Dioniso sta nascosto in un canto dietro di noi. Seduto sul trono, da sempre, come lo raffigura la sua scena trionfale, Dioniso puerile guarda lo specchio tenendo il sesso gonfio, virilmente eccitato. Testo de/l'intervento di Alberto Boatto al convegno « Fa/lit imago. Meccanismi, fascinazioni e inganni dello specchio», tenuto a Ravenna, nelle sale di Palazzo Corradini, nel novembre '83. Gli atti del convegno saranno pubblicati dall'editore Longo di Ravenna.
Il senso della letteratura / 7 Esemp~i IQtomatici Q uale è il senso della letteratura: della poesia, della prosa e anche della critica oggi? Se ne parla di nuovo da più parti: sui quotidiani e sui mensili, e anche su riviste con ambizione di maggior rigore e durata. Si ha l'impressione che dopo l'inesauribile discutere e, in parte, discutersi addosso degli anni sessanta, e dei primissimi anni settanta (in cui si era arrivati a dire tutto e il contrario di tutto sull'argomento, e in cui, dopo un affievolirsi e quasi prostrarsi della discussione durata circa un decennio, poeti e narratori hanno prodotto opere anche importanti che talvolta hanno smentito gli enunciati di poetica a suo tempo espressi, mentre i critici e i • saggisti hanno operato generalmente con più rigore in rapporto alle loro proposte nell'ambito della Neoavanguardia, o dello Strutturalismo linguistico, o della Semiologia, o più generale della Nuova Critica), si ha dunque l'impressione che qualcosa abbia ricominciato utilmente a muoversi nella discussione, ai suoi diversi livelli. Naturalmente le cose non sono uguali a prima: anche se, nei tempi lunghi, la discussione sul senso della letteratura pare avere impostato una volta per tutte le sue grandi linee fino dai primissimi lustri del secolo, con solo innumerevoli variazioni marginali nei successivi decenni, ma senza avere alla fin fine mutato il conto finale del dare/avere nei suoi diversi ambiti, neanche ora che il secolo comincia a declinare. Il divorzio di fondo tra il senso della lingua letteraria (poetica, narrativa, critica, ecc.) e quello della comunicazione pratica, economica, sociale, politica, ecc. - che fino dalle prime e ormai lontane rotture del tempo delle Avanguardie Storiche era stato sancito nelle sue diverse forme, determinando poi, successivamente, gli anni trenta con la crescita della nuova poesia e del rinascente romanzo italiano di fronte alla retorica e al populismo del regime in vistosa affermazione, e poi nell'opposizione più radicale della successiva stagione dell'Ermetismo all'impero fascista degli anni quaranta -, questo divorzio non avrebbe mancato di ricostituirsi dopo il crollo del regime. Questo, nonostante la breve illusione postbellica, in base a cui si era sperato di veder coincidere la lingua del Neorealismo e dell'Impegno con quella della comunicazione pratica e politiça, comunque diversamente articolata e finalizzata da parte del nuovo Potere democratico. Quest'ultimo, con le Sl!efinalità di gestione, ora governative e riformiste, e ora di più radicale opposizione, ora di prevalente conservazione e ora di apertura verso le istanze di ceti e classi emergenti, non avrebbe infine mancato di considerare la lingua della letteratura come un corpo comunque diverso o estraneo, come una sovrastruttura da controllare, da esorcizzare o reprimere; da tenere comunque in libertà vigilata sui giornali, nei mass-media, nella scuola e nell'Università, e in tutti i luoghi in cui. insomma, le due diverse lingue e intenzionalità si trovavano a confrontarsi. La lingua della letteratura non avrebbe peraltro mai rinunciato alle sue istanze prima di tutto espressive, liberatrici e formatrici; a sentirsi protagonista e volersi struttura comunque autonoma, portante e determinante, di quegli stessi eventi di cui il metalinguaggio del Potere si sarebbe fatto, a sua volta, gestore, organizzatore, e più o meno aperto normalizzatore. Di qui l'equivoco, a volte anche molto fertile, in base a cui la lingua della letteratura - protagonista nel suo ambito poetico, narrativo e, infine, anche saggistico e critico - avrebbe espresso l'evolversi di una società paleoindustriale e fino a poco fa ancora contadiaveva creduto di esorcizzare le pressioni crescenti della società industriale e delle sue tecnologie avanzate, mimandone stilisticamente i modi e le immagini fino allo stravolgimento, contestandone gli istituti con l'eversione e la decomposizione dei relativi linguaggi fino alla loro quasi polverizzazione, eccola ora procedere in relativo silenzio, e con progressivi aggiustamenti e assestamenti, eccola procedere alla ricostruzione e ricostituzione dei propri diversi livelli e spessori, non più operando la prosa» ha tenuto bene aperto il rapporto fra il basso e l'alto della lingua poetica negli anni settanta; o come il nichilismo metafisico dell'ultimo Caproni, che ha tenuto ugualmente aperto il rapporto verbale fra la sua aderenza alle cose e il suo verticistico annullarsi nella caccia a un divino arduo e inafferrabile; o come, nell'ultimo Betocchi, il sentimento cristiano che si trasforma in un continuo battere alla porta di un Dio che non risponde, che addirittura volta le spalle. A.Chinici, sipario del Teatro Comunale R. Valli a Reggio Emilia na, come era quella italiana, in una società industriale relativamente avanzata o matura, dove avrebbero dilagato le nuove tecniche, e in cui si sarebbero affermate le nuove culture antropologiche, sociologiche, psicologiche, le poetiche di Sperimentalismo e Neoavanguardia, lo Strutturalismo linguistico, la Semiologia, la Nuova • Critica, ecc. La lingua letteraria avrebbe così continuato a vivere autonomamente anche qui il divorzio sancito tanti decenni avanti nei confronti di quella del Potere politico, a sua volta in evoluzione nelle sue diver- / se sedi istituzionali, nella scuola,. nei mass-media, sulla stampa, ecc., suscitando un reciproco e indiretto giuoco di avvicinamento e divaricamento, di relative collusioni e seduzioni, o di più radicali ripulse. E eco allora, nel giuoco di questo pendolo in inesausto moto, la lingua letteraria, che negli anni sessanta e primi settanta esclusivamente nel senso dello straniamento, o del nonsenso comunque estremizzato o contestativo. Semmai procedendo alla ricostituzione e riorganizzazione autonoma di un'espressività formalizzata che, alla fine e nei tempi lunghi, avrebbe anche potuto aspirare a ridivenire mediatamente e, magari. ironicamente e simbolicamente comunicativa. Il pendolo della lingua poetica e il senso della letteratura, insomma, dopo gli anni «di piombo» del divorzio assoluto o tendenzialmente assoluto nei confronti del reale e del suo non utopico rappresentarsi, aveva ricominciato a muoversi e a modificarsi. Certo con modi trasposti, impliciti, magari anche ironici o grotteschi, verso una ricostituzione simbolica, o leggendaria, o avventurosa, o favolosa dei propri sensi o oggetti. Vogliamo registrarne qualche segno, diciamo così, sintomatico o esemplificativo? Come, ad esempio, la tarda poesia satirica e diaristica di Montale, che «simulando Come ancora, in Bertolucci, l'attraversamento poetico della nevrosi fra informale e sperimentale degli anni settanta, fino alla ricomposizione polifonica del poema o romanzo in versi; o come, in Sereni, sia rimasto aperto, fino alla fine, il rapporto ben vivo fra la progettualità della sua poesia e la sua ricerca di una musica atonale; o come, in Luzi, la tensione animistica del verso abbia saputo del pari salvaguardare una sua verticalità goticizzante e una sua dimensione altamente dialogica e infine anche scenica. Sono solo esempi, naturalmente; e altri sintomatici se ne potrebbero indicare fra gli scrittori maturi: nella intellettualissima messa in rapporto, nella poesia di Bigongiari, delle sorgenti ermetiche con le successive risultanze semiche e di «phoné»; o in quella di Fortini, del suo forzare drammaticamente il divario fra la totalità dell'utopia J!edagogica e la riduzione della relativa musica; o in Bassani il dimensionamento, a sua volta, della originaria scansione e suggestione romanzesca nella nuda lapidarietà del verso. E, continuando a indicare esempi sintomatici in altri ambiti generazionali, si metterà prima di tutto l'accento sull'alto e il basso, sulla lingua materna o ~petel:.., che non esclude l'ardua doratura dolomitica dell'inno, nella grande trilogia del bosco di Zanzotto; o il modo in cui il racconto autobiologico si apre, nell'ultima poesia di Giudici, all'intemporalità quasi romantica di un canto di più vaste risultanze; o come, in Sanguineti, il voluto sconcerto di un'iniziale distorsione provocatoria si sia via via mutato nella comunicatività ironica, diaristica o grottesca dei suoi recenti versi; o'come !'«alto stile» originario di Maria Luisa Spaziani si sia più tardi mutato in un più dolente e reagente «transito con catene». Come ancora, in Raboni, la poesia metropolitana abbia scavato, nel fondo del suo inferno, una sua grave e sospesa musica atonale; o come, all'opposto, in Porta l'iniziale volontà di sfida combinatoria si sia mutata nella comunicatività di un sentimento pieno, aperto e vitale; come infine, in Amelia Rosselli, l'ossessione drammatica della storia sia divenuta inesausta e visionaria storia interna di una nevrosi. Per non parlare delle· emergenti maturità di chi si è presentato di là del terremoto nichilistico degli anni settanta: da Bellezza, a Cucchi, a Conte, a Viviani, a De Angelis, a Biancamaria Frabotta, a Magrelli, ecc. 11 catalogo potrebbe continuare, dimostrando come il giuoco di avvicinamento e di ripulsa fra il senso e la lingua della letteratura e quello della vita tenda ora a ricomporsi al di là delle troppo semplificate e estremizzate idiosincrasie degli anni settanta. Non è un caso che anche i critici e i saggisti che più avevano puntato sullo straniamento linguistico della letteratura, sull'analisi messa a fuoco prima di tutto sui suoi significanti, abbiano reintrodotto, in vari modi, e in certi casi in modi persino sorprendenti, elementi aggreganti di significato. Come Agosti o Gramigna che adducono referenti psicoanalitici in una lettura semiologica; come Segre, che ha allargato con gran strumentazione il volano dell'analisi dei segni letterari con quello della filologia da cui proviene e quello della narratologia a cui infine perviene; come Maria Corti, che pesca nel concreto della lingua d'uso quanto rinnova vivacemente il sangue e il senso della «langue» letteraria; o come Eco che - non meno di Calvino che ha traversato con fantasia esemplare tante esperienze - ha trovato, nel molteplice spessore combinatorio della forma del romanzo, la soluzione figurata alle . infinite trasparenze e stratificazioni dei segni. Insomma, il senso caleidoscopi- 'O co della letteratura e, con esso, la e:: tavola dei valori letterari hanno ri- -~ preso a muoversi: Ne è certamen- ~ te parte, in questa stessa sede (Al- ~ fabeta n. 57, febbraio 1984), il ri- -. collegarsi di Leonetti ai moduli di ~ un espressionismo linguistico in -~ senso lato continiano, combinato 0-0 -. con altri successivi apporti (e pro- 'O babilmente il magistero ora alto e t: distaccato di Gianfranco Contini ~ presiede involontariamente, e magari a contraggenio, su molto di -0 ~ e::
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