La grafica di 1~'1blicautilità F.K. Henrion, A. Parkin Design coordioatioo aod corporate image London, Studio Vista, 1976 Rassegna n. 5, aprile 1981 Ottagono n. 69, gjugno 1983 e n. 70, settembre 1983 Dal professionismo alla nuova professionalità seminario preparatorio I Biennale Grafica di Cattolica, Dipartimento di Urbanistica lvav, Venezia 3-4 febbraio 1984 T anto la difficoltà di trovar la via dentro al più banale dei formulari quanto la impraticabilità delle segnaletiche stradali, tanto il mauvais gout di banconote e francobolli quanto la melensaggjne della maggjor parte delle campagne «civiche», tanto la «leggerezza» di certi interventi di arredo urbano quanto l'effimero pesante di moltissime manifestazioni culturali potrebbero essere argomenti più che convin_centiper incitarci a partire da un'analisi dell'attuali!à e della criticità di questa situazione. Ma è preferibile forse partire oggi facendo invece riferimento all'intuizione di un pioniere e di un competente come Albe Steiner quando, ne «La grafica degli enti pubblici» (un testo che fu poi pubblicato su Linea Grafica n. 1-3, 1973), formulavd la nozione di grafica di pubblica utilità, e con la S i è parlato e si parla molto di . logocentrismo. che è come dire: tutte le attività creative ed espressive dell'uomo convergono verso la parola. E che questo sia vero lo provano mille fatti, a cominciare dall'incessante intreccio di parole vacue scambiate dagli uomini politici, fino alle ancor più vacue filastrocche accumulate dai cantautori e dalla pubblicità. Appunto per ciò l'odierno logocentrismo è sempre più lontano dal Logos - dalla Parola creativa (o addirittura creatrice) - ed è sostituito da una parola infiorata di formule retoriche dozzinali, gonfia di enfasi e di ambiguità, il più delle volte priva di qualsiasi contenuto intellettivo e affettivo. Un settore, poi, dove la parola. in questi ultimi tempi, trionfa è quello cinematografico: i film sono ridotti spesso a dialogo; gli attori più che agire discutono - il che. poi, nel caso italiano deltim,iwncabile doppiaggio, porta alle incredibili. trasposizioni di certi film americani, dove si può assistere ai dialoghi di biondi bambini anglosassoni o di lucidi e cresputi negretti dalle cui labbra esce il piit squillante e pe_tulante romanesco. E già questo basta a togliere a quei film ogni «credibilità» e ogni autenticità. È proprio per queste ragio11iche mi pare di dover segnalare come fenomeno prestigioso di eccezi01iale bravura e éfficacia comunicativa Scuola di Urbino prendeva così posto nella tradizione internazionale contemporanea, la quale stava operando una ridefinizione radicale della professionalità grafica e pubblicitaria: l'introduzione del Oltre alla valorizzazione o alla riscoperta della grafica editoriale, anche una sorta di impegno civico, che può essere esemplificato dalla campagna contro il rumore« Weniger Liirm», dello svizzero Josef ad opera di Total-design (Wissing. Krouwel, Kovalke). 1965. O. ancora, la grandiosa trasformazione realizzata presso le Ferrovie britanniche ancora da una scuola: la Design Research Unit del Royal Gelsomino D'Ambrosia e Pino Grimaldi, Progetto (1984) termine visual design - che conferisce dignità progettuale al comunicatore visivo inteso in fondo finallora come artista commerciale - coincide con l'individuazione di una committenza diversa da quella industriale ~ commerciale. (e artistica), pur in assenza d'ogni parola, l'ultimo film di Ettore Scola Ballando. ballando (Le bai, 1984). Si tratta, come è stato più volte spiegato, di un film senzµ parole, tutto impostato sopra le danze che si vengono svolgendo in una tipica 'balera' parigina a partire dai tempi del Front Populaire fino a .oggi, attraverso il periodo tra le due guerre, l'occupazione nazista, la liberazione, il maggio parigino, l'età del rock. E dove, sempre nello stesso ambiente, modificato man mano con cauti e precisi interventi sull'arredamento, convergono o ballano tra di loro numerosi personaggi tipici di un tale ambiente: dalla cocotte art-déco al bullo della banlieu. dalla cali-giri postbellica alla anziana vogliosa, dal vecchietto timido al giovane _sentimentale, dal collaborazionista al fascista, dalla ragazza miope all'ufficiale tedesco. al soldatino americano. allo spacciatore di droga... Una minuta descrizione degli eventi non avrebbe senso. come sarebbe superfluo insistere nella ricostruzione di vicende personali che s'indovinano dietro i caratteri dei singoli protago11isti. imperso11ati sempre dagli stessi attori. pur attraverso ruoli dìversi di volta in volta. Ciò che; invece, qui mi preme acce11nareè soltanto wz fatto: il senso di deliziosa freschezza e di ironica e commossa empatia che • ema11a dalle seque11ze di questa pellicola in seguito all'assenza del dialogo. Miiller-Brockmann, 1960, o la serie contro l'inquinamento «Gesundere Stadtluft» degli studenti della scuola di Ulm,. 1963. O anche la progettazione del sistema di segnaletica e di informazione dell'aeroporto Shipol di Amsterdam, «Le bai» Gilio Dorfles Tutto /'inutile ciarpame di frasi fatte o di espressioni ermetiche, di luoghi comuni e di giri di frase gergali che avvizziscono con estrema rapidità, viene in questo modo eliminato. Ed è invece sostituito più che efficacemente da quei minuti particolari che permettono di comunicarci un messaggio. anziché verbale, iconico e cinestesico alluale oggi come ieri;per cui la sfasatura temporale che il dialogo avrebbe evidenziata viene totalmente superata. Infatti, basta il minimo gesto d'una ragazza che accenna con la mano al suo piede a significare che non può ballare; o quello del giovane che alza le braccia in segno di dispiaciuta rassegnazione; quello della prostituta che si controlla il trucco, si aggiusta la parrucca e si raddrizza il reggiseno prima di accingersi alle danze; quello del teppista che fa /'occhietto al gigolò dopo avergli soffiato la «dama» (e di quest'ultimo che lascia cadere il monocolo faticosamente incastrato nell'orbita); quello della stessa dama che. col suo esprit piantato sul capo. respinge la ragazza rivale mentre danza col bellimbusto; quello del collaborazionista mffiano, strisciante agli ordini dell'ufficiale tedesco... ·a dirci molto più e meglio di quanto avrebbero detto frasi smozzicate e. magari incomprensibili se pronunciate nell'argot originale (o del rwto falsate-da lii! doppiaggio af/'italiana). college, sempre negli anni sessanta. Del resto, la tradizione grafica inglese, priva per certi versi della rottura delle avanguardie, vanta - con un decollo che risale addirittura ai primi del Novecento - già nel Si è spesso souolineata la bontà del nostro doppiaggia-come nel caso di quello di Woody Allen a opera di Lionello: fatto indiscutibile, che ha permesso ai nostri spettatori di farsi un 'idea del modo di parlare e di ragionare del grande comico. Ma, a prescindere da casi come questo, dove il parlato fa parte integrante e indispensabile del film, quante _volteho dovuto constatare la maggior pregnanza dei vecchi «film ml/ti» soprattutto per un aspetto: quello della potenza delle immagini che - senza la distrazione causata dalla parola - possono essere seguite con molto maggiore attenzione. Se è vero che la percezione filmica - di eventi in movim_ento - non permette spesso la fissazione delle immagini e non consente quella «visualizzazione critica» delle stes~ se che è invece possibile nella contemplazione di un 'opera statica, è anche vero che l'assenza di parole alleggerisce di molto lo sforzo di memorizzazione da parte dello spettatore. e gli consente di fissare con più immediatezza i singoli dettagli d'ogni sequenza. Ecco. nel film di cui ho trattato. le modificazioni dell'ambiente: le colonnine di ghisa art-nouveau cui si sostituiscono le decorazioni al neon; i lampadari rimpiazzati dai globi moranri di cristallo; /'orchestrina _trasformata in complesso jazzistico; il bar dove fa la sua comparsa la macchina del/'espres1939 un caso compiuto di visual design di pubblica utilità: la famosa. cartina del London Underground e poi l'immagine del London Transport. a opera di Albert Stanley. Ora però si pone la questione: ciò che innegabilmente è venuto accadendo in questo ambito nel corso degli ultimi due decenni in Italia va letto solo - come al solito - come adeguamento alla maturità dello state of the art internazionale? E, ancora più di recente. quale è il senso dell'aIT1pia discussione (non è più solo una voce pionieristica a levarsi) e della riflessione che autonomamente gli stessi operatori stanno compiendo? A partire, ad esempio, dal numero monografico «Il campo della grafica italiana», n. 5 (aprile) di Rassegna, a cura di Pierluigi Cerri, o da alcuni degli ultimi numeri di Oaagono, con contributi di Ubertazzi e altri. Ma soprattutto si pensi al fiorire di attività seminariali. come il convegno Di pubblica utilità, tenutosi a Ravenna, proprio nel nome di Steiner, il 28 maggio '83 (Ancescf11~ Sassi, Mariotti. Dolcin-i, D'Ambrosia e Grimaldi). O l'incontro Grafica e ambiente (Anceschi, Noorda, Dolcini, Lussu, Mariotti, Menna) all'Inarch di Roma, il 17 ottobre '83. Ma soprattutto il grande «Seminario di studio» ospitato presso il Dipartimento di Urbanistica dell'I. U. Architettura di Venezia, in collaborazione con nstituto della Comunicazione di Bologna, in preparazione della Biennale di Cattolica (D'Ambrosia, De Robertis, Di Bella. Dolcini, Camplani, Ceste, Cresci, Grimalso; e, ancora, 11mi i particolari del- /'ab-éig-lia-,nemod, ella moda, e-s-e-- prattutto del comportamento dei singoli personaggi (sguardi, gesticolazioni, mosselle, tic, per non parlare dell'incredibile metamorfosi della danza, dalle polke e dai tangh.i711lesambe e al boogie-woo---=- gie, fino al rock 'n'roll di ieri e di oggi) mai avrebbero avuto altrettanta efficacia se accompagnati da un fitto dialogare che avrebbe monopolizzato l'attenzione del pubblico distraendolo dalf'allenta osservazione visiva. Vuol dire allora - in definitiva - che il film deve tornare a essere muto? Certamente no: vuol dire semmai che proprio il teatro (che troppo spesso è oggi «ammutolito», e basato solo sul gesto e la mimica) dovrebbe recuperare t uso della parola. Ma vuol dire soprattutto che il valore dell'immagine, nel cinematografo e negli audiovisivi, dovrebbe recuperare il terreno perduto e non divenire preda di quel logocentrismo che ormai in molte manifestazioni squisitamente visive dei nostri giorni sta uccidendo non solo il Logos, ma anche il _ Mythos. Ballando, ballando di Ettore Scola (Le bai. Francia 1984) .. t .
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