Il filodell'abduzione Umberto Eco e Thomas A. Sebeok (a cura di) Il segno dei tre. Holmes, Dupin, Peirce Milano, Bompiani, 1983 pp. 309, lire 25.000 L a bella raccolta di saggi a cura di Eco e Sebeok (con testi di Bonfantini, Caprettini, Eco, Ginzburg, Harrowitz, Hintikka, Proni, Rehder, Sebeok, Truzzi, Umiker-Sebeok) ipotizza, e dimostra (da un punto di vista), una sinonimia, ovvero l'identità di significato dei termini «deduzione», nelle opere poliziesche di Conan Doyle, e «abduzione», in quelle filosofiche di Peirce. Per meglio dire, riconosce a Sherlock Holmes il merito di aver trattato dell'abduzione, ma di aver usato, con perdonabile imprecisione, il termine «deduzione» poiché «non poteva essere a giorno di un dibattito che si è sviluppato nel nostro secolo» (dalla quarta di copertina). Per i non addetti ai lavori è il caso di trascrivere il celebre schema di Peirce ( Collected Papers, 2.623) in cui deduzione, induzione e ipotesi sono distinte e definite: DEDUZIONE Regola Tutti i fagioli di questo sacchetto sono bianchi. Caso Questi fagioli vengono da questo sacchetto. Risultato Questi fagioli sono bianchi. INDUZIONE Caso Questi fagioli vengono da questo sacchetto. Risultato Questi fagioli sono bianchi. Regola Tutti i fagioli di questo sacchetto sono bianchi. ABDUZIONE Regola Tutti i fagioli di questo sacchetto sono bianchi. Risultato Questi fagioli sono bianchi. Caso Questi fagioli vengono da questo sacchetto. Secondo Peirce, dei tre tipi di inferenza soltanto l'abduzione, nonostante il suo carattere ipotetico, produce conoscenze qualitativamente nuove. E se Peirce ha ra- • gione, il che sembra innegabile, essa è allora il vero motore della scienza, ma anche il suo inconscio, visto che da sempre (salvo qualche eccezione) non la si è presa in considerazione e si è preferito riconoscersi nel potere generalizzante dell'induzione e nella certezza della deduzione. L'errore terminologico di Holmes sarebbe una delle forme meno gravi di questo silenzio. Ma chi è Sherlock Holmes? È soltanto una creazione letteraria attraverso la quale Conan Doyle esprime alcune sue idee sul mondo in cui viveva. e che anche noi sperimentiamo, o è un personaggio reale, come amano pensare i fans holmesiani che stilano enciclopedie e cronologie della sua vita e ai quali gli autori del volume in questione si riferiscono sempre con molto rispetto? Se si accetta questa seconda ipotesi. non si farà fatica a riconosce- ~ re la pienezza dell'essere al mondo -~ in cui Holmes si muove. senza per t::I. questo identificarlo necessaria- ~ mente col nostro. Potrebbe infatti ...... essere un «universo parallelo». nel -9 senso della fantascienza. un mon- ~ do in cui magari Conan Doyle e E Peirce non sono mai esistiti. Ma e 'O allora potrebbe essere un mondo ~ in cui l'abduzione non ha il ruolo ~ decisivo che ha nel nostro, un l mondo di cui (come dice Wittgen- ~ stein) «la· logica è un'immagine speculare», un mondo forse meccanicista, comunque animato da movimenti deduttivi (stricto sensu). Se così fosse, non sarebbe corretto dire che Holmes dice «deduzione» ma compie abduzioni, così come non sarebbe corretto dire che il protagonista di The Time Machine non ha viaggiato nel tempo ma soltanto sognato, poiché nell'universo di quel romanzo la macchina del tempo, se pure impossibile nel nostro, esiste e funziona. Inoltre, se Holmes è un persoRenato Giovannoli né dell'altro. Così l'intera vita è una grande catena, la cui natura si riconosce ogni qualvolta ce ne viene mostrato un singolo anello» (p. 74). Anche questa metafora della catena viene da Cartesio, e precisamente dal Discorso sul metodo: «Ces longues cha1nes de raisons, toutes simples et faciles». Neppure Wittgenstein, d'altra parte, aveva rinunciato a questa metafora: «Nello stato di cose gli oggetti ineriscono l'uno nell'altro, come le maglie di una catena» (Tractatus, 2.03). IWAKDCIOI YCTTACOLO Armando Ceste e Gianfranco Torri, marchio per il Teatro Stabile di Torino (1981) naggio vero, oltre che dotato di una grande cultura, bisognerà pur prestargli fede. Quando, per esempio, dice che le sue inferenze •· sono «infallibili come tante propo- ~ sizioni di Euclide» (p. 63; per comodità del lettore cito le pagine di Eco-Sebeok e non i testi originali di Conan Doyle), non si dovrà dubitare che proprio di deduzioni si tratti. Per di più, Holmes quando non fa vere deduzioni lo sa, e infatti parla anche di «congetture» e di teorie provvisorie (p. 273), di «ipotesi» (p. 268), di «statistica» (p. 277), di «problemi» (p. 267), di «verifiche sperimentali» (p. 271) e • di «osservazione». Eppure usa il termine «deduzione», insieme ad «analisi», per dare un nome alla sua teoria e deve avere le sue buone ragioni oltre che una «formazione razionalista» (come giustamente nota Eco, a p. 259, citando Spinoza e Leibniz). L a filosofia razionalista del Seicento è la chiave per comprendere il singolare mondo in cui vive Sherlock Holmes. Questo mondo, che deve avere una struttura ontologica di carattere logico-formale, garantisce il successo delle sue deduzioni. Ciò non è altro che il principio spinoziano «Ordo et connexio idearum idem est ac ordo et connexio rerum» (citato da Eco, p. 258), che Wittgenstein riprenderà, definendolo come identità di una «forma della raffigurazione», nel suo Tractatus logico-philosophicus. Tale principio vale naturalmente anche per il nostro mondo (quello di Peirce), dove l'ordo et connexio rerum et idearum è però con grande probabilità l'abduzione. Il che cambia completamente le cose e giustifica la nota avversione di Peirce per Cartesio e la deduzione. Holmes, invece, è profondamente cartesiano. L'uso dei termini «deduzione» e «analisi» (con Cartesio, Holmes ritiene superiore quest'ultima alla sintesi) non è l'unico indizio di questa filiazione. Nel suo fondamentale articolo The Book of Life Holmes scrive: «Da una goccia d'acqua un logico potrebbe inferire la possibilità di un Atlantico e di un Niagara senza aver visto o udito nulla né dell'uno Peirce, invece, la metafora della catena non l'ha mai convinto. Contro Cartesio scrive: «Il suo ragionamento [della filosofia] non dovrebbe formare una catena che non è più forte del più debole dei suoi anelli, ma un filo le cui fibre possono essere assai sottili, a condizione che siano sufficientemente numerose e strettamente connesse» (5.265). Filo vs catena, abduzione vs deduzione. Il secondo Giovanni Lussu, Filmstudio 70. Manifesto ( 1967) Wittgenstein, che ha letto Peirce o a cui l'ha raccontato il suo amico Ramsey, e che ha sostituito la rigida «forma della raffigurazione» del Tractatus con il concetto più flou di «gioco linguistico», parlerà ancora di u_nfilo: «E dirò: i 'giochi' formano una famiglia. E allo stesso modo formano una famiglia, ad esempio, i vari tipi di numero( ... ). Ed estendiamo il nostro concetto di numero così come, nel tessere un filo, intrecciamo fibra con fibra. E la robustezza del filo non è data dal fatto che una fibra corre per tutta la sua lunghezza. ma dal sovrapporsi di molte fibre l'una all'altra» (Ricerche filosofiche. l. 67). Sappiamo anche (Norman Malcom, Ludwig Wittgenstein. Milano. Bompiani. 1964) che il secondo Wittgenstein amava molto i racconti polizieschi. Non quelli di Sherlock Holmes. ma quelli di scuola hard boy/ed pubblicati sui «pulps» americani. Sarebbe bello poter dimostrare che Wittgenstein leggeva Hammett. E Hammett, oltre che geniale scrittore di storiacce criminali, non era privo di cultura filosofica. Leggeva Marx e Einstein. Steven Marcus (introduzione a Hammett, Continental Op, Milano, Mondadori, 1980) lo considera un seguace di Peirce, con qualche buona argomentazione di carattere comparativo e giocando sul fatto che un personaggio particolarmente filosofico de Il mistero del falco si chiama Pierce (cfr. M. Ferraresi, «Hammett e Peirce», in· Alfabeta n. 43, dicembre 1982). In ogni caso, l'hard boy/ed school nasce proprio da una rivoluzione scientifica combattuta contro la detective story «all'inglese», almeno se si dà retta a Chandler (La semplice arte del delitto, 1944), che oppone esplicitamente il «realismo» di Hammett ai teoremi logico-deduttivi del giallo classico. Cosa resta nel giallo d'azione della comoda catena deduttiva che il detective classico segue anello dopo anello? Come dice la segretaria di Mike Hammer nella versione cinematografica (Aldrich) del romanzo Kiss me, deadly (Spillane), «si comincia col seguire un filo, che diventa uno spago e infine una corda che ti si annoda intorno al collo». M a torniamo a Holmes e al razionalismo seicentesco, e da Cartesio passiamo a Leibniz. Dunque, secondo Holmes, «l'intera vita è una grande catena, la cui natura si riconosce ogni qualvolta ce ne viene mostrato un singolo anello». Questa concezione «olistica», secondo cui ogni singolo elemento contiene l'informazione totale sul sistema, deriva probabilmente dalla Monadologia (56): «Ora questo collegamento o questo adattamento di tutte le cose create a ciascuna e di ciascuna a tutte le altre, fa sì che ogni sostanza semplice ha dei rapporti che esprimono tutte le altre e che, per conseguenza, essa è uno specchio vivente e perpetuo dell'universo». Dalla Monadologia deriva anche il mondo-Tractatus (come lo chiama von Wright) di Wittgeostein, dove è stabilita la distinzione fondamentale tra «oggetti» e «fatti». Gli oggetti sono appunto le monadi e i fatti le possibili connessioni (cateniformi) di oggetti. Questa distinzione non è dissimile da quella che Holmes fa tra l'osservazione e la deduzione. Holmes è più 110 epistemologo che un metafisico, ma è evidente che l'osservazione è relativa agli oggetti (indizi) e la deduzione è la descrizione delle loro connessioni, cioè dei fatti. Che per il secondo termine debba intendersi proprio deduzione lo afferma anche Hintikka (strana presenza nel libro di Eco-Sebeok), secondo il quale il modello scelto per descrivere l'indagine holmesiana «mi deve permettere di compiere e registrare inferenze logiche, intese nel senso strettamente tecnico in cui usano il termine i filosofi del ventesimo secolo» (p. 206). Il primo termine invece significa per Hintikka «porre domande alla natura» («natura» va inteso nel senso della Teoria dei Giochi). Questo «porre domande» per Peirce sarebbe un processo abduttivo (ecco spiegata la strana presenza di Hintikka), ma mi pare che non si possa dire la stessa cosa di Holmes, che è un empirista e si fida dei sensi. e neppure di Hintikka, che facendo riferimento alla Teoria dei Giochi è costretto a considerare la natura come un automa, ligio alle massime conversazionali e soprattutto sincero. Il classico esempio con cui Holmes definisce l'osservazione e la deduzione è il seguente: «l'osservazione mi mostra che siete stato nell'ufficio postale di Wigmore Street questa mattina, ma la deduzione mi permette di sapere che da lì avete spedito un telegramma. L'osservazione mi dice che avete del fango rossiccio sul collo delle scarpe. Quella terra è di un particolare colore rossiccio che non si trova, per quanto ne so, in nessun altro posto qui vicino. Fin qui è osservazione. Il resto è deduzione. Sapevo che non avevate scritto una lettera, perché vi sono stato seduto di fronte per tutta la mattinata. Vedo poi che tenete un foglio di francobolli e un bel pacco di cartoline postali nella vostra scrivania aperta. E cosa sareste andato a fare allora in un ufficio postale, se non a spedire un telegramma? Eliminati gli altri fattori, quello che rimane deve essere la verità» (p. 257). Holrnes nota il fango rossiccio «che non si trova, per quanto ne so, in nessun altro posto qui vicino». Quel fango è una mona<le. Ma, come dice Leibniz, «bisogna pure che ogni monade sia differente da ogni altra; perché non vi sono mai nella natura due esseri che siano perfettamente identici l'uno all'altro e nei quali non sia possibile trovare una differenza interna o fondata su una denominazione intrinseca» (Monadologia, 9). E infatti quel fango si trova solo davanti all'ufficio postale, non ci sono due fanghi connessi da un 'ipotesi ma un solo fa11go(identità degli indiscernibili). ; «Per quanto !le so», dice Holmes. Ma questa è modestia, e il sapere di Holmes si identifica tendenzialmente con la conoscen-z:a totale, ·anzi parziàle flla esaus-ti.va, della parte di mòndo presa in considerazione. Per questo Hohnes, elencando le «qualità necessarie al perfetto detective», premette la <,conoscenza» alla «capacità <.+ì osservazione» e alla ..capacità di <deduzione» (p. 77). È come se J;toimes possedesse un catalogo oom- . ., pleto delle monadi che gli peflllette di identificarle, quando !e-~rcepisce, senza ombra di ~ grazie al principio degli indis ' bili. Ma veniamo alla demt Watson è stato all'ufficio p<Mfte. All'ufficio postale si spedki!hno lettere o telegrammi. Watson-.On ha spedito lettere, dunque ha.,-.pedito un telegramma. Naturattnente bisogna porre che Watsort :non sarebbe mai andato all'uffi stale per corteggiare un'i ta, il che permette a Eco di tare che Holmes, «poiché no- a Watson il 93 per cen idei motivi per andare all'ufficio f'OStale. decide che proprio per questo Watson ci è andato per il restante 7 per cento dei motivi. Una soluzione al 7 per cento decisamente allucinatoria» (p. 258).
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