Il giorno prima / Materiali Licenzatriui ccidere lrenaus Eibl-Eibesfeldt Etologia della guerra trad. it. di G~useppe Longo Torino, Boringhieri, 1983 pp. 273, lire 29.000 S i può dimostrare che la frase, troppo famosa, di Clausewitz, «La gllerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi», è assolutamente falsa. Fra la politica, nel senso di gestione buona o cattiva di una società, e la guerra verso altri gruppi umani_c'è sempre un abisso. Persino nei casi estremi del fascismo e del nazismo, fra gestione tirannica e guerra c'è stato un grandissimo salto, anche se qualcuno pot_rebbe pensare che il passaggio fra «guerra civile all'i-nterno» e «guerra all'esterno» abbia potuto avere una sorta di continuità. Stando ai fatti, invece, si può rilevare che anche le più feroci delle tirannie, da un lato, costringono non pochi avversari all'esilio senza, quindi, ucciderli e, dall'altro, arrivano all'assassinio dei dissidenti in casi singolari e estremi, ma non certo a stermini di massa come quello di oltre 50 milioni di • esseri umani nella seconda guerra mondiale. Come mai gli uomini possono fare all'esterno, su così enorme scala e senza senso di colpa, quello che fanno solo su scala molto ridotta all'interno e con presenza di senso di colpa? Irenaus Eibl-Eibesfeldt nel suo Etologia della guerra (trad. it. dall'originale The Biology of Peace and War, London, Thames and Udson, 1979) contribuisce a dar prove che fra politica anche tirannica e guerra verso l'esterno c'è l'abisso di cui dicevamo. Certamente l'essere umano ha una «aggressività» innata, come ha sostenuto sempre Freud.-Ma-non è affatto né dimostrato né dimostrabile che l'aggressività di ordine biologico possa portare alla guerra. Anzi, questo tipo di ~ggressività - che abbiamo ereditato dal mondo animale di cui facciamo parte - andrebbe chiamato con un altro nome meno confusivo, come ad esempio «tensione competitiva». Questa tensione presiede, presso moltissime specie animali, gli scontri per ottenere le femmine più desiderate, la preservazione del proprio territorio nutritivo, la mobilitazione all'attività contro la staticità conservativa, ecc. Ma chiarisce, con innumerevoli esempi, Eibl-Eibesfeldt: «è estremamente raro che fra i vertebrati superiori le azioni aggressive compiute contro un membro dello stesso gruppo abbiano conseguenze mortali ( ... ). L'uccisione dei conspecifici viene impedita negli animali da inibizioni innate dell'aggressività, che bloccano in modo particolare la capacità di uccidere. Certi atteggiamenti di sottomissione attivano le inibizioni. Spesso lo svolgimento della lotta viene ritualizzato in forma di torneo». Maramaldo uccide «l'uomo morto» Francesco Ferrucci. L'essere umano arriva alla soppressione dell'avversario dicendo: «Ti uc- •çido come un cane». E, durante l'ultima guerra mondiale, i nazisti soppresser·o «quei maiali · degli ebrei», ma furono ripagati. come «belve» e i giapponesi come «scimmie gialle», ecc. E ibl-Eibesfeldt prende spunto da una osservazione di Erikson (1966) sulla strategia adattiva di gruppi umani di un medesimo ceppo ,in aree differenti, strategie che finiscono per renderli molto diversi fra loro quasi fossero di specie diverse («pseudo-speciazione»). L'autore ne deduce che di qui può partire il processo «culturale» di disumanizzazione di altri gruppi umani fino a poterli consiR -;berto Guiducci turale dei gruppi umani che, dal ceppo africano orientai~, dilagarono nel mondo acquisendo caratteri somatici differenti e lingue, costumi, riti, religioni, ecc., molto distanti fra loro. Ma come mai gli esseri umani abbiano preso e prendano le differenze culturali per differenze di specie richiede spiegazioni ulteriori e più approfondite perché è qui che si nasconde il «segreto» della guerra. Eibl-Eibesfeldt a questo punto divaga in mille rivoli che non portano al centro del problema. Gli restano i pregiudizi che, ,:i,,l'\!0.1 Jdl •·.,lir\• .,11'-·111.1 ..I, ( .1111,i:-.1 ( :111,1lh·,1 I - : .: 111,IJ/ol p,-:,,.. I Plt"-dl)1,1 p1,•\IJh ;.,k ,:,t.1 \dll\1'\.'III • 1"-·1 l.1 p11hl•ht.1 l1 llli!,,,!1 I ,11(; •\/ll'lhi:l ,IUlilllul!l,1 \ l°IHii< di I H}hll,I tl1 "-O~_~;nn11, 111w1n,t1ui:uth 1 ,h K111i11h MassimoDolcini, Manifesto (1978) derare di un'altra specie e, quindi, dopo tutto, «quanto alla guerra, uccidere senza trasgredire il codice sarebbe difficile negare l'imporgenetico che vieta di sopprimere tanza di certe sue funzioni, ad esseri della propria specie. esempio quella di stimolo per lo Inoltre, Eibl-Eibesfeldt contesta sviluppo culturale e tecnico, senza alcuni miti come quello sostenuto le quali la specie umana subirebbe da vari etologi che gli scimpanzé o una degenerazione». i gorilla, nostri più diretti pro~eni- La matrice resta hegeliana. Scritori, siano del tutto pacifici. E in- ve, infatti, Hegel nelle Lezioni del teressante, al contrario, osservare 1805-1806: «[la guerra] preserva la che anch'essi, pur se raramente, sanità etica dei popoli nella sua inuccidono, ma proprio quando altri differenza( ... ) verso la fissità allo scimpanzé o gorilla appartengono stesso modo che il moto dei venti a gruppi diversi con cui non si ave- preserva i laghi dalla putredine a va da tempo alcun contatto. Cosic- cui li porterebbe una bonaccia ché anche questi primati sfuggono prolungata. Così una lunga pace, o all'inibizione di uccidere quando peggio ancora perpetua, porterebpossono considerare altri primati be a questa condizione i popoli». così estranei da costituire una spe- Eibl-Eibesfeldt sostiene anche, . cie diversa. Ma né gorilla né scim- erroneamente, che la guerra giovi panzé fanno la guerra. sempre al vincitore (mentre sapAnalogamente i buoni Arapesh piamo che il vinto, come Germadella Nuova Guinea, descritti da nia e Giappone, può addirittura M. Mead come assolutamente pa- ben presto scavalcare il vincitore cifici, al contrario dei loro feroci stesso) e rifiuta la definizione di vicini Mundugumur, cadono sotto Toynbee, opposta alla sua, che la critica di Eibl-Eibesfeldt: an- proprio la guerra sia una «aberrach'essi sembra facciano la guerra zione» (A. Toynbee, «Tradition con gruppi di ,~diversi».Così cade und Instinkt», in Vom Sinn der anche il mito dei raccoglitori-cac- Tradition, Munich, Reinich, ciatori delle origini visti come soli- 1966). • . dal i e collaborativi. Purtroppo ·l;i . Il volume si chiude con una pelotta mortale ha matrici :remote, ··_rorazione per la pace. considerata così come la differenziaziòi:ie cui~ non. incompatibile ·con il codice istintuale primario del «non uccidere» dentro la stessa specie. Tuttavia, Eibl-Eibesfeldt mantiene il dubbio su questa possibilità a causa di una aggressività bellica giudicata sempre in agguato. Fortunatamente, a questo punto egli si ar- • resta e dice che la difficoltà di conseguire la pace «è un problema che supera le mie competenze». La competenza passa, infatti, alla psicoanalisi, alla psicologia sociale, alla antropologia, alla sociologia, ecc. Proprio alla psicoanalisi si de~ • vono un suggerimento e una scoperta molto importanti. Il suggerimento è che, nella misura in cui un gruppo umano consideri tutti gli altri gruppi differenti come non-uomini, si venga a creare il «delirio. di onnipotenza» di voler essere «uomini in esclusiva». Di qui il tentativo di sterminare i «diversi» e di crescere smisuratamente per occupare la terra. La scoperta, nella linea M. Klein - F. Fomari, è che ogni gruppo umano sia capace di un «delirio paranoico dei propri lutti» ( cioè delle proprie perdite, morti, crisi, dissesti, ecc.) verso altri gruppi di uomini, attribuendo loro la colpa di questi mali. Ma la psicoanalisi non riesce a spiegare come si possa passare dalla colpevolizzazione di altri alla loro uccisione in guerra. Infatti, esi- •ste anche il fatto .contrario, nel quale un gruppo rivolge masochisticamente la proiezione paranoica verso se stesso. È il caso della punizione mitica del proprio re Edipo ritenuto colpevole da parte dei Tebani della peste in città. Come spiegare perché i Tebani, invece di cercare la causa del male dentro le mura, non abbiano assa- • lito quelle delle città vicine accusandole di avere provocata la malattia? Si può rispondere: i Tebani colpirono il potere e, quindi, il potere non poté dirottare il lutto della peste verso l'esterno. In generale, quindi, occorre una spiegazione più complessa. Infatti, quello che la psicoanalisi non vede è l'aspetto sociologico del problema. Per fare la guerra, per sostenere la lotta cruenta, non si può agire individualmente. Occorre un'organizzazione, e questa dovrà essere più ferrea e gerarchizzata che per qualsiasi altra azione. Per essere guidati, e difesi dai persecutori esterni, si deve accettare un capo interno a cui affidare poteri straordinari e assoluti. Allora si crea il paradosso: contro i persecutori occorre essere protetti e condotti da un persecutore. Questo persecutore non solo servirà a uccidere gli assassini, ma chiederà agli uomini di morire per salvarsi la vita. La morte entra in un circolo vizioso: per vivere, si deve morire. E questa decisione non dipenderà più neppure dal singolo individuo, ma dal capo - esentato, salvo casi estremi, proprio dal rischio della morte. Per liberarsi da assassini lontani, molto spesso fantasticati, si diventa schiavi di un assassino vicino e reale. In questo modo gli uomini, contrariamente agli altri animali, si creano i capi più inamovibili e i più terribili tiranni. S e l'essere dominati da un dominante conosciut.o alleggerisce l'ansia di trovarsi in balìa di forze nemiche ignote, rende però contemporaneament~ difficile liberarsi da quel tiranno, e facile uccidere l'avversario che non si conosce. La paura della morte genera, dunque, il suo anticipo rispetto alla sorte naturale, annienta civiltà intere, interrompe lo sviluppo economie~ e sociale, fa degli uomini quei mostri che essi immaginano come nemici,-da punire o da cui difendersi. Naturalmente, sono esistiti ed esistono avversari ben reali all'interno della propria società, che appartengono_ a classi o strati dominanti. Ma questi sono spesso divenuti dominanti proprio attraverso le tensioni conflittuali verso l'esterno, e hanno legittimato, in questo modo, anche il loro dominio (R. Guiducci, La disuguaglianza fra gli uomini, Rizzoli, 1977). La «licenza umana di uccidere» altri uomini deriva, dunque, dal «vedere» il diverso, per cultura e non per natura, come un non-uomo; dal delirio di onnipotenza di considerarsi gli unici uomini; dalla proiezione paranoica dei propri lutti. Ma tutto questo, da un punto di vista sociologico, può portare alla guerra soltanto attraverso la mediazione di poteri interessati a utilizzare la mobilitazione bellica e la lotta cruenta per rafforzare il dominio interno e per estenderlo a danno di altri gruppi e altri territori esterni. Poiché il meccanismo . della . guerra è tanto complesso, si comprende anche perché sia tanto difficile conseguire la pace e perché i movimenti pacifisti si trovino sempre in grandi difficoltà. L'abolizione della «licenza di uccidere» dentro la propria specie non potrebbe essere ottenuta soltanto con il ripristino della legge biologica primaria che vieta questa Iicenz·a.La demistificazione per un essere culturale, come è ormai l'uor~o, non può che essere soprattutto culturale. Non solo dovrebbero essere smascherati il «delirio di onnipotenza» e la «proiezione paranoica sadica dei propri lutti», ma le modalità del potere che manipola la tendenza a vedere il «diverso» come «non-uomo» in funzione della sua prevaricazione interna e della guerra come strumento di estensione del suo dominio all'esterno. Ne discende che la negazione della guerra non può evitare di passare necessariamente attraverso la negazione dei poteri dominanti e gerarchizzanti che portano in sé queste degenerazioni patologiche del genere umano. Oggi, infatti, siamo nel mezzo dell'ultimo e estremo paradosso di avvicinarci alla terza guerra mondiale, questa volta nucleare, con altissima probabilità di sterminio dell'intero pianeta, con Poteri contrapposti che proclamano di «armarsi sem- ~ pre più» per «salvare la pace» dal- g . le mani minacciose di diversi, non- -~ uomini, colpevoli-anche dei lutti e ~ ~ dei dissesti interni di cui ogni Pote- ~ re è il vero responsabile. -. Thanatos si. copre con la ma- -~ schera di Eros. «La guerra è la pa- ~ ce», come scriveva Orwell. Oppu- E <:::i re: «Una falsa pace è già guerra», 'O come pensava Wright Mills.
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