Alfabeta - anno VI - n. 60 - maggio 1984

D opo diecimila anni di guerre e di cultura della guerra, c'è oggi la bomba atomica universale: il mondo stesso è praticamente ridotto a una bomba atomica. La cultura e la. logica della guerra dispongono del mondo, degli uomini, delle risorse materiali, del lavoro, della politica, degli eserciti, degli Stati secondo i loro interessi. Addirittura si può dire che la guerra sia praticamente già in atto· e che tolleri questi discorsi sulla pace. come un esercizio che consente di mantenere condizioni . di vita che sono al servizio della guerra, che sono in qualche modo dominate dalla sua logica. Gli arsenali delle bombe atomi- • che sono, occorre riconoscerlo, i veri dominatori, i veri monumenti della civiltà del nostro tempo. È difficile addirittura parlare di pace; e qualcuno ha detto che è inutile, che i pacifisii hanno una falsa coscienza e fanno discorsi fra ·ilmitico e l'ideologico, che non producono nessun effetto· politico perché sono all'interno dell'organizzazione del lavoro, • della politica degli Stati che sono governati dalla bomba. Come possiamo sottrarci"alpotere e alla suggestione della bomba? Questa è la domanda che dobbiamo porci prima di poter dare al discorso della pace una certa efficacia. Per esempio, noi siamo partiti in tanti per la marcia Milano-Comiso contro l'installazione dei mis- • sili. La marcia ha avuto grandi adesioni, ha suscitato anche un certo scalpore, molti di noi si sono battuti con· serietà perché potesse proseguire, perché avesse successo. after. Film sconvolgente che la critica (non solo cinematografica) ha seccamente liquidato irridendone i limiti spettacolari e politici, sfoderando poi, di fronte all'enorme impatto emotivo che la pellicola suscitava in un pubblico sempre più vasto, il collaudato repertorio di luoghi comuni psicologico-catastrofici. La verità è che The day after è un evento spettacolare che si sottrae ai normali strumenti critici: la tensione vissuta da tutti coloro che lo hanno visto non è il risultato di una tecnica narrativa, bensì della dimensione tragica dell'evento narrato. Dimensione tragica nel senso più classico - greco - della parola: racconto del destino umano come natura travolta da un ordine di necessità che la trascende. Protagonista del film non è la bomba, ma la Bomba: un orrore tecnologico smisurato il cui carat~ tere divino, sacro, ci ·appare qui • assai più chiaro che !}elleparole di Girard. Da strumento di ·dominio . ui;nario sulla natura la tecnica si trasforma in potenza naturale incontrollata·, sole divorante. che brucia sulle città: l'arma assoluta indossa la maschera di Dioniso come gli antichi simboli della brutalità degli elementi scatenati, completamente ciechi e sordi agli eventi umani. L'omologia fra la Bomba e il fulmine divino, potere distruttivo che annienta di colpo il senso delle strutture spazio-temporali deila esperienza umana, è totale in quelle che mi sono parse le scene più forti del film. La prima ci dà la precisa misura di come le attuali tecnologie belliche operino •con scansioni spazio-temporali fulminee, ineluttabili e totalmente aliene a ogni nostra capacità di comprensione per non dire di reazione: quando alcuni protagonisti del film vedono partire i missili americani sanno esattamente che viIl giorno prima / 2 I bach~. 0i!Jpazziti Questa marcia ha mosso la coscienza popolare, eprodotto nuove informazioni sulla situazione di dominio, della guerra e della volontà di guerra nel nostro paese, nelle nostre classi dirigenti. Però oggi abbiamo già dei missili operativi a Comiso. lo ho fatto molti discorsi, nelle Marche, nei piccoli paesi dell'Appennino, in Umbria, chiamato dai Comitati della pace e dai Consigli comunali che si pongono il problema dellapace con una certa ansia e con poca possibilità di riuscire a capire. Si teme la guerra, si teme il disastro atomico che viene rappresentato in tanti modi, e certe volte anche deformato dagli spettacoli che, volendo indicare la gravità dell'orrore atomico, finiscono in qualche modo per umanizzarlo: c'è una vita superiore, una vita divina che· riprende anche dopo la bomba. Così si alimenta l'idea che la guerra e la bomba· che oggi la rappresenta siano parte inscindibile della storia,. della natura, della cultura, del linguaggio, del fato dell'uomo. Idea che non è vera. Ma.come possiamo incominciare a individuare ·una nu·ova verità? . In queste assemblee per la pace, irzquesii Consigli comunali, nei discorsi di tanti che intérvengono, c'è un senso di disagio: il termine 'pace' sembra quasi una invocazione religiosa, una parola consumata, una speranza, una litania, un appello. Il fatto è appunto che il mondo contemporaneo, nelle • sue espressioni scientifiche, culturali, politiche e organizzative, è il mondo della bomba; tutti coloro che lavorano o non lavorano, _chesono vranno solo i minuti necessari a che si dispieghi. la perfetta simmetria dell'apparato missilistico sovietico. La seconda e la terza ci schiacciano con la totale perdita di senso subita dai gesti e dalle parole del vivere quotidiano: una donna che ~ dgD . __:z -- . . ------ ~ ----- nel Terzo Mondo o nel mondo industrializzato, concorrono insieme a costruire la bomba. Le due superpotenze costruiscono insieme un'unica bomba come due bachi impazziti, non c'è più differenza fra l'una e l'altra bomba. Oggi, con i missili in Europa, continua a vivere approfittando degli uomini, del loro lavoro, delle loro risorse e della loro cultura, della loro intelligenza; o li rende addirittura incapaci di una verapace, li rende cioè incapaci di costruire una alternativa realealla bomba, di produrre una nuova cultura. AMICIDIBRERA / Roberto Pieraccini. logotipo per carta intestata la distanza fra il momento in cui parte un missile americano carico di non so quante testatee quello del suo arrivo e della sua esplosione, si è ridotta a un punto tale che praticamente quella bomba diventa «la bomba», è come se una seconda bomba non ci fosse. Infatti, qualcuno che è tornato di recente dal- /' Urssdiceva che ilproblema politico-militare dell'establishment sovietico oggi è quello di stringere le cose al punto tale che chiunque prema il bottone della bomba - sia che lo prema a Washington sia che lo prema a Mosca- produca immediatamente la deflagrazione mondiale: non c'è risposta, non c'è secondo colpo, c'.èun colpo unico. Ecco perché dico che la guerra domina il mondo: sfruttando questo timore della bomba, la guerra già sa si rifiuta di scendere nel rifugio, e continua automaticamente a rifare i letti (la casa avrebbe dovuto essere pronta e in ordine per la festa di matrimonio della figlia, prevista per il giorno dopo); un uomo sopravvissuto alla catastrofe calpesta le ceneri della sua casa, e di coloro che la abitavano, e reagisce altrettanto automaticamente all'intrusione di un estraneo che invade la sua «proprietà». Ma l'impotenza diviene assoluta nel momento in cui realizziamo l'impossibilità di trovare un capro espiatorio. Quando si riattivano le trasmissioni radiofoniche, alcuni sopravvissuti sentono la voce del presidente che rassicura il paese sul fatto che non ha perso la guerra e provoca uno scatto d'ira: ,.,.--- Questa cultura però non può esserefatta di appelli, di pensiero o di discorsi, ma deve essere mossa politicamente in modo da sottrarre forze, risorse, capacità·di accumulazione a quel grande capitale che è ormai la bomba. Questo mi pare si cominci a capire in Italia, anche in accordo con una tradizione culturale.che fa capo a certi santi più o meno eretici, a certi uomini politici del nostro Ottocento e anche del nostro Novecento; una idea di pace appunto come città nuova e diver- • sa. Se noi ora vogliamo dare al nostro movimento una strategia e un minimo di efficacia, dobbiamo distinguerci, costruire un esempio. Costruire l'esempio di un'Italia che unilateralmente si disarma, o che comincia per lo meno a ridurre le «Che nessuno avrebbe vinto né perso si sapeva, vorremmo piuttosto sapere chi ha cominciato». Interrogativo inutile: la guerra atomica non può svolgere in alcun modo il ruolo di crisi sacrificale, l'inaudita spirale della violenza simmetrica non offre nemmeno la catarsi di un responsabile: alla domanda su chi ha cominciato, infatti, il film ha già risposto sin dalle battute di avvio, mostrandoci come la catastrofe arrivi a piccoli passi, attraverso microdecisioni che nessuno dei due contendenti controlla effettivamente; hanno cominciato entrambi e non ha cominciato nessuno dei due, la violenza e il sacro non dispiegano più alcun potenziale catartico. Paradossalmente, è proprio il senso di impotenza e deresponsabilizzazione che il film ci trasmette a renderne la lezione più efficace di quelle dei libri citati in precedenza, tanto da comprenderle e superarle. Mi spiego. Da direzioni diverse, Eibl-Eibesfeldt e Girard convergono nello sforzo di ridurre l'illusorio alone di assoluta libertà progettuale che il razionalismo moderno e l'illuminismo hanno proiettato sul comportamento umano, e tentano di metterne in luce le determinanti «oggettive» (queste ultime sono prevalentemente biologiche per Eibl-Eibesfeldt, culturali per Girard, tuttavia i due autori sono impegnati a pensare oltre l'opposizione metafiproprie spese militari. Anche su questo punto non abbiamo un'informazione sufficiente e chiara. Chi sa quanto spende il governo italiano in un anno per le proprie forze armate? Quamo spende per gli obblighi dell'alleanza Nato? Quanto spende in ricerche militari? Sappiamo però che l'industria che oggi nel mondo «tira» di più è quella degli armamenti, e che anche in Italia le industrie che si stanno sviluppando sono quelle degli armamenti. Sappiamo anche che gran parte della ricerca scientifica è finalizzata alla guerra, che gran parte dei centri di ricerca nel mondo sono al servizio dell'industria aero-spaziale, che è a sua volta un'industria di guerra (la conquista della luna era un atto di guerra, una esercitazione militare, la dimostrazione che gli Stati uniti potevano lanciare tanto lontano e con tanta precisione un missile o una bomba). La divisione del lavoro è ricondotta oggi ai fini della organizzazione del potere capitalistico, che si realizza e si accumula nella bomba; /'equilibrio del terrore è /'equilibrio del capitalismo. Ora noi dobbiamo distinguerci da questa logica della bomba e della costruzione della bomba, cominciando a costruire qualcos'altro. Intervento di Paolo Volponi al convegno «Culture e strategie del pacifismo» (Milano, 6-7 aprile 1984), curato dall'Istituto Gramsci, dal Cespi e dal Crs. Testo non rivisto dall'autore. sica natura/cultura). Il linguaggio scientifico cerca così di delimitare a un tempo l'oggetto della sua indagine (rispettivamente, la guerra e il dispositivo sacrificale) e le proprie pretese di dominio; ma è proprio in quanto scientifico che il discorso segna il passo, in quanto cioè ha de-legittimato il sapere mitico e rituale che era precisamente sapere dei limiti della umana volontà di potenza. Un sapere di cui le immagini filmiche ci restituiscono il fantasma sotto forma di visione deUa Bomba, un'epifània che sintetizza simbolicamente lo scacco della ragione strumentale: il territorio bruciatù e contaminato, la tecnologia puramente distruttiva, il linguaggio che non trasmette alcun senso. Simbolo del limite che ci aiuta a pensare la pace. Non perché ci colpisce con l'orrore di immagini catastrofiche (per inciso, l'orrore del film è eufemistico rispetto a quelli che sarebbero gli effetti di un reale conflitto nucleare), ma perché ci sfida a comprendere. i motivi del fascino che queste immagini esercitano ·oltre l'orrore; perché ci costringe cioè a proiettare i nostri interrogativi oltre i confini rassicuranti del soggetto umanistico e della sua identità. Cfr. Irenaus Eibl-Eibesfeldt Etologia della guerra trad. it. di Giuseppe Longo Torino, Boringhieri, 1983 pp. 273, lire 29.000 René Girard Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo trad. it. di Rolando Damiani Milano, Adelphi, 1983 pp. 548, lire 25.000 The day after di Nicholas Meyer (Usa 1983) ::::

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