Alfabeta - anno VI - n. 60 - maggio 1984

....... !"I re», va notato che la vita letterariaprecedente del personaggio tipo non si annulla del tutto nelle nuove incarnazioni; nasce così il meccanismo dell'effetto ludico che consiste nella sovrabbondanza di significazione, nella coesistenza mobile di più fantasmi dietro il personaggio recepito nel testo, nella memoria dei precedenti significati. A diverso livello tipologico va posto il personaggio le cui iterazioni entro la letteratura non sono dovute alla sua codificazione come personaggio, anzi alla sua specifica identità. Ci si limita a un esempio: il Giuseppe biblico diviene protagonista del romanzo Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann, dopo aver tentato Goethe e Tolstoj; su questo riutilizzo rimando al recente bel volume di Sklovskij, Simile e dissimile (Milano, Mursia, 1982, p. 123), ove si rileva come in questi tipi di operazioni si ripetono solo le vicende, di cui il personaggio è atlante, ma l'extratestualità storica è così diversa che del primo personaggio resta poco più che il nome; in altre parole, il personaggio diviene contemporaneamente archeologico e moderno, non reggeproprio per la sua specifica identità alla serializzazione, alla intertestualità. Reggono invece benissimo a tale operazione quelli che chiamerei personaggi-specchio in quanto, specchiando in sé fondamentali nuclei del microcosmo umano, si configurano nell'atto simbolici, addirittura emblematici: per esempio, Don Giovanni o altri personaggi che siano varianti di una costante umana, scelta naturalmente con criterio selettivo. Conta che su personaggi così squisitamente semiotici la letteratura crei un messaggio di portata generale, fondi, dunque, un particolare tipo di sapere. Si prenda, ad esempio, il personaggio di Don Giovanni, su cui esiste una letteratura creativa, critica e filosofica da fare invidia a personaggi della storia «reale»: da Kierkegaard, che gli dedicò pagine memorabili sull'erotismo in Gli stadi erotici immediati ovvero il musicale-erotico (in Enten-Eller, Milano, Adelphi, 1976, 1, pp. 105-212), a Jean Rousset nel recente volume Le mythe de Don Juan (Paris, Colin, 1978). Rileggendo il saggio di Kierkegaard si è colpiti dal fatto che il filosofo mostri una continua fede nel personaggio, come si trattassedi un amico di famiglia, al punto da costruire su di lui la sua teoria dell'erotismo, una teoria che per esserefondata e provata, a quel che consta, abbisogna di corpi fatti di carne e di sangue. E difatti Kierkegaard definisce Don Giovanni «l'incarnazione della carne» per giungere alla fine a scoprire in lui l'arte della seduzione come forma di genialità sensuale confinante col diabolico. E non parliamo degli indugi del filosofo alle soglie dell'autobiografico con momentanee identificazioni nel personaggio, che gli serve anche a capire se stesso, allo stesso modo in cui il suo io gli serve a capire il personaggio. Altro aspetto suggestivo: domandatosi quando può essere nata l'idea di tale personaggio nella cultura, Kierkegaard annota: «Non si sa quando sia nata l'idea di Don Giovanni; è certo soltanto che appartiene al cristianesimo e che, attraverso il cristianesimo, a sua volta appartiene al Medioevo» (p. 155). E perché? La risposta è tanto semiotica da sembrare di Lotman: perché nella cultura medievale l'individuo vale in quanto diviene «rappresentazione» di una serie di individui, loro «simbolo». E non basta; Kierkegaard arriva anche a porre la questione del personaggio archetipo, cui spettano di corredo infinite varianti testuali, donde la conclusione importante che il personaggio Don Giovanni è «un individuo che è formato costantemente, ma non viene mai compiuto» (p. 161). Anche qui iteratività, dunque, ma di natura e significato diversissimi da quelli dei personaggi tipo sopra esaminati («cavaliere», ecc.), come fra breve si vedrà. La ricerca di Jean Rousset, condotta su molti testi e per molti anni con eccezionale acribia, si svolge in due direzioni principali. Da un lato, infatti, Rousset studia la nascita e la crescita, per così dire, di Don Giovanni come personaggio teatrale: nato alle scene nel teatro di Tirso de Molina (El burlador de Sevilla y Convidado de piedra), Don Giovanni cresce di molto in quello di Molière (Dom Juan) per trasferirsi nel teatro lirico con Mozart; Rousset entra anche nella successiva vita del personaggio, quando esso trasmigra ad altri generi della letteratura, quali romanzi, novelle, testi poetici (di Byron, Musset, Baudelaire, Trakl, Jouve). D'altro lato, però, Rousset sa benissimo che il vero problema non è di generi letterari, ma di statuto del personaggio; e qui lo attira, come attirò Kierkegaard, il problema dell'origine di Don Giovanni, personaggio in certo qual modo mitico perché strettamente legato alla nozione di morte e alla sua immagine, di pietra o di fuoco, ma lo attira anche il problema non ancora proponibile ai tempi di Kierkegaard di come è andato a finire questo mirabile personaggio, di come ha avuto luogo la sua degradazione dal livello mitico a quello delle fasi ottocentesche e novecentesche del cosiddetto dongiovannismo. Nel solito gioco combinatorio di invarianti del personaggio immaginario e di varianti collegabili alle situazioni storico-culturali, nelle quali il personaggio stesso si è reincarnato, hanno avuto luogo processi di impercettibile o percettibile contaminazione con modelli comportamentistici borghesi sino al massimo del degrado con il mediterraneo latin lover. Vorremmo chiudere questa catena di riflessioni su uno dei più illustri personaggi-specchio, personaggi emblematici dell'immaginario, con un ritorno ai tre famosi testi teatrali di ~ Tirso de Molino, di Molière e di Mozart; ognuno di essi ...... _9 ridefinisce il ruolo attanziale di Don Giovanni attraverso ~ proprie particolari strategie, dal che si deduce che i vari Don E Giovanni da un lato sono emblematici di una realtà extratestuale, socioculturale, ma dall'altro ciascuno di essi non esiste prima del testo che gli ha dato vita; una vita immaginaria, dunque, ma che non finisce mai di proiettare fuori di sé delle strutture modali, dei modelli comportamentistici. Ci si sta accostando lentamente alla questione fondamentale dello statuto dei personaggi inventati, della loro fondazione di sapere. Nella vasta tipologia dei personaggi dell'immaginario, che dovrà essere oggetto di studi specifici, si fa riferimento solo a un'altra serie, quella dei personaggi che postulano, nella loro funzione simbolica, una realtà da specchiare ben più complessa, sino a divenire irripetibili, irriproducibili per /'universalità appunto della funzione simbolica, personaggi a cui anni e secoli donano non variantismo, bensì un insieme o cumulo di possibili significati coesistenti e validi per varie civiltà, per varie epoche. Sono i re e le regine dell'universo immaginario, le sue teofanie: Don Chisciotte, facciamo conto, o Amleto o Faust. Non c'è nessun vivente che abbia avuto simile potere, nemmeno chi li ha creati, perché i sogni e i pensieri di questi personaggi inventati vengono a riprodursi ugualmente o diversamente nelle menti ospitali degli uomini in qualunque punto dello spazio e del tempo, anche se qualcosa del loro messaggio continua a restare inafferrabile; anzi, quanto più esso si estende, ingigantisce, si fa polisemico, tanto più diviene indefinibile. In altre parole, la loro fondazione di sapere è potenzialmente inesauribile nella storia, nella umana decodifica. cooper•t•v• teatrale stagione inverNle 1977-78 v,a luigi Credaru. 19 OOIJS Roma tel {061 589 63 16 1'11STl~IO 13LJ1=1=0 J ra un minuto 111 mostreremo ... Il mistero buflo. Ma P<itN con due parole qu•. devo avviu,11i: que•t• e una novita. I Come oute chiffltMYI poer• e. mediocre. aqulWre come una quagll•1 Oog/ bi-. come un puor,o di ,.,ro, c«tfkcaral Ml cranio del mondo! }t ·•: Giovanni Lussu, Coop. teatrale Majakovskij. Programma ( 1977) Dai rapporti fra i personaggilmmaginari nasce una storia: quando un narratore disegna una storia, egli si trova di fronte a quello che Borges descrive come il dramma delle alternative per cui ogni invenzione di un intreccio, di uno spazio e di un luogo, è una cauta scelta a/l'interno dell'area di competenza dello scrittore, scelta che si risolve in rinuncia a un altro possibile intreccio, parimenti invitante. Il lento progressivo generarsi di una struttura narrativa fa sì che le scelte dello scrittore abbiano sempre minori possibilità alternative in quanto l'opera lentamente detta le sue regole di coerenza interna. È stata proprio la riflessione sulla coerenza interna e transfrastica del romanzo come opera inventiva a produrre presso più di un logico l'accostamento, che quindi non risulterebbe solo metaforico, alla nozione squisitamente logica di «mondo possibile». L'accostamento è abbastanza gravido di conseguenze teoriche nei riguardi del processo inventivo: personaggi e vicende di un romanzo, che sia un'opera artistica, vivono all'interno di un mondo possibile, metti il mondo testuale dei Promessi sposi, che determina le proprietà compatibili con se stesso ed esclude quelle che i medievali definivano incompossibilia. Ecco una be/làprecisazione in proposito del logico contemporaneo Hintikka: «we might cali a 'complete nove/' a set of sentences in some given language which is consistent but which cannot be enlarged without making it inconsistent. A possible world is in effect what a complete nove/ describes» (in Models for Modalities, Reidel, Dordrecht, 1969, pp. 153-54). L'affermazione di Hintikka, che attribuisce all'invenzione narrativa attuata la coerenza di un mondo possibile, offre un ponte o passaggio dal mondo possibile del romanzo a quello attualizzato del reale. Proprio la coerenza interna, o logica del mondo narrativo, crea un rapporto di «accessibilità»fra il mondo possibile e il reale o mondo attualizzato. Perciò ci imbattiamo sempre nella nozione di conoscenza, di sapere fondati dall'universo immaginario e di verità universali rappresentate dalle sue teofanie, si chiamino Don Chisciotte, Amleto, Faust. Come dire che in ogni opera inventiva di rispetto, poni un romanzo, /'universo dell'immaginazione si attua entro una costruzione che corrisponde, a tutti gli effetti, a un processo di ricerca e di scoperta sul reale; con essa il romanziere ci dà, trasferiti in un coerente mondo possibile, i rapporti nuovi da lui individuati fra le cose del mondo reale, il modello quindi nuovo di lettura del mondo che egli vuole comunicarci. Nell'attuare la sua costruzione l'artista, che ha dissociato e associato in modo nuovo gli elementi del reale da lui prelevati, produce sempre in qualche modo un oggetto straniante rispetto al mondo reale; al nostro discorso può interessare il fatto che la nozione di straniamento sia comune a Sklovskij e ai moderni psicologi dell'invenzione, come Gordon che parla delle due operazioni: «making-the-strange-familiar» e «making-the-familiar-strange». Orbene,. ciò che fa da ponte fra l'opera narrativa in quanto oggetto straniante - che infrange i paradigmi codificati di una grammatica della visione - e il mondo reale è proprio l'organizzazione coerente di un mondo possibile: è con essa che nasce il carattere necessario e non più fittizio delle rappresentazioni immaginarie, nasce la verità di Amleto e Don Chisciotte e Faust. A questo punto si può giustamente affermare che anche l'invenzione narrativa fonda un sapere, estende la nostra conoscenza del mondo. Una controprova suggestiva offre il confronto fra un'opera d'arte narrativa e un romanzo di consumo, anche di grandissimo consumo. Di fronte alla prima il lettore non ricorre o ricorresempre meno con lapropria immaginazione a soluzioni alternative in quanto si rende conto di esseredi fronte a qualcosa che ha un potenziale altissimo di informazione: in altre parole, la costruzione a cui personaggi e vicende sono soggetti li rende illuminanti nei riguardi della lettura del mondo. A volte l'impresa selettiva e organizzativa richiede molto più della vita di un artista, richiede tempi lunghissimi precedenti l'esecuzione finale: senza tanti e tanti poemi cavallereschi, che oggi confinano c:m l'oblio, Don Chisciotte non sarebbe nato. Come dire che nell'universo artistico, al pari che in quello scientifico, un qualsiasi fatto presuppone una lunga storia e la lunga storia abbisogna di quel fatto. Difficilmente un grosso personaggio immaginario, una teofania dell'immaginazione, nasce come Minerva dal cervello di Giove. Questa sarebbe vera creazione, ma creare non sembra essere alla portata dell'uomo. È già tanto che le sue invenzioni durino più di lui, siano come le firme che rimangono valide anche quando chi le ha apposte è da tempo ali'anagrafe nel registro dei «cessati», come si dice in terminologia funeraria. Raccontano che Giulio Verne, di fronte alle narrazioni di Wells assolutamente non soggette all'«effetto di realtà», basate cioè su personaggi o eventi del tutto impossibili, dicesse con indignazione: «Il invente!» Eppure noi sappiamo che i personaggi molto irreali dei libri di Wells, come !'«uomo invisibile», agiscono narrativamente secondo la logica del realeper cui gli eventi offrono una loro felicissima coerenza interna; di qui il giudizio di Borges, secondo cui i romanzi fantastici di Wells contano perché «ciò che narrano non solo è ingegnoso; è anche allusivo a processi che in qualche modo ineriscono a tutti i destini umani». Il discorso vale anche per le invenzioni di esseri mostruosi: essi, a detta ancora di Borges, sono mostri necessari. Chiudiamo volentieri con una citazione della Prefazione al Manuale di zoologia fantastica: «Ignoriamo il senso del drago, come ignoriamo il senso de/l'universo; ma c'è qualcosa, nella sua immagine, che s'accorda con l'immaginazione degli uomini; e così esso sorge in epoche e latitudini diverse; è per così dire un mostro necessario». E col drago si torna alle strutture profonde dell'inconscio, mentr;el'uomo invisibile di Wells può nascere solo in un contesto con alto grado di razionalità. Raramente candida, dunque, la genesi dei personaggi immaginari e oggetti immaginari, raramente stravagante, ma assai necessariaa colmare le insufficienze della nostra lettura del reale; ciò attraverso la sovrapposizione di una serie di mondi possibili, i meravigliosi fuori legge che accompagnano la nostra esistenza. Ogni invenzione artistica offre una nuova mappa del mondo; ce la offre parlando d'altro, e questa è forse una sublime prerogativa della sua essenza. Naturalmente il fatto che personaggi e oggetti immaginari siano organizzati entro la costruzione di un libro non significa che la loro storia e vita finisca lì, non significa nemmeno che il libro finisca lì. L'autore sarebbe molto ingenuo se pensasse di aver portato a termine la vita del suo libro. Saranno i destinatari nel tempo a mantenere giovani o a fare invecchiare i personaggi, a seconda della dose di «fiducia poetica» (come la chiamava Coleridge) susci/ata dall'immaginario di un testo nei suoi lettori. Nell'universo dei lettori, del pubblico i personaggi realizzano tutta la loro vita: noi moriamo, il Colosseo crolla, ma Medea e Amleto continuano a vivere e danno a noi l'illusione di un'ete,-nitàdell'immaginario.

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