Alfabeta - anno VI - n. 60 - maggio 1984

l'onta-teologia né con alcuna delle figure di quella configurazione (il soggetto, la coscienza, l'inconscio, l'io, l'uomo o la donna, ecc.). Dire che questo è l'unico avvenire non significa invocare l'amnesia. La venuta de/l'invenzione non può estraniarsi dalla ripetizione e dalla memoria. Perché l'altro non è il nuovo. Ma la sua venuta conduce al di là del presentepassato che ha costruito (inventato, occorre dire) il concetto tecno-onto-antropo-teologico dell'invenzione, la sua convenzione e pure il suo statuto, lo statuto dell'invenzione e la statua dell'inventore. Cosa posso inventare, ancora, chiedevate all'inizio, quando era la favola. Certo non avete visto venire nulla. L'altro non si inventa più. - E allora, lei che cosa ci vuol dire? che l'altro è stato solo un'invenzione, l'invenzione dell'altro? - No, che l'altro è proprio ciò che non si inventa mai e che non avrebbe mai aspettato la vostra invenzione. L'altro chiede di venire e richiama l'avvenire (appelle à venir), il che accade solo a più voci. (Traduzione e cura di Maurizio Ferraris) I personaggi dell'immaginario di Maria Corti U n'enciclopedia dell'universo dell'immaginazione, rispetto ad altra specie enciclopedica, è prodotto più sottile e ambizioso, dove si prova come ciò che l'uomo immagina del mondo è molto di più di ciò che il mondo richiede da lui o gli offre. È da poco uscita con il titolo L'immagine di Ulisse. Mito e archeologia, presso Einaudi, la traduzione dell'importante opera dell'archeologo tedesco Bernard Andreae (l'originale tedesco è del 1982), dove si legge: «Questo libro tratta dell'immagine che si erano fatti gli artisti antichi di un uomo che come individuo non è vissuto e però resta vitale, che non è una personalità storica e però è divenuto prototipo dell'uomo dinamico, sicuro di sé, che riflette sul suo destino e reagisce consapevolmente. La personalità creata da un poeta greco, nel grande passaggio dal- /' epoca culturale geometrica ali'orientalizzante, è potuta diventare ancora la protagonista del romanzo di James Joyce Ulisse, che apre la storia della letteratura moderna». Come dire che noi moriamo, diventiamo polvere e non ci siamo _ più; loro, i fantasmi di quel teatro dell'immaginario che è la letteratura, escono dalla vita del testo senza morire; anzi, continuano a popolare la vita degli uomini; non appartengono a nessuno e appartengono a tutti. Cominciati probabilmente a prodursi nei primi giorni di Adamo e di Eva, si raccolgono almeno in due insiemi, dal destino fondamentalmente diverso: in un gruppo si situano le creature immaginarie la cui vita restò affidata a delle voci, allapura oralità, e che col tempo si persero nell'aria, bolle di sapone verbali; una sterminata perdita per generazioni e generazioni di cultura prealfabetica. A costoro si affiancano i personaggi che vissero in testi verso cui gli uomini hanno esercitato il misterioso piacere della distruzione: biblioteche bruciate, libri dispersi, marciti, trasformati in polvere; fantasmi vissuti lo spazio di una cultura e poi scomparsi coi libri e le biblioteche. Pare che questo ogni tanti secoli debba succedere. All'altro insieme appartengono appunto i personaggi di cui si diceva che non cessano di vivere e parlarci, metti Ulisse, Medea, Amleto. I personaggi dell'universo immaginario, giacché non sembrano vivere nella nostra dimensione, anche se ne condividono un relativo caos, lìanno uno statuto distintivo fispetto agli esseri che, pur fra loro incompatibili, messi insieme fanno il mondo detto «reale»? La questione non è di quelle che si possano risolvere entro una riflessione generale sul processo inventivo dei personaggi, pur tuttavia stimola a un'attività glossatoria ai margini di una enciclopedia dell'immaginario quale è il Dizionario dei personaggi (voi. 11 del Dizionario delle opere e dei personaggi Bompiani), per dare un abbastanza illustre esempio di raccolta del genere. Uno schema dicotomico può aiutare a fare ordine a fini tipologici: personaggi legati a un «motivo» o topos o tema o «macrosegno», come lo chiama A valle, o liberi da tale legame: eccoti nel Dizionario della Bompiani Abindarraez, uscito da una novella moresca di Antonio de Villegas (morto dopo il 1551) dal titolo Historia del Abencerraje y de la hermosa Jarifa. L'eroe appartiene alla nobile stirpe moresca degli Abenceragi, famiglia privilegiata nei ludi dell'invenzione non solo perché il nostro eroe e la sua Jarifa, vittime entrambi di un amore contrastato, fecero lunghi viaggi intertestuali con tappe in molti romances, in una famosa Cronica spagnola, nelle opere di Cervantes, Montemay6r, Lope de Vega, ma perché l'ultimo dei membri immaginari dellafamiglia andrà a nascere nel /826 in un'opera di Chateaubriand, Les aventures du dernier Abencérage. ( li personaggio si chiama Aben-Hamet, torna da Tunisi in Spagna per rivedere la terra degli avi, ha un infelice amore nel gusto romantico per Bianca e così via, sempre sul patetico). Va aggiunto che Abindarraez, mentre si reca a un segreto incontro amoroso con Jarifa, èfatto prigioniero presso Granata da Rodrigo di Narvaez, che lo lascerà libero per tre giorni, sulla sua parola d'onore, affinché incontri la donna Note (1) Vorlesungen uber die Methode des akademischen Studiums. 1803, Quinta lezione. [Derrida cita dalla traduzione francese. in Philosophies de l'Université, Paris. Payot. 1979: la traduzione italiana. con il titolo Quauordici lezioni su l'insegnamento accademico, curata da Luigi Visconti. nel 1913. per reditore Sandron. Milano-Pakr111,-\'apoli, poi ripubblicata dalreditore Laterza nel 1974. è molto d11c't!llsa;si è quindi scelto di tradurre le citazioni schellinghiane di Derrida dal francese. Ndt] (2) Per esempio: «Dunque la poesia e la filosofia. che sono contrapposte da un altro tipo di dilettantismo. si rassomigliano in ciò. che l'una e raltra esigono una immagine (Bild) del mondo. che sorge autonomamente e si chiarisce spontaneamente» (trad. fr.. p. 101 [trad. it. ed. Sandron. p. 101]). «In effetti le matematiche appartengono ancora al mondo di quanto è semplicemente immagine riflessa (abgebildete Welt), nella misura in cui manifestano il sapere originario e la identità assoluta solo in un· riflesso» (trad. fr., p. 81 (trad. it.. p. 66]). «Senza intuizione intellettuale non c·è filosofia! Anche la intuizione pura dello spazio e del tempo non è presente alla coscienza comune, in quanto tale: perché è anche questa intuizione intellettuale, ma riflessa (reflektierte) nel sensibile» (trad. fr., p. 81 (trad. it., p. 67]). (3) A proposito di questa invariante «umanista» o «antropologica» nel concetto di invenzione, è forse il caso di citare Bergson (l'affinità schellinghiana oblige ... ): «L'invenzione è la caratteristiamata. Abindarraez ritorna nei tempi prescritti, ma con Jarifa, segretamente sposata. Alcuni aspetti di tutto l'insieme Abenceragio danno da riflettere: in primo luogo la storia di Abindarraez e della bella Jarifa contiene due di quei «motivi» che si distinguono per la loro presenza a ripetizione entro la narrativa di vari paesi e varie epoche, quindi vere e proprie iterazioni dell'immaginario culturale: nel caso il motivo dell'amore contrastato e quello della parola d'onore mantenuta col nemico a rischio della vita. In altri termini, esistono entro i repertori dell'immaginazione personaggi e addirittura motivi che presentano caratteristicheproprie del segno in accezione saussuriana; né va dimenticato che la omologazione di personaggi fantastici al segno risale appunto a Saussure nelle note sulle leggende dei Nibelunghi e di Tristano e Isotta, là dove lo studioso parlà di una association libre o gioco combinatorio di unità più piccole portatrici di un significato fisso. Partendo da qui A valle ha studiato il «motivo» (da lui definito Coa,f"lrlO Il ruolo ddl'Entt' k,r.lJv p('r la ..•lorin.aJiooo .. )le~• tUri.)lk°i~ h:rri1oriall Sooa10 IO ni:1r.t0 N84 ft:rme ,li (:.i~nQ f-tOldRqpn.1 ~ 1 J,10 Massimo Dolcini, Manifesto (1984) «macrosegno») come un segno complesso articolato in un certo numero di «unità narrative» soggette a combinazione; a tale luce ha indagato il motivo della hybris-nemesis ( divenuto poi del «delitto e castigo») e quello de/l'adulterio presente nei Contes d'adultères medievali e l'altro dellafanciulla perseguitata, cui già si era dedicato Veselovskij (cfr. A valle, L'ontologia del segno, Torino, Giappichelli, 1973; e Veselovskij-Sade, La fanciulla perseguitata, a cura di D. S. Avalle, Milano, Bompiani, 1977, «Nuova Corona» n. 7). Tali motivi o topoi della letteratura della fiction vivono dunque ormai al di fuori dei testi, attraverso secolari tradizioni, ed entrano a fare parte della competenza enciclopedica dell'autore e del lettore, che afferrano benissimo il gioco combinatorio delle unità fisse e delle varianti locali. La rinnovellata animazione di un motivo, che è tutta a carico di un nuovo autore, ricrea la differenza di competenze fra autore e lettore, da cui nasce l'interesse della nuova lettura. Un esempio abbastanza singolare e stimolante del viaggio di un motivo attraverso tempi e spazi offre il classicista Cesare Questa nel bel libro Il ratto dal serraglio. Euripide, ìplauto, Mozart, Rossini (Bologna, Patron, 1979), dove l'autore indaga appunto la vicenda storico-letteraria di un motivo dai lontani tempi di Euripide sino a Rossini. ca essenziale dello spirito umano. quella che distingue ruomo dalranimale». (4) Trad. fr .. pp. 49-50 (trad. it.. p. 12]. _ (5) «Par le mot par commence donc ce texte». E un verso di Ponge che Derrida ha commentato in un luogo precedente della conferenza. (Ndt] (6) Ovviamente questa economia non si limita a qualche rappresentazione conscia e ai calcoli che vi compaiono. E se non c·è invenzione senza un colpo di quello che si direbbe genio. cioè con il lampo di un Witz con cui tutto inizia. è anche necessario che questa generosità non si rifaccia più a un principio di risparmio e a una economia ristretta della différance. Solo la venuta aleatoria del radicalmente altro. al di là delrincalcolabile come calcolo ancora possibile. è la «vera» invenzione. che non è più invenzione della verità e può accadere solo per un essere finito: la chance stessa della finitezza. che inventa e compare solo dopo questo caso e questa scadenza. (7) Si è scelto di lasciare in francese questa parola-chiave della decostruzione (una differenza sia spaziale che temporale: cfr. «La qifférance». in Jacques Derrida. Marges - de la philosophie. Paris. Ed. de Minuit. 1972). che in italiano è stata anche tradotta con differanza o diflferenza. (Ndt] Dalla ricerca di Questa possiamo ricavare dei dati supplementari: vi sono casi in cui il topos predomina talmente sui personaggi che lo incarnano da farli divenire convenzionali, statici e iterativi al massimo. Caso limite nella letteratura greca il mptivo o topos di una donna greca di illustre stirpe che finisce per volere degli dei in una terra lontana, dove qualcuno la trattiene con potere coercitivo; la donna crede morto l'uomo che potrebbe salvarla, ma egli è vivo, giunge da lei, segue agnizione e fuga. Orbene, laforza codificatoria del motivo è tale che Elena e Ifigenia divengono lo stesso personaggio nelle due tragedie di Euripide, rispettivamente Elena e Ifigenia in Tauride: ciò che varia è solo dettaglio. Si può trarre una prima conclusione: l'iterazione dei topoi significa che gli uomini riflettono nell'orbe dell'immaginario alcune costanti esistenziali; senonché nel reale queste costanti capitano, si ripetono accidentalmente, nell'immaginario sono cercate, donde si deduce che molti secoli di ripetizione di un motivo fantastico non lo logorano. Noi ::heci stanchiamo facilmente del ripetersi di vicende e glorie altrui, soprattutto se di contemporanei, le amiamo proiettate nell'immaginario, là dove tutto si ripete ma niente è successo, dove tutto è figura fabulosa. Con un po' di stupore ci accorgiamo di assomigliare ai bambini, che prediligono sentirsi raccontare più volte la sressa storia. Ma vi è dell'altro che fuoresce dalla lunga e fittizia vicenda dei mori Abenceragi, sopra schizzata: nell'universo dell'immaginazione si ricreano, attraverso successive invenzioni, le stesse strutture antropologiche del mondo reale; per esempio, le strutture della parentela, qui di marca intertestuale. Vi sono cioèfigli, nipoti, zie e cognati che si generano per fenomeni di intertestualità: l'avo nella novella spagnola, l'ultimo Abenceragio nel romanzo francese di qualche secolo dopo. Fecondissima l'intertestualità nel riprodurre personaggi dentro i poemi cavallereschi, dove i personaggi importanti si conoscono tutti da un'opera all'altra come in una cittadina di provincia. Che se poi si aggregano i testi apocrifi, i rifacimenti e le aggiunte, il processo si moltiplica, per stravagante che possa apparire. La omologazione saussuriana di alcuni"personaggi a un segno, in quanto nati dal gioco combinatorio di unità più piccole, vale senza dubbio per alcuni personaggi archetipi che, a detta di Sklovskij, «si trovano nella memoria dell'uomo come gli strumenti nella fucina». Se si sfoglia ancora il Dizionario dei personaggi edito da Bompiani si nota come tenacemente la fantasia ricorra ai cavalieri e alle marchese. Essi si moltiplicano in vari generi letterari narrativi sino alla vertigine, e spesso i fatti narrati nei testi sono meno importanti della funzione o ruolo del protagonista. Non è noto quale sia il più antico cavaliere immaginario né certo chi lo ha creato poteva sapere, mentre ne cantava oralmente le gesta, di stare inaugurando una sì lunga serie, multisecolare danza di immagini. Fatto sta che alle origini uno era il chevalier au lion, un altro il chevalier au cygne, un altro il cavaliere dalla pelle di leopardo, tutti un po' erranti e in qualche modo f alati, anche se suggeriti da un extratesto storico in cui si dibatteva sul problema della Nobiltà e della Cavalleria. Ma i cavalieri capitano in letteratura in tutti i secoli e hanno sempre una funzione di primo piano, sempre potenzialmente caratterizzabili sino al Rosenkavalier di Hugo von Hofmannsthal, musicato da Richard Strauss, sino al modernissimo Cavaliere inesistente di Italo Calvino. Non essendoci quasi nulla di meccanico nella serie, salvo in piccola parte ali'epoca storica della Cavalleria e della sua celebrazione letteraria nelle chansons, si dovrebbe spiegare il perché della fedeltà a certe immaginazioni e raffigurazioni dentro un universo culturale; la strada semiotica, abbastanza lunga da percorrere, partirebbe dalla ricerca dell'«identità» del personaggio «cavaliere» al di là delle varianti contestuali, ma questo significa anche uno scavo nelle strutture sotterranee dell'immaginazione al di là di quelle di superficie, una messa a fuoco della fase avantestuale e non più intertestuale; dove indispensabili sarebbero i contributi della psicologia e della psicanalisi. Tornando alla iteratività del personaggio tipico «cavalie- .s ~ E (::) 'O t: ~ <u .(:) $ 1-----------------------------------------------'--------------------------------'<::s

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