Alfabeta - anno VI - n. 60 - maggio 1984

l'invenzione Per concessione dell'editore Bompiani pubblichiamo qui - d'accordo con gli autori - tre estratti degli interventi preparati per il convegno «Statuti dell'invenzione» (Venezia, 1011 dicembre 1983), che è stato promosso dal Centro di cultura di Palazzo Grassi. (Abbiamo dato notizia del convegno nel n. 57). L'invenzione di Dio. Politica della ricerca, politica della cultura di Jacques Derrida e ome è noto, con Kant e dopo di lui lo statuto dell'immaginazione si trasforma, il che influenza lo statuto dell'invenzione. Alludo a quanto si potrebbe definire (certo troppo rapidamente, troppo sommariamente) come una riabilitazione della immaginazione trascendentale o della immaginazione produttiva, da Kant a Schelling e Hegel. Si potrebbe dire che questa immaginazione produttiva (Einbildungskraft, come Produktive Vermogen, che Schelling e Hegel distinguono dalla Immaginazione ri-produttiva) liberi l'inventiva filosofica e lo statuto della invenzione dalla sog- . gezione a un ordine di verità teologica, o a un ordine di ragione infinita, o a quanto già sempre si trova? Interrompe l'invenzione dello stesso, con lo stesso, e rimette lo statuto alla interruzione dell'altro? Non credo. Una lettura attenta dimostrerebbe che il passaggio attraverso lafinitezza - quale è richiesto da tale riabilitazione - resta un passaggio, certo obbligato, ma pur sempre un passaggio. Tuttavia, non sarebbe lecito concluderne che nulla accade, e che l'evento dell'altro è assente. Quando (per esempio) Schelling si richiama a una poetica filosofica, a una «pulsione artistica del filosofo», alla immaginazione produttiva come necessità vitale della fdosofia; quando, ritorcendo contro Kant proprio ciò che eredita da Kant, egli dichiara che la filosofia deve inventare forme e che «ogni filosofia che si voglia nuova deve aver compiuto un nuovo passo _. nella forma (einen neuen Schritt in der Form)», P" oppure che un filosofo «può essere originale»1 è i molto nuovo nella storia della filosofia. È un evento e una specie di invenzione, una reinvenzione della invenzione. Prima, nessuno aveva detto che un filosofo potesse e dovesse, in quanto tale, dar prova di originalità creando nuove forme. È originale dire che il filosofo dev'essere originale,·essere artista e innovare nella forma, in una lingua e in una scrittura ormai inseparabili dalla verità manifestata. Nessuno aveva detto che l'invenzione filosofica fosse una ars inveniendi poeticamente e organicamente indotta dalla vita di una Lingua naturale. Non lo aveva detto lo stesso Descartes, raccomandando il ritorno alla Linguafrancese come lingua filosofica. Avendone il tempo, avrei cercato di accentuare l'originalità della proposta schellinghiana, e insieme di sottolineare quanto, malgrado tutto, avviluppa taleproposta entro i limiti paradossali di una invenzione dello stesso sotto le specie del supplemento d'invenzione. Giacché, per Schelling, l'invenzione è sempre supplementare, si aggiunge, e in ciò inau- • gura, è un di più solo in quanto completa un tutto, sostituisce una mancanza e quindi completa un programma. Programma ancora teologico, di un «sapere originario» (Urwissen), che è anche un «sapere assoluto», «organismo» totale che deve articolare ma anche rappresentarsi e riflettersi in ogni regione del mondo o della enciclopedia - anche dello Stato, lo Stato moderno, malgrado la concezione apparentemente «liberale» delle istituzioni filosofiche presenti in questi scritti di Schelling. Si potrebbe far trasparire, dalle Vorlesungen di cui ho appena parlato, la logica del quadro (Bild) e della riflessione specularè fra reale e ideale. li sapere totale ha l'unità di una manifestazione assoluta (absolute Erscheinung, invenzione come svelamento o scoperta) realmente finita ma idealmente infinita, necessaria nella sua realtà, libera nella sua idealità. L'invenzione dell'altro, insieme limite e chance di un essere finito, si demoltiplica all'infinito. Ritroviamo così la legge dell'umanismo razionalistico', che in Schelling ci trattiene sin dall'inizio entro la logica spettacolarmente supplementare di un antropocentrismo: «l'uomo, tessere razionale in genere, è destinato dalla sua posizione (hineingestellt) a essere un complemento (Erganzung) della manifestazione del mondo: con la sua attività deve sviluppare ciò che manca alla totalità della rivelazione divina (zur Totalitat der Offenbarung fehlt), perché la natura abbraccia la totalità della essenza divina, ma solo nel reale; l'essere razionale deve quindi esprimere l'immagine (Bild) della medesima natura divina, quale è in sé e quindi nell'ideale»". L'invenzione manifesta è la rivelazione di Dio, ma portandola a compimento la completa. la riflette supplendola. L'uomo è la psyche di Dio, però questo specchio capta la totalità solo supplendo a una mancanza. Specchio totale che è psyche, non rinvii! a ciò che si suol chiamare supplemento Jacques Derrida, Maria Corti, Luigi Malerba d'anima, è l'anima come supplemento, lo specchio della invenzione umana come desiderio di Dio, là dove qualcosa manca alla verità di Dio, allasua rivelazione: «Zur Totalitat der Offenbarung Gottes fehlt». Lasciando che il nuovo sopravvenga, inventando l'altro, la psyche riflette lo stesso, si dispiega come uno specchio per Dio. In questa speculazione, porta anche a compimento un programma. Potremmo verificare questa Logicadel supplemento d'invenzione, al di là di Schelling, in tutta Lafilosofia della invenzione, cioè dell'invenzione filosofica, in tutte le economie politiche, in tutte le programmatiche dell'invenzione, nella giurisdizione implicita o esplicita che valuta e statuisce, oggi, ogni volta che si parla di invenzione. Come è possibile? È possibile? L'invenzione ritorna allo stesso, essa è sempre possibile, da che riceve uno statuto, si fa legittimare da una istituzione e diviene essa stessa istituzione. Perché ciò che si inventa in questo modo è sempre una istituzione. Le istituzioni sono invenzioni, e le invenzioni a cui si dà uno statuto sono a loro volta istituzioni. Come può una invenzione ri-venire allo stesso, come può l'invenire, avvento de/l'avvenire, venire a ri-venire, a ripiegare al passato un movimento che viene definito come perennemente innovativo? Basta che l'invenzione sia possibile, e che inventi il possibile. Allora, sin dall'origine («con la parola con comincia questo testo»'), avvolge in sé una ripetizione, dispiega semplicemente la dynamis di quanto già era qui, insieme di possibili comprensibili che si manifestano come verità ontologica o teologica, programma di una politica culturale o tecnico-scienti/iGiovanni Anceschi. logotipo ca (civile e militare), ecc. Inventando il possibile muovendo dal possibile, si rapporta il nuovo (cioè il radicalmente altro, che può anche essere antichissimo) a un insieme di possibilità presenti, al presente del possibile che garantisce le condizioni del suo statuto. Questa economia statutaria della pubblica invenzione non spezza la psyche, non passa attraverso Lospecchio. E tuttavia la logica della supplementarità insinua nella struttura della psyche una favolosa complicazione, la complicazione di una favola che fa più di quanto non dica e inventa una cosa diversa da quella che dà da brevettare. li movimento stesso di questa ripetizione favolosa può, con un incrocio di caso e necessità, produrre il nuovo di un evento. Non solo attraverso Lasingola invenzione di un performativo, perché ogni performativo presuppone convenzioni e regole istituzionali; ma sviando le regole nel rispetto delle regole stesse per lasciare che l'altro venga o si annunci nell'apertura di questo aperto. È forse ciò che si chiama decostruzione. La performance della Favola rispetta le regole, ma con un gesto· strano, che altri giudicherebbero perverso, mentre accetta fedelmente e lucidamente le condizioni della propria poetica. Un gesto che sfida e mostra la struttura precaria delle regole: pur rispettandole, e con lo stesso contrassegno che inventa. Strana situazione. L'invenzione è sempre possibile, è l'invenzione del possibile, téchne di un soggetto umano in un orizzonte onta-teologico. invenzione di quel soggetto e di quell'orizzonte, invenzione della legge, invenzioni secondo la legge che conferisce gli statuti, invenzione delle istituzioni e secondo le istituzioni che socializzano, riconoscono, garantiscono, legittimano, invenzione programmata di programmi, invenzione dello stesso per cui l'altro torna allo stesso mentre il suo evento ancora si riflette nella favola di una psyche. Così che l'invenzione non risulterebbe conforme al suo concetto, al tratto dominante del suo concetto e della sua parola, tranne quando, paradossalmente, l'invenzione non inventa nulla, quando l'altro non viene a essa, e quando nulla ne è dell'altro. Perché l'altro non è il possibile. Bisognerebbe sostenere perciò che l'unica invenzione possibile è quella dell'impossibile. Ma una invenzione de/timpossibile è impossibile, direbbe l'altro. Certo, ma è l'unica possibile: una invenzione deve annunciarsi come invenzione di ciò che non sembrava possibile, altrimenti si limita a esplicitare un programma di possibili, ·entro reconomia dello stesso6 . Una decostruzione si impegna proprio in questo insieme di paradossi. Siamo stanchi dell'invenzione dello stesso e del possibile, dell'invenzione sempre possibile. Non contro di essa, ma al di là di essa, cerchiamo di reinventare l'invenzione stessa, un'altra invenzione o, meglio, un'invenzione de/- l'altro che, attraverso l'economia dello stesso, cioè mimandola e ripetendola («con la parola con ... ») darebbe luogo all'altro, lascerebbe venire l'altro. Dico proprio 'lasciar venire' perché l'altro è appunto ciò che non si inventa, e l'iniziativa o L'inventiva della decostruzione non possono che aprire, togliere la chiusura, destabilizzare le strutture di farelusione per lasciar passare l'altro. Ma non si fa venire l'altro, Losi lascia venire preparandosi al suo avvento. L'arrivo dell'altro o il suo ritorno è l'unica sorpresa possibile, ma non Losi inventa, anche se per prepararsi a accoglierlo è necessaria una inventiva che sia quanto più ingegnosa possibile. Affermare l'alea di un incontro che non solo non sia più calcolabile, ma pure che non sia un incalcolabile ancora omogeneo al calcolabile, un indecidibile an- o cora travagliato dalla decisione. È possibile? Certamente no, e perciò è la sola invenzione possibile. Ho detto che c'è un momento in cui cerchiamo di reinventare l'invenzione. No, questo istante non può sorgere dalla ricerca, dalla tradizione greca o latina di questa parola, che si ritrova dietro la politica e i programmi della ricercamoderna. Non possiamo neppure sostenere che noi cerchiamo: quanto si profila non è, non è più o non è ancora, il «noi» identificabile di una comunità di soggetti umani, con le caratteristiche di ciò che conosciamo con i nomi di società, contratto, istituzione, ecc. Sono caratteri Legatiproprio a quel concetto di invenzione che va decostruito. Un altro «noi» si dà a questa inventiva, dopo sette anni di disgrazie, lo specchio rotto, il riflesso attraversato, un «noi» che non si trova in alcun luogo, che non si inventa da sé: può essere inventato solo dall'altro, dopo la venuta dell'altro che dice «vieni», e un altro «vieni» che gli risponda credo sia l'unica invenzione auspicabile e degna d'interesse. L'altro è ciò che non si inventa, dunque è l'unica invenzione che ci sia al mondo, la sola invenzione del mondo, la nostra, quella che ci inventa. Perché l'altro è sempre un'altra origine del mondo e noi dobbiamo essere inventati. E l'essere o noi, e l'essere stesso. Al di là dell'essere. Attraverso L'altro, al di là della performance e della psyche di «con la parola con». Il performativo serve ma non basta. In senso stretto, un performativo presuppone ancora troppa istituzione convenzionale per rompere lo specchio. La decostruzione di cui parlo non inventa né afferma, lascia venire l'altro solo nella misura in cui, performativa, non si limita a esser tale, ma continua a perturbare le condizioni del performativo e di ciò che in modo non problematico lo distingue dal constativo. Questa scrittura è passibile del/'altro, aperta all'altro e dall'altro, e internamente travagliata, nello sforzo di non lasciarsi imprigionare o dominare dalla economia dello stesso come totalità, che si fa garante insieme della potenza certa, e della chiusura, del concetto classico di invenzione, della sua politica, della sua tecno-scienza e delle sue istituzioni. Queste ultime non vanno minimamente rifiutate, criticate o combattute. Il cerchio economico dell'invenzione è solo un movimento di riappropriazione di ciò stesso che lo mette in moto, la différance' dell'altro. Una différance che non si riduce né al senso, né a/l'esistenza, né alla verità. Passando al di là del possibile, la différance delta/tra è senza statuto, senza leggi, senza orizzonte di riappropriazione, di programmazione, di legittimazione, non prende ordinazioni dal mercato dell'arte o della scienza, non richiede alcun brevetto, e non ne avrà mai. È quindi assai mite, estranea alle minacce e allaguerra. Ma è percepita come ben più pericolosa. Come l'avvenire, la sola cura che essa reca: lasciar venire l'avventura o l'evento del radicalmente altro. Di un tutt'altro che non può più confondersi con il Dio o_~<!~ l'.Uom.o_Eel-

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