rapporto testo-pubblico, testo-linguaggio, autore-linguaggio, che caratterizzano ogni atto teso alla rottura di codici letterari vigenti e magari alla riformulazione di essi. Tutto questo per dire del difficile e confuso momento del dibattito teorico; per dire della necessità di muovere analisi radicali, diacroniche e sincroniche, dello stato della letteratura e della. critica - analisi che siano capaci di fare correttamente il punto sulle esperienze degli ultimi vent'anni in fatto di metodo critico e tendenza creativa. Se libri come quelli a cui si è accennato hanno il merito, in fondo, di smuovere le acque di acquiescenze culturali, occorre pensare alle circostanze presenti come a quelle che - per vuoto, per disorientamento, per involuzione e per noia - rendono utile e possibile una discussione di prospettiva e di retrospettiva. D ue riviste - una del tutto nuova e una nuova serie di una vecchia e importante testata - giungono a segnalare ulteriormente la necessità di dibattito. Sigma, nella bella veste grafica di Serra e Riva editori, ha iniziato una serie che, se da un lato continua la tradizione dei numeri monografici, dall'altro propone una formula di indubbia originalità: attorno a uno scritto centrale che, in apertura di numero, propone il tema, si affollano scritti di interlocutori chiamati a esporre consensi, dissensi, sviluppi. Nel primo numero di questa serie, Barberi-Squarotti delinea, con Letteratura: un delitto imperfetto, l'ipotesi di un assassinio della creatività letteraria che il potere (politico-culturale) tenterebbe, da sempre, arrogandosi il diritto di strumentalizzare e assoggettare gli scrittori. Alla provocazione dello scritto, tanto più violenta quanto più priva di precise referenze, le risposte sono numerose e vanno dal rifiuto dell'ipotesi «delittuosa» ·(Terracini, Ricciardi, Magris) alla rivendicazione di un destino «mortale» della letteratura (Vattimo, Ulisse Jacomuzzi), alla ricerca di termini più reali e più mediati del rapporto letteratura-cultura-società (Guglielminetti, Gioanola), a sollecitazioni verso zone del dibattito sull'intellettuale in grado di precisare più correttamente il tema: Sartre, Bachtin, Benjamin. Infine anche consensi alle analisi di Barberi-Squarotti, in linea con la sua condanna globale di un indefinito establishment politicoeditoriale-letterario. Nel secondo fascicolo di Sigma ~ .___ • .. ~ à ~ ~ • • ~ sperimentalismo e dinanzi all'esaurimento della tecnica nella pretesa «fluenza» del discorso poetico di tanti - veri o sedicenti - naifs, la pretesa del ritorno a un'austerità della forma è misura che può apparire storicamente adeguata, con una sorta di fascino stoico e aristocratico. I consensi, anche in questo caso, si mescolano ai dissensi. All'autentico richiamo all'ordine di Beccaria, pur in modi diversi, molti rispondono, da Mengaldo a Stefano Jacomuzzi, da Coletti a Silvio a. • •, * I , .-. ,,,. , • --~ 11 L ~ □~- Paolo De Robertis, Giuseppe Monaco, Cassa dei segni ( 1982) - il numero doppio 2-3 - Gianluigi Beccaria propone un'altra provocazione: una lettura delle circostanze attuali della poesia - e un ripensamento, in chiave, della poesia del Novecento - per indivi~ duarvi la necessità di abbandonare ogni tensione sperimentale, di ritornare a una noziorie di «grande stile»: «il rovescio dell'esibita audacia, dell'arbitrio grammaticale, di sperimentalismi. È ricerca di originalità di lingua e di separatezza senza rivoluzione formale. Inserimento in una continuità, il non credere nell'eversione e nella frattura». Anche questa volta la polemica è vivace e anche più accortamente. mirata: decretata la mof1~di ogni Ramat, a Magris; altri, da Erba a Guido Guglielmi, a Macrì, a Luzi, a Sanguineti e Zanzotto (entrambi qui, pur tanto distanti, rispondono in versi), rifiutano la proposta «alta» per dichiararne o l'inadeguatezza storica o l'ambiguità normativa o per tentare di sostituirle più caute, empiriche categorie critiche. S . u tutt'altro versante il nuovo quadrimestrale, dal titolo dantesco L'ombra d'Argo, -che Mile.lla pubblica con la dire- ~ione di Romano Luperini e Carlo Alberto Madrignani, «per uno studio materialistico della letteratura». I saggi raccolti - qui vari, scanditi in commenti, note, interviste, inediti e rari, recensioni - sembrano tutti muoversi nella direzione di una analisi dell'«opera d'arte nella sua proiezione ideologica e nella materialità del suo processo», in un'ottica che tende ad allargare il suo campo visivo sia al piano teorico, sia a quello della specificità testuale, sia a problemi della circolazione e fruizione del prodotto letterario. L'analisi condotta da Ferretti sul mercato culturale; le letture dedicate da Luperini a Montale, da Bettini a Sanguineti, da Bugliani a Fortini; le riflessioni di Cesare Segre sulla semiotica lotmaniana, e di Velio Abati sulla critica testuale di Agosti; la densa intervista di Franco Petroni a Francesco Orlando a proposito della sua critica freudiana - sono tutti interventi orientati a trovare costanti inscrizioni del testo: a contestualizzarlo nella storia della cultura, nelle dinamiche dell'antagonismo sociale e culturale, nell'economia dei processi produttivi e distributivi. E la proposta di scritti inediti e rari - che si apre qui con tre lettere di Gadda a Silvio Guarnieri, presentate da Marcello Carlino e Francesco Muzzioli - vuole essere ovviamente l'indicazione di percorsi letterari da ricostruire come tracce di una tradizione riconducibile a esperienze presenti o a progetti che propongano un futuro. A lcune considerazioni dinanzi a queste proposte diverse, a tali contrastanti «faziosità». Mi sembra che, ne L'ombra d'Argo, la centralità dei lavori di Luperini, Bettini, Segre, e dell'intervista a Orlando, la si possa misurare nella doppia prospettiva a cui essi si aprono: analisi critica nei primi due casi che rivela anche una proposta teorica (un «significato» socializzabile in Montale, una «scrittura materialistica» in Sanguineti come «quotidianità della poesia nella forma della citazione parodica e grottesca»); rilettura di categorie teoriche strutturate a recuperare valori diacronici all'interno di un sistema semiotico (la tipologia della cultura di Lotman); affermazione, nel freudismo di Orlando, di quanto «la datità di un oggetto letterario sia infinitamente ricca, complessa» e quanto la lettura analitica debba docilmente accostarsi al testo per essere realmente «attiva» e conoscitiva. Tutte queste ipotesi, come si vede, si pongono tra una rilettura della tradizione, recuperandone filoni privilegiati (è stata questa, mi sembra, una peculiarità di molti progetti letterari nati sulle pagine di grandi riviste novecentesche), e una organizzazione dei dati critici e teorici di questa rilettura nella lunga prospettiva di una eventuale, nuova, formulazione dello statuto letterario. Se i temi proposti sulle pagine di Sigma possiedono senz'altro capacità di provocazione, mostrano, in queste prime prove, come i dibattiti, totalmente organizzati attorno alle radicali prospettive di un singolo intervento, siano spesso condizionati dalla necessità, da parte degli altri int.erlocutori, di definire i termini, autonomi, del proprio discorso. Ciò produce spesso un'ambiguità nel consenso e nel dissenso, la frammentarietà di una possibile progettualità teorica. Il procedimento non immediatamente programmatico ma teso a far scaturire da analisi testuali, o da discussioni di problemi specifici, indicazioni generali di teoria della letteratura, ne L'ombra d'Argo si offre immediatamente, a mio parere, come utile avvio di quella riflessione sull'odierno statuto della letteratura, auspicata anche in alcune pagine scorse di Alfabeta. Le identità del prodotto letterario e dell'analisi critica del prodotto stesso sono circoscritte dall'episteme di un'epoca storica: il problema, dopo storicismo e formalismo, appare sempre più quello di scioglier~ il rapporto tra questi due poli, «misurare» la figura interna per ricavare quella esterna. Glianni controi 70 r,... .... Walter Pedullà Miti, finzioni e buone maniere di fine millennio Milano, Rusconi, 1983. pp. 333, lire 25.000 Francesco Muzzioli Teoria e critica deUa letteratura neUe avanguardie italiane degli anni ~ta Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1983 pp. 265, lire 12.000 e i sono libri intempestivi (nel senso delle nietzscheane Unzeitgemiisse Betrachtungen, naturalmente) e appunto per questo puntualissimi: scritti contro l'epoca eppure capaci di situarsi nel tempo in modo giusto, proprio in grazia della loro maleducata ~orrettezza. Possono cadere su un terreno prodigo o su un terreno avac:s ro: in ogni caso, aggiungeranno .5 ~ elementi di arricchimento o corro- ~ boreranno un dissenso critico co- i munque fruttuoso. -. Direi che gli anni (anche «cultu- .9 rali», anche «letterari») che stiamo ~ vivendo con un atteggiamento il E più possibile intus/extraletterario, e 10 appunto, con fredda nevrosi e tutte le carte giocate sul presente co- ~ me massimo di utopia, non posso- ~ no che permettere libri di teoria/ :::.. c:s critica letteraria della seconda specie. E difatti, dopo (e contr9) il vuoto di riflessione che ha prodotto un gran banco di nebbia-spray su troppe zone del paesaggio degli anni settanta, arrivano appunto con impeccabile tempestività e necessità. Usciti di recente, ecco Miti, finzioni e buone maniere di fine millennio di Walter Pedullà e Teoria e critica della letteratura nelle avanguardie italiane degli anni sessanta di Francesco Muzzioli: due interventi che potrebbero dirsi quasi complementari, nel senso che entrambi, malgrado le differenze di . costruzione «specifica» (eminente-. mente critico il libro di Pedullà, eminentemente teorico il libro di Muzzioli), risultano contributi non· archeologici ma interni al dibattito o al quadro di possibilità di una sua ripresa, sulla linea di una tensione «militante» a favore di una· letteratura di ricerca, non ripetitivo-celebrativa, in cui il testo implichi il massimo di autonomia specifica e il massimo di storicità. Tutt'e due i libri operano in aree di riflessione critica e teorica contigue, e soprattutto interessate a metodologie e pratiche di sàittura che con termini probabilmente alquanto usurati continuiamo ·adefinire «d'avanguardia» o «sperimentali». Certo è che sia Miti, finzioni e buone maniere che Teoria e critiMario Lunetta ca avanzano con nettezza un'opzione di rifiuto della produzione industriale e commerciale che attualmente domina il mercato delle lettere, e contrappongono - sia in termini generali che sul terreno della testualità più puntigliosa - una sorta di progetto implicito di resistenza alla volgarità del consumo di fiction. Paolo De Robertis, Giuseppe Monaco, Cassa dei segni. un utilizzo Un'eccellente ricostruzione teorica Il libro di Francesco Muzzioli «corre volentieri il rischio, non della nostalgia, beninteso, ma dell'inattualità e dell'anacronismo», dal momento che la tesi che sostiene è che «le basi teoriche per eiaborare una nuova idea della letteratura sono da cercare, ancora, tra i nodi e i problemi discussi e lasciati aperti dai 'sessanteschi'. Ciò non vuol dire che dopo non sia accaduto nulla, ma· soltanto che il dopo ha, nella sua principale tendenza,· preteso di scavalcare quel nuovo terreno, di occultare e rimuovere quei nodi e problemi, senza, non dico risolverli, ma affrontarli; finendo, come era inevitabile, per rimbalzare sul vecchio terreno». Nessuna archeologia, nello studio di Muzzioli; nessun gusto nostalgico, nessun accademismo rétro: ma piuttosto l'esigenza di «presentificare» il dibattito sull'avanguardia, sottolineando, nel confronto con la povertà teorica che ha accompagnato le cosiddette «nuove» proposte (specialmente poetiche) degli anni settanta, l'importanza che rivestì nel decennio precedente l'autocoscienza letteraria e «il conseguente sviluppo degli apparati critici e metodologici». Il taglio della ricerca di Muzzioli denuncia drasticamente le proprie intenzioni, anche in ordine a un progetto «di risposta» polemica a quanti ancora insistono sulla pretesa carenza di opere creative prodotte dalle nuove correnti di «avanguardia». In realtà, 1 testi esistono e possiedono una loro consistenza e resistenza al tempo proprio in virtù del background teorico che li sostiene. È noto tra l'altro - né deve suonare come mozione giustificativa, in tutti i casi superflua - come la stessa nuova avanguardia avesse messo in bilancio, programmaticamente e provocatoriamente, anche una possibile carenza di grandi opere·, privilegiando nei confronti dei risultati individuali la formazione di un humus collettivo, interdisciplinare e multimediale. Ecco le ragioni per cui lo studio di Muzzioli si muove rigidamente sulla piattaforma di scelta della prospettiva· teorica, tenendo solo di rado conto dei testi: e, quasi sempre, per trarne indicazioni di poetica implicita. Quindi, Teoria e critica percorre la via della discussione, innanzi tutto riportando alla memoria le.direzioni del dibattito. «In questa messa in scena - scrive Muzzioli - si è cercato ( ... ) di rispettare la pluralità delle voci, dando la parola per uno spazio sufficiente a ciascuno, e additando, se necessario, problematiche affini e riferimenti ulteriori», tanto che «sarebbe auspicabile che ogni lettore potesse attraversare il libro come un bazar, per scegliersi ciò che gli serve ed uscirsene, se vuole, con la sua avanguardia sotto il braccio».
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