Il casocentroamericano Gert Rosenthal L'evoluzione recente delle economie centroamericane Commissione economica delle azioni unite per l'America Latina (Cepal) Seminario sulle imprese multinazionali (San José, ottobre 1982) Bollettino Demografico Centro latino americano di demografia. Proiezioni degli indici di occupazione nei paesi centroamericani Santiago del Cile, gennaio 1982 Robert E. Fox La situazione della popolazione mondiale con particolare riferimento ai paesi ddl' America Latina (San José, Icap. maggio 1983) Pensamiento Iberoamericano rivista dell'Instituto de Cooperaci6n Iberoamericano dal luglio 1982 D ai discorsi che il presidente Reagan ha pronunciato verso la fine dell'83 per giustificare l'accresciuto impegno in America Centrale e nella regione dei Caraibi emerge come elemento prioritario l'importanza strategica che questi paesi rappresentano sia per la sicurezza degli Stati uniti sia per il modello politicoeconomico che essi sostengono. Il tema, a dire il vero, non è nuovo, sebbene venga presentato in un momento di particolare attivismo da parte dell'amministrazione americana sul piano del confronto planetario con la superpotenza sovietica. L'enunciato kennediano della «Alleanza per il Progresso», che stabiliva i confini ideologici della nuova frontiera, già proponeva dei modelli avanzati di interdipendenza Nord-Sud che nella versione odierna vengono riletti, se vogliamo dir così, «da destra». Inoltre, l'impegno verso una attivazione e integrazione delle economie latino-americane, accompagnata da forti aperture di credito da parte degli organismi finanziari internazionali negli anni sessanta e settanta, non escludeva l'intervento militare nel Vietnam, dove la situazione sfuggiva al controllo strategico. Ma, per tornare al caso dell'America Centrale, dobbiamo osservare come alla radice della crisi at-· tuale si trovino appunto le contraddizioni ingenerate da quella corsa allo sviluppo che negli anni sessanta ebbe inizio. on vi sono certo motivi ragionevoli per pensar<!che gli americani desiderino o abbiano desiderato lo sradicamento degli indigeni o l'impoverimento delle classi medie che si sono formate intorno alle fragili (ma già elefantiache) strut- ~ ~ ture statuali di queste repubbliche; -~ sta di fatto che i processi scatenati dalle iniziative sia pubbliche che private nel campo dello sviluppo economico non sono stati in grado ~ ...... =::: .._ di controllare i processi degenera- ~ °' lr) tivi del tessuto sociale. mentre in certi casi ne sono stati addirittura la causa. Ne risulta implicitamente il fallimento del progetto ambizioso di integrare le economie e le società in un sistema di libero scambio accompagnato da una crescita del prodotto nazionale lordo (pnl) da un lato, e dalle condizioni di vita degli strati maggioritari della popolazione dall'altro. Il «sogno americano» si è così rivelato non esportabile, almeno a breve termine, in questi paesi. Al fine di fornire alcuni elementi di valutazione sulla crisi attuale dell'istmo centro-americano ci siamo proposti di compiere un breve viaggio ragionato attraverso le cifre fornite in questi ultimi anni dalle Nazioni unite quali emergono dalle pubblicazioni della Commissione economica per l'America Latina (Cepal) e del Centro latinoamericano di demografia di Santiago del Cile1 • P rendiamo in esame alcune caratteristiche cruciali che hanno segnato le economie dei paesi centro-americani a partire dal decennio degli anni settanta. Assistiamo, in primo luogo, a una crescita media di circa il 5,6 per cento annuale del pnl, quindi a un deciso decollo verso lo «sviluppo»; da un lato, ciò significa un cambiamento radicale per questa regione, tradizionalmente caratterizzata da un mercato interno ridotto e dalla vocazione a esportare un numero limitato di prodotti agricoli su base monoculturale. Questo comporta anche un processo di «modernizzazione» associato a un certo sviluppo delle infrastrutture e delle telecomunicazioni. Sul piano sociale, tuttavia, ciò dà origine al formarsi di un ridotto nucleo di proletariato operaio, a un'espansione delle classi medie che trovano collocazione prevalentemente nel settore della pubblica amministrazione e dintorni, ed a un impoverimento progressivo di vasti strati della popolazione sia rurale sia rurale-inurbata. I dati forniti dalla Cepal fino al 1980ci parlano, per molti paesi, di un 50 per cento della popolazione che vive in condizioni catalogate come di «estrema indigenza». Per avere un'idea di cosa ciò significhi, basti ricordare che il limite superiore per il reddito annuo pro capite corrispondente a tale indicatore è stato monetizzato, per convenzione internazionale, al livello di 100 dollari. Ci troviamo perciò in presenza di una crescita economica globale mai conosciuta precedentemente da questi paesi, dalla quale deriva tuttavia uno sconvolgente e iniquo processo di emarginazione sociale. In termini di disoccupazione dichiarata, i dati superano ormai, in molti paesi, il 15 per cento della forza-lavoro, mentre secondo alcune valutazioni la sottoccupazione raggiungerebbe livelli fra il 40 e il 50 per cento. Inoltre, come vedremo affrontando il problema demografico, la popolazione della regione è passata dagli 8,3 milioni del 1950ai 21 milioni del 1980,con una stima di 39 milioni per la fine di questo secolo. Un simile processo di sviluppo economico è destinato a mettere in movimento una dinamica sociale del tutto nuova. Abbiamo già accennato al formarsi di un ridotto proletariato urbano a cui si accompagna il sorgere nel settore rurale Giuseppe Maglia di organizzazioni sindacali, nate in concomitanza con una tendenza alla diversificazione delle colture destinate alla esportazione. Contemporaneamente, emergono importanti movimenti cooperativi che si sviluppano anche sotto l'egida dello Stato. Un caso particolarmente significativo è quello di Costa Rica, unico paese della regione con una tradizione democratica fondata sulla prassi dell'alternanza del potere. D'altra parte, la pressione inflazionistica che si origina proprio durante gli anni settanta dà origine alle prime rivendicazioni, creando un nuovo fattore di aggregazione di strati sociali intorno a questi organismi. È quindi spiegabile il sospetto e l'ostilità che questi fenomeni destano nelle classi dominanti, dando luogo non di rado a forme di rigida repressione. Il fenomeno già menzionato della diversificazionedelle colture fa par- - fenomeno questo ben noto in viati. Tra i principali, basti mentutti i paesi in via di sviluppo, i zionare la differenziazione dei coquali paradossalmente pagano in sti-benefici derivanti a ciascun termini di deficit della bilancia dei paese membro, i naturali conflitti pagamenti gli sforzi per uscire da sorti dalle politiche economiche un modello di economia di pura nazionali_ in_oontrasto- èon gli esportazione di materie prime e cli -obiettivi comunitari, le pastoie dedipendenza dall'esterno per i beni rivanti dall'inefficienza dell'ammidi consumo: un vero e proprio cir- nistrazione pubblica. A tutto ciò colo vizioso. Abbiamo così i se- va aggiunto il sorgere di una conguenti coefficienti di importazio- flittualità su scala regionale a parne: 15 per cento del pnl nel 1950, tire dal '69 con la guerra fra El 20 per cento nel 1960, per passare Salvador e l'Honduras per arrivare al 47 per cento alla fine del decen- a tempi più ravvicinati segnati dalnio degli anni settanta, in cui la la rivoluzione sandinista in Nicarasituazione si aggrava a causa del- gua e dal radicalizzarsi e estenderl'estrema dipendenza di questi si della gtrerriglia nel Salvador. paesi dalle importazioni di prodot- Le cifre riguardanti le economie ti petroliferi. centro-americane sarebbero di per Il crescente deficit di parte cor- sé poco indicative se trascurassimo rente della bilancia dei pagamenti il contesto demografico, e in modo regionale viene pertanto sostenuto particolare le proiezioni statistiche dagli apporti di capitale sia pubbli- sulla crescita della popolazione, co sia privato. In quest'ultimo caso da un lato, e sullo sviluppo della il ruolo delle multinazionali divie- forza-lavoro, dall'altro. ne via via più importante: basti Intanto vale la pena ricordare come l'America Latina nel suo complesso e l'Àmerica Centrale in particolare si trovino in testa per quanto riguarda gli indici di crescita della popolazione mondiale; i 353 milioni di latino-americani censiti nel 1980 sono «proiettati» (sempre rispettando l'evoluzione attuale dei tassi di crescita) a 664 milioni del 2010 e a 845 milioni nel 2025 con un incremento del 139 per cento. Se confrontiamo quest'incremento con quello del resto del mondo in via di sviluppo, abbiamo per quest'ultimo solo un 107per cento; lo stesso indice per i paesi industrializzati (socialisti inclusi) è ridotto al 22 per cento. Marie Hélè11e8011asso Ciò sembrerebbe confermare le tesi allarmanti molto diffuse negli anni settanta dall'uso ricorrente dell'espressione «esplosione demografica», le quali diedero comunque impulso a importanti iniziative, soprattutto internazionali, volte a ridurre i tassi di natalità. In effetti i tassi di natalità sono ormai in fase calante in America Latina e in particolare in Messico e America Centrale; tuttavia, la popolazione nel suo complesso continuerà a crescere secondo gli indici sopra indicati. te di una più generale evoluzione strutturale di queste economie, che in breve si trovano coinvolte in un processo di diversificazione delle esportazioni, sia per la destinazione geografica delle medesime sia per l'abbandono progressivo della monocultura in campo agricolo e per lo sviluppo in campo industriale di produzioni sostitutive dei tradizionali beni importati. In proposito le cifre parlano chiaro: mentre nel 1950le esportazioni dipendevano per un 80/90 per cento da un solo prodotto (non a caso fu coniato ·1•appellativodi 'banana republics'), questa percentuale è scesa nel 1980al di sotto del 50 per cento. Contemporaneamente assistiamo a un incremento globale delle esportazioni che va dai 325milioni di dollari nel 1950 ai 500 milioni nel 1960, ai 1300 milioni nel 1970 per arrivare ai 4800milioni nel 1978; il che vuol dire un incremento di quasi quindici volte in ventotto anni. A sottolineare ulteriormente i cambiamenti verificatisi nel tessuto sociale, stanno i dati della partecipazione relativa della produzione industriale (in termini percentuali del pnl) che passa dal 12,9 per cento nel 1960al 15,6 nel 1970. D'altro canto, a monte delle politiche di decollo industriale e di diversificazione della produzione agricola, si verifica un forte aumento delle importazioni sia di beni di consumo che di materie prime, semilavorati e beni da capitale pensare che fra il 1960 e il 1970 il valore contabile degli investimenti stranieri si è duplicato e torna a duplicarsi ulteriormente fra il 1970 e il 1976, superando in quest'ultimo anno i mille milioni di dollari. A completamento di questo quadro, interviene il rapido aumento del debito pubblico esterno che da livelli trascurabili nel 1950 passa a circa 3000milioni di dollari alla fine del 1977, per raggiungere -i 7600 nel 1981. L a situazione che emerge da queste cifre rappresenta un tipico esempio di «sviluppo» su scala regionale, ed è quindi facile intuire l'importanza «strategica» delle conseguenze che ne derivano non solo per l'America Centrale, ma anche per tutte quelle aree geografiche del Terzo Mondo accomunate dal problema dell'iotegrazione economica. Fu infatti la costituzione del «mercato comune centroamericano» il motore dello sviluppo industriale della regione. Questa nuova forma di cooperazione commerciale fra paesi che prima del 1960 si potevano considerare economicamente isolati e dipendenti dalle esportazioni di materia prima, in poco tempo riuscì a creare una zona di libero scambio piuttosto efficiente. Tuttavia presto intervennero ostacoli di natura sia politica sia economica a frenare un processo verso cui questi paesi si erano avQuesto comportamento apparentemente contraddittorio dei fenomeni 'natalità' e 'incremento della popolazione' trova la sua spiegazione nella composizione prevalentemente giovanile di questi paesi. Prendiamo il caso del Messico: nel 1960 le donne in età fertile erano circa il 31 per cento di tutta la popolazione femminile, e nello stesso anno l'indice di natalità fu del 45 per 1000 della popolazione. Nel 1980 l'indice di natalità era sceso al 36 per 1000, tuttavia la popolazione femminile in età fertile era cresciuta al 38 per cento; ricordiamo che le donne ventenni del 1980sono esattamente il risultato del più elevato indice di natalità del 1960. La tendenza a un alto numero di nascite ·sarà quindi persistente ancora per lungo tempo (i dati demografici lo prevedono fino al 2020), sebbene di fatto ogni donna singola avrà in media un numero sempre minore di figli. È appunto solo per il.2020che prevediamò una vera inversione di tendenza con una diminuzione della popolazione accompagnata da tassi decrescenti di natalità; solo allora i messicani (e con essi i centro-americani) po-
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