e: ca o e: ~ •edizioni costa & nolan ca I • ~ (.) I turbamenti dell'arte collana diretta da Germano Celant Viro Russo Lo schermo velato L'omosessualità nel cinema I turbamenti dell'arte lo schermo 16310 t.:cmisessualrtà nelcnema VrtoRusso pp. 336 135 ili. L. 24.000 pubblicati nella stessa collana Andy Warhol La filosofia di Andy Warhol pp. 200 L. 15.000 Dick Hebdige Sottocultura • Il fascino di uno stile innaturale pp. 160 L. 12.000 Standish Lawder Il cinema cubista pp. 256 104 ili. L. 18.000 Reyner Banham Los Angeles L'architettura di quattro ecologie presentazione di Vittorio Gregotti pp. VI, 246 138 ili. L. 18.000 Calvin Tomkins Vite d1avanguardia John Cage Leo Castelli Christo Merce Cunningham Philip Johnson Andy Warhol pp. 256 34 ili. L. 20.000 Edizioni Costa & Nolan Via Peschiera 21 16122 Genova Tel. 873889 Distribuzione in libreria Messaggerie Libri ni dei ricercatori del primo Novecento. Resta fuori da questa panoramica circolare; che necessariamente contiene anche l'opera di Isadora Duncan, tutta la sfera che riguarda la nuova danza. Qui, la Duncan rimane un modello soprattutto per ciò che non ha realizzato o che indirettamente non ha concesso a altri di realizzare. Con la differenza, sostanziale, che Isadora danzava la sua esperienza di vita, i suoi traspo~ti interiori soprattutto alla ricerca di un nuovo movimento, di una nuova tecnica, mentre i solisti di oggi danzano la loro tecnica, il loro respiro, la loro preparazione corporea quasi alla ricerca di una nuova vita per la danza. Infatti, il linguaggio odierno non ha più, apparentemente, delle preclusioni; la tecnica sembra non avere più nulla da scoprire. Dun- , que, la funzione del solista non è più, propriamente, di ,rottura. Egli, anzi, non ha più funzione se non quella di forzare la mano sulle sue utopie, di puntare sull'irripetibilità del suo gesto e di farsi guardare. Proprio questa prospettiva, tuttavia, sembra essere tra le più ardue. In una panoramica di danza istituzionale o comunque molto reticente a affrontare le problematiche più scottanti della ricerca e le più nuove, la mancanza di un ruolo per il solista, di una dimensione storica soprattutto oppositiva, è un assillo che riguarda esclusivamente i diretti interessati, troppo spesso scollegati, tra l'altro, dal mondo della cultura. Sulla scena nazionale e internazionale, intanto, i solisti diminuiscono o arrivano a cicli, sospinti dall'onda delle varie «scoperte» culturali che poi-· almeno da noi inesorabilmente - si spengono senza lasciare tracce, né tempi per analisi che possano effettivamente seguire gli sviluppi delle loro ricerche. E non è detto che questo pronto consumo, questa macerazione repentina di certe proposte di danza, non influisca anche sul lavoro dell'artista condizionandone, suo malgrado, scelte e direzioni. Ef emblematico, ad esempio, il fatto che l'ultima generazione di creatori americani affermatisi alla fine degli anni settanta abbia evitato la fase della ricerca solitaria. Danzatori di scuola «new dance» come Molissa Fenley, Charles Moulton, persino Karole Armitage, si sono più o meno indirizzati verso lfi coreografia per gruppo, che maggiormente garantisce un inserimento nel mercato. Anch<?solisti raffinati e potenzialmente eterni come Dana Reitz o Jim Self, che lavora ora al seguito di Robert Wilson, hanno scelto la coreografia per collettivi. Segnalare queste trasformazioni in atto. non significa, naturalmente, sminuire a priori l'importanza delle produzioni. Sta di fatto, però, che per alcuni artisti citati il lavoro creativo di gruppo difficilmente rompe una continuità rispetto alle matnc1 formative. Cambiano, naturalmente, filosofie e estetiche, restano molte immagini conosciute, purtroppo elaborate frettolosamente. Di qui, lo stato di impasse e di crisi che perdura sul versante della ricerca americana. Diversa la situazione in Europa: in Germania, in Francia, in Italia, in Inghilterra, molti solisti lavorano in e per compagnie senza rinunciare, almeno per ora, a una sperimentazione personale. Ciò che è emerso, ad esempio, dagli ultimi progetti tedeschi, definiti tutti (forse affrettatamente) «neoespressionisti», è soprattutto la ricerca di Reinhild Hoffmann e quella di Susanne Linke: si può dire che la specificità dei loro progetti sia, anzi, riassuntiva delle ultime tendenze della «solo dance» europea. Da una parte (Hoffmann) una tensione nuova, pur nella continuità di°una tradizione culturale, dall'altra (Linke) una tradizione .di danza rispettata, in un contesto rinnovato. La Hoffmann punta a radicalizzare al massimo il suo gesto (Solo mit sofa, Bretter, Stein), a spogliarlo di ogni connotazione tecnica. Esprime una danza di pura energia, contenuta, parziale, entro il campo d'indagine della performance, per un messaggio che quasi sempre si appiglia all'immaginario femminile colto nell'atto delle sue frustrazioni psicologiche e di ruolo. Come poi riesca a trasmettere questi significati mediandoli con l'uso specialissimo di oggetti (le pietre, la croce, il divano, l'abito), è altrettanto emblematico di un tipo di danza solista non astratta che si avvicina al mondo non per rappresentarlo, ma per enfatizzarlo. Ad esempio, la danza di Valeria Magli. Al pari della Hoffmann, la danzatrice italiana lavora sull'energia e su significati preordinati: la seduzione, l'ambiguità della presenza scenica, eros e thanatos. Anche qui non è riconoscibile, tranne in alcuni interessanti esempi di studio sul tip tap (Banana Lumière), una tecnica di danza. Il corpo lavora in sospensione. La sua energia è omogeneamente distribuita, perciò non ha strappi, né scariche discontinue di forza come per la Hoffmann, e la sua gestualità è sempre miniaturizzata quando non si perde nella più completa fissità. È da notare che su questa linea «energetica» si collocano, con le diverse specificità culturali e estetiche, anche gli ultimi danzatori solisti giapponesi trasferitisi in Europa, come Carlotta Ikeda e Ko Morobushi. L'impostazione di base del loro lavoro è di danza «an- ~okubuto» (o danza delle tenebre) ma, per l'una e l'altro, è in corso un progressivo superamento almeno delle componenti più riconoscibili e assodate di questa tecnica. L'energia, tutta introiettata, trattenuta nelle vene pulsanti a fior di pelle sotto il velo di polvere bianca che appiattisce ogni tratto del volto e del corpo, si distende e si calibra. Non più mani rattrappite o gambe semipiegate: il solista giapponese (Shiro Daimon, per fare un altro esempio) incomincia a giocare con il suo piccolo corpo e con gli oggetti, cullato da un ritmo interno che vuole dimenticare la cattività, la violenza distruttiva del primo «ankokubuto» (una danza dai connotati fortemente ideologici, una danza di rivolta sociale), per avvicinarsi al pulsare libero e caotico del free jazz. A queste radicali ricerche di «solo dance» esemplificate lungo uria linea di tendenza che raccorda la nuova danza europea alla nuova danza giapponese, occorre affiancare una serie di progetti che non prescindono affatto, né superano le tecniche di danza tradizionali. L'interesse di questi lavori consiste nel dispiegamento delle qualità interpretative del danzatore e nella messa a punto del suo obiettivo spettacolare. Così, a differenza di Reinhild Hoffmann, Susanne Linke cerca il movimento ampio e aperto della «modem dance» americana (spunti dalla tecnica di José Limon), entro una cornice di significati che appartengono di diritto all'area neoespressionista tedesca: lo specifico femminile, la denuncia femminista. Ma nel suo progetto le contraddizioni sono molte; il linguaggio non sembra maturato sino in fondo, il rapporto cori la componente sonora rivela molte incertezze. La poesia di Valeria Magli, il silenzio della Hoffmamf; persino il rock camuffato dei solisti giapponesi e l'amatissimo Satie, sono spunti per riflessioni ben più aggressive e destabilizzanti che non i tappeti sonori emotivamente e casualmente collaudati dalla Linke. Eppure, laddove esiste una riconoscibilità tecnica, una riconosciuta metodologia di intervento (rapporto corpo-spazio-musica); il solista ha più garanzie di inserimento. Perciò stupisce che talvolta si verifichino fenomeni del tutto inattesi come il manifestarsi di atteggiamenti radicali da parte di danzatori appartenenti o fuoriusciti da normali compagnie di balletto. Certo, più sulla linea di Susanne Linke che non della Hoffmann o della Magli, la tedesca d'adozione Ilka Doubek, già prima ballerina nel Balletto di Amburgo, illustra nella sua Solotanz-Abend la vita e i costumi del mondo professionale della danza senza dissimularne gli aspetti ingrati: le interminabili ore di lezione, i rituali di scena (trucco, abbigliamento), il sorriso stereotipato nell'esecuzione degli esercizi più difficili e dolorosi. La cornice è ancora tradizionale, ma per questa solista ci potrebbero essere sviluppi interessanti, sempre che esistano possibilità di collaudo. Ciò che forse non è stato ancora sufficientemente chiarito a proposito della «solo dance» è che essa, anche nei casi più radicali, ha veramente poco da spartire con la «body art». Il solista non mostra il suo comportamento, ma lo costruisce in progressione e per accumulo di esperienze: gli è indispensabile una produzione continuata e una giusta collocazione. In Italia, dove si ama etichettare tutto con grande velocità, dove si confondono gli specifici dell'ultimo teatro e della nuova danza e si coniano definizioni vaghe e inesatte («nuova coreografia» per i ciondolanti tentennamenti di perform~s che non hanno alcuna preparazione, né formazione di danza), capita di ritrovare ricercatori coccolati con grande curiosità nella sfera del nuovo teatro e ignorati nel settore specifico della danza. È il caso di Enzo Cosimi, solista d'elezione, coreografo di un gruppo anche di non-danzatori, decisamente interessante per l'uso attorale del corpo (specie in Stato di grazia), per la molteplicità e ridondanza dei gesti e il bagaglio narrativo che sottintendono, per il getto di energia dispiegata, travolgente, messa a disposizione di un racconto sincretico dove la danza, di matrice classica, fagocita ogni suggestione teatrale. E ancora è il caso di Valeria Magli, le cui miniature di movimento suscitano la perplessità di taluni critici di balletto circa il loro essere o non essere danza. Eppure, è a questi solisti, a Reinhild Hoffmann e, sul versante americano, a Dana Reitz con le variazioni strutturali delle Three So/odances, che dobbiamo attimi intensi e crudi: testimonianze effimere, ma sicure per la «solo dance» del futuro. Maurizio Cucchi dizionario della • poesia italiana "Un libro utilissimo che ha il grande pregio di far dimenticare la propria utilità." (li Messaggero - GiovanniRoboni) "__u_n'audacia del compilatore consiste nel tentativo di ricuperi impreveduti e lontani; le citazioni testimoniano non di rado una finezza d'orecchio_" (li Giornale - CarloLaurenzi) ARNOLDO MONDADORI EDITORE h@m•@ Collana cirettadaFERRUCCIOIIASINI karljaspers leonardof11osofo a cura di rerruccio masini georgheym racconti e sogni a cura di fernanda n,sM) chioso metaphorein 9 Aaancllll-,loe.-J LE aJlllJRE DEll'APOCAUSSE ~M.[MNCJu.'lfboloFadlnl-Snp,Q,dado Gim!Jk,Agu,,bn,,f'nDCGRella-Fnma, l'anGùa.-"'----MidlelaNacd-~'Pdlic.aSuglo Glwine-h-ocwrn Bhu,i-~ùbalari AchilRBm>itoOliva-FDbnoMenaa-SO--z.ai .... -----------.-~--, 11 ~
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