Aurelio M. Milloss Discorso sull'evoluzione storica del balletto io Italia alla I Conferenza nazionale sulla Danza (Fiuggi) Alberto Testa L'evoluzione della danza teatrale nel Secolo ventesimo in Il balletto del ovecento Roma, Eri, 1983 lire 40.000 Isadora Duncan La mia vita Roma, Savelli pp. 312, lire 15.000 Reinhild Hoffmann Solo mit sofa, Bretter, Steio (1981) Valeria Magli Banana Lumière (1981) Dka Doubek Solotanz-Abend (1983) Enzo Cosimi Stato di grazia (1983) E, possibile osservare la storia della danza occidentale, a partire dall'era moderna sino a oggi, come lo snodarsi di una lunga teoria di nomi che indicano precise forme e poetiche di danza. Più frantumata di ogni altra storia d'arte perché ha a che fare con quelle unità caduche e incoerenti che sono i corpi, la storia della danza assegna a ogni nome una sfera d'incidenza molto circoscritta, che difficilmente arriva a configurarsi in «scuola» (l'unico nome che nell'Ottocento designa automaticamente una scuola e uno stile è quello del danese August Boumonville). Saranno poi la storiografia e la critica a creare queste scuole, a collocare ogni nome in una tendenza, a giustapporlo a altri nomi - individuando le influenze subite e. irradiate con i procedimenti comuni alle diverse discipline artistiche, ma ancora scarsamente illuminanti come metodi e approcci (genericamente di stile tecnica e linguaggio) per una storia pressoché sconosciuta come quella della danza, che non si insegna nemmeno nelle scuole. Tuttavia, anche il più sprovveduto degli osservatori, con una enciclopedia alla mano, potrà notare che dal Quattrocento a oggi sono assai diverse le definizioni dei nomi che la storia della danza ci ha tramandato. I grandi del Quattro, Cinque e Seicento sono teorici e pensatori di danza; in questi secoli si compie definitivamente il processo di formalizzazione della prima teoria e pratica di danza teatrale: la «danse d'école». A partire dalla seconda metà del Settecento fino a tutto l'Ottocento, invece, si rivelano nomi di coreografi e mae- """> stri con una decisa affermazione l::s .5 degli interpFeti (soprattutto fem- ~ minili), dovuta alla nascita e allo ~ sviluppo del balletto romantico ~ teorizzato da intellettuali estranei ..... ~ alla pratica del balletto (di qui ,._ l'importanza dell'interprete come ~ trnduttore di un'ipotesi, di una °' ~ ispirazione, di una leggenda). ::.- L'affermazione degli interpreti S perdura per tutta la prima metà l del ovecento, cinquantennio in ti cui si manifesta apertamente la più Solodance ampia convivenza di coreografi, teorici e maestri, impresari, interpreti e solisti - se con quest'ultimo termine vogliamo indicare non tanto la definizione gerarchica ancora in vigore nei corpi di ballo (corifeo, solista, primo ballerino, «étoile»), bensì tutte quelle personalità solitarie che hanno dato un contributo essenziale e innovatore alla danza sintetizzando l'attività speculativa e pratica su misura del. \ proprio corpo-strumento. Oggi, però, è inutile ricercare nelle fonti di studio e di informazione tradizionali una mappa dei solisti contemporanei, sia pure dei più significativi. Essi non sono contemplati per ovvi motivi temporali e per meno ovvi e problematici veti culturali. S e si pensa che per buona parte della critica e della storiografia di danza contemporanea è da ritenersi negativo il fatto che Isadora Duncan non abbia avuto dei discepoli grandi, importanti, e non abbia lasciato in eredità che un fascio di intuizioni e di vaghezze teoriche (il movimento - dice la Duncan nella sua autobiografia - deve necessariamente nascere dal plesso solare, ma non ne Marinella Guatterini motiva le ragioni se non confusamente), si può bene immaginare quali incrostazioni e resistenze ci possano ancora essere a sottoscrivere (sia pure solo per quanto riguarda l'epoca in cui viviamo) un'idea di danza necessariamente frantumata per individui creativi, non teorici, non più catalogabili. Eppure proprio Isadora, con il suo rifiuto della tecnica accademica del balletto, con l'affermazione :;a I li 1 Massimo Iosa Ghini perentoria della sua personalità unica e irripetibile sulla scena, ha idealmente dato inizio a un'era di ricercatori solitari, di miscredenti, di danzatori «liberi». Liberi in un'accezione che non riguarda più, specificamente, il movimento della danza libera europea, ma l'intero bagaglio dell'esperienza di danza, che viene messo in discussione e «liberato». Da un punto di vista linguistico e poetico, la Duncan vide i suoi ideali riflessi nella danza d'arte dell'antica Grecia. Ma non è questo il inotivo della sua presunta, eccessiva, originalità. Le si imputa il fatto di non essere riuscita a trascrivere il proprio pensiero fuori dei limiti, se così li si può chiamare, del suo corpo - del resto, esattamente 'come Edward Gordon Craig non riuscì a trascrivere il suo pensiero teatrale in progetti compiutamente realizzati e rispondenti alla sua utopia di teatro meccanico. Tuttavia, la tolleranza della critica e della storiografia teatrale è ben superiore a quella di chi osserva e studia un corpo in azione di danza, esposto alla sua imbarazzante presenza materiale (per questo, in genere, non si accettano ) I, ,,,,- \ ~ ,< I I" .,;;, f j ~ o r J ~ I a 1 ,. 1 ~-_,...~-=- danzatori grassi o vecchi), più che al suo pensiero nascosto. Dal corpo che danza non si pretendono utopie. I suoi tentennamenti, anzi, ci danno fastidio, le sue imprecisioni ci gettano nel panico. Tra l'altro, un ideale di danza come ad esempio quello balanchiniano, ormai abbastanza assimilato (linearità pura, corpo a servizio di una geometria tutta in superficie), ha risonanza solo nel momento in cui si propaga a molti corpi e diventa ridondante, quando il suo pensiero può contare su materiali numerosi e ricchi per articolarsi. Il solista, invece, conta solo su se stesso. Cerca un linguaggio che con minore o maggiore sofferenza passa esclusivamente attraverso la sua esperienza diretta o addirittura attraverso tutta la sua vita come propongono taluni solisti giapponesi, come dimostra lo specialissimo Kazuo Ohno e dimostrò Isadora, vissuta però in tempi affatto diversi dai nostri. •• Tanto è vero che la Duncan ebbe un grande e riconosciuto seguito. Il suo modo di concepire il movimento arrivò, infatti, a articolazioni più precise e scientifiche grazie a altre successive esperienze, enucleabili tutte quante nello sforzo di dare alla complessa materia «danza» un riordinamento finalmente universale. Sorvolando sul fatto che ognuna di queste esperienze manifesta precisi caratteri autonomi, dipendenti dal gusto e dalla cultura in cui sono nate, è innegabile che tutte le fasi dell'evoluzione della danza libera («art nouveau», con i solisti Grethe Wiesenthal, Ruth St. Denis, Sent M'Ahesa, Clotilde e Alexandre Sakharoff; «espressionismo mitteleuropeo», con Rudolf de Laban, Mary Wigman, Kurt Jooss, Harald Kreutzberg; e «sviluppi nordamericani» di Denishawn, Doris Humphrey, Charles Weidman, Hania Holm e soprattutto Martha Graham) convergono a completare ciò che al balletto accademico ottocentesco mancava. E cioè - da un punto di vista tecnico - la chiusura del corpo, la spinta verso terra, lo sblocco della zona pelvica, la presenza del viso, una gestualità non più allegorica né decorativa, e - da un punto di vista espressivo - un'ispirazione tratta da profondi significati vitali, esoterici, religiosi, soprannaturali, una totale autonomia dalla musica. Grazie a tutto il movimento della danza libera occidentale, manifestatosi nei primi tre decenni del secolo, e in particolare grazie alle nuove teorie basate sulla scala dei rapporti tra Forza-Spazio-Tempo di Rudolf de Laban, si può dunque dire che il ciclo della danza d'arte si chiude ripescando le sue origini più lontane nelle danze primitive (come fece Martha Graham), orientali e rituali (come suggerì Ruth St. Denis), nel recupero di un'espressività direttamente Iega.- ta alle manifestazioni emotive quotidiane (come propose Jooss), in un clima di generale attenzione al corpo come testimonianza di un pensiero in svolgimento. S u queste basi, il futuro, il presente della danza - sostiene nelle sue lucide dissertazioni scritte e orali Aurelio M. Milloss, di origine ungherese, tra i più im-1 portanti maestri e coreografi che hanno operato in Italia - sembrano ancora confermare la validità delle teorie di Rudolf de Laban, sulla necessità di abbinare lo spirito apollineo (linea, eleganza, misura) allo spirito dionisiaco (espressione legata a un'urgenza · comunicativa, esplosione). Ma occorre precisare che tale felice unità riguarda specificamente il linguaggio del nuovo balletto. Nelle sue punte più avanzate, infatti, esso si muove già verso un totale assorbimento delle diverse tecniche (classico e danza moderna) e dei diversi stili, avendo com': pletamente inglobato con consapevolezza e talvolta anche con superficialità (Maurice Béjart) talune radicali e propulsive innovazio- .... ì
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