Usare il mito Autori vari Mythos und Moderne. Begriff und Bild einer Rekonstruktion a c. di Karl Heinz Bohrer Frankfurt a/M, Suhrkamp, 1983 pp. 613, dm 28 Manfred Frank Der kommende Gott. Vorlesuogen iiber die neue Mythologie Frankfurt a/M, Suhrkamp, 1983 pp. 360, dm 18 11 dibattito sul mito ha conosciuto e conosce nei paesi di lingua tedesca dei rinnovamenti che - come di recente ha fatto notare Manfred Frank, uno dei protagonisti dell'attuale MythosDebatte nella Repubblica federale di Germania - fanno pensare più che a delle strumentali rivisitazioni della storia letteraria, schiava dei referenti forti del suo discorso, a quel Unuberwundenes nella storia che - per dirla con Emst Bloch - non ha mai cessato di metterci in questione. Ed ecco quindi che questo residuo mitologico si ripresenta nel «momento del pericolo» (W. Benjamin) quale Logos forte, punto di riferimento e dispensatore di sicurezze non soltanto teoriche. Basta sfogliare le pagine della più recente storia delle idee in Germania per verificare come il mito, nelle sue implicazioni filosofiche, antropologiche, letterarie ma soprattutto sociali, si sia già ripresentato nel nostro secolo, puntualmente, almeno due volte pro- 1 prio in quei momenti che una neanche tanto nascosta ideologia progressivo-illuministica della storia ama definire di «crisi». Stiamo pensando, com'è ovvio, alla complessa stagione ideologica che precede e prepara la cultura nazionalsocialista e al suo suppor - to teorico, esemplificato da opere di grande successo quali il famosissimo Der Mythus des 20. Jahrhunderts. Eine Wertung der seelischgeistigen Gestaltenkiimpfe unserer Zeit (1935) di Alfred Rosenberg, Der Geist als Widersacher der Seele (1929-32) di Ludwig Klages e Das mythische Weltalter {1926) di Alfred Baeumler, tre riletture e «attualizzazioni» del mito e della mitologia che ben si prestarono a una strumentalizzazione politica Glaubens an die Allmacht des Menschen (Reinbek 1979) e del filosofo Hans Blumenberg, Arbeit am Mythos (Frankfurt a/M 1979), una delle opere sul mito più monumentali, in forma e sostanza, di questo secolo. Furono questi i primi passi di una riappropriazione da parte della filosofia più agguerrita del problema del mito (cfr. Autori vari, Philosophie und Mythos. Ein colloquium, a c. di Hans Poser, Berlin - New York, Walter de Gruyter, 1979), nonostante e contro la rimozione teorica a cui si assistette dopo la catastrofe ideologica e materiale del nazismo. Non a caso l'introduzione all'antologia Mythos und Moderne di Karl Heinz Bohrer comincia con una vera e propria excusatio non petita che ribadisce l'attualità del mito non tanto come rinuncia a una lineare da parte deU'establishment nazista. Ma pensiamo anche all'intensa Debatte sulla «nuova mitologia» che si è scatenata in ampi settori della cultura tedesca di quest'ultimo decennio. È del 1971 un ricchissimo volume collettivo {Autori vari, Terror und Spie/. Probleme der Mythenrezeptio;:, a c. di M. Fuhrmann, Miinchen, Fink, 1971) che mette a confronto filosofi quali H. Blumenberg, J. Bollack, O. Marquard, e letterati come R. . filosofia della storia o come presupposto di una psicologia universale, né tanto meno come rilancio di elementi irrazionali tanto ghiotti ai profeti del post-modem, ma l'r) Waming, H.R. Jauss, H. Wein- -:s .s rich sulla ricezione filosofica, let- ~ teraria e teologica della mitologia, ~ e che ha dato vita a una vera que- ~ reUe. ~ A distanza di quasi un decennio, ._ durante il quale questo dibattito si :} è andato sviluppando e ha prodot- °' lr) to significative articolazioni, com- ~ paiono poi le grandi imprese teori- ~ che dello psicologo Horst Eber- ~ hard Richter, Der Gotteskomplex. ~ Die Geburt und die Krise des •piuttosto nel suo potenziale «estetico». S appiamo come storicamente il termine 'estetico' si è andato caricando di ulteriori significati oltre a quello più ovvio connesso all'esperienza artistica, e non è certo un caso che questa parola magica ritorni in ogni triittazione sul mito non solo di carattere letterario ma anche e soprattutto di carattere sociale. È merito della grande filosofia utopica di questo secolo /lVerriscoperto que-. sto nesso che ha però una nascita antica: il preromanticismo di Jena e in particolare il dibattito sulla «neue Mythologie» tra Friedrich Schlegel e il filosofo Schelling. Non è, come vedremo, un riferiMichele Cometa mento casuale né un facile topos della storia letteraria, ma un precedente sostanziale che informa tutta la filosofia della mitologia da Cassirer a Bloch, da Benjamin all'attuale dibattito tedesco. Già negli anni quaranta, all'indomani della catastrofe, c'era chi come Cassirer registrava con rammarico e con evidente ritardo l'immane peso «estetico-sociale» della macchina mitologica nazista: «I nostri miti politici moderni non sono affatto il prodotto d'una potenza oscura e maligna( ... ). È la parola imperativa dei capi politici che li ha fatti nascere. Si è trattato di uno dei massimi trionfi della guerra politica moderna. Il mito è diventato il centro stesso di una nuova arte della tattica e della strategia politica moderna (... ). Lo si può produrre a piacimento» (E. Cassirer, Simbolo mito e cultu- . ra, Bari, Laterza, 1981, p. 239). Significativamente Cassirer sottolinea il carattere di artificialità e di artisticità del mito moderno riferendosi proprio alla tradizione preromantica e schellinghiana. Sull'altro versante dell'analisi del potenziale estetico ·della mitologia sta chi, come Ernst Bloch, si fa interprete del residuo utopico, di quella «luce del non-ancora» che nel mito si nasconde in attesa del proprio riscatto. Strappare il mito ali' «oscurità» della terra delle madri e proiettarlo nel futuro significa di fatto riscoprirne l'implicita teodicea, il desiderio prometeico (che Bloch elogerà nel Prinzip Hoffnung) di essere come Dio, o (questo passo lo farà Walter Benjamin nella sua teoria del tragico) addirittura «migliore degli dei». La «luce del mito» è in definitiva per Bloch quell'utopicum racchiuso nel mito che proprio . perché mai venuto alla luce ha il vantaggio di non essere i!ncora corroso né dalla ruggine né dalle tarme né dal lisolo di un'immagine «moderna» del mondo. Sono parole di Bloch che richiamano un famoso detto di Friedrich Schlegel. Il richiamo al preromanticismo, soprattutto nella sua versione schlegeliana e schellinghiana, è d'altronde chiarissimo nella Mythos-Debatte di questi ultimi anni, richiamo tanto più urgente in quanto furono proprio i preromantici a avvertire il bisogno di una «nuova mitologia» come elemento di legittimazione (Legiti- 'a!>ino? agrr !! • sarai poltiglia per i miei polli mierung) e di giustificazione (Rechtfertigung, Beglaubigung) dell'ordine sociale. In questo contesto vanno collocati i lavori di Manfred Frank e i contributi a Mythos und Moderne che, inaugurando un ulteriore matrimonio teorico con le dottrine sociologiche di Habermas, da un lato, e di Luhmann, dall'altro, tentano 'sub specie aesthetica' un'analisi di quella che Leszek Kolakowski (Die Gegenwartigkeit des Mythos, trad. tedesca, Miinchen 1974) ha definito la «funzione legittimante» del mito. U n ulteriore livello si inserisce a questo punto per fornirci almeno a:lcuni criteri relativi all'indagine sul mito che altrimenti rischierebbe di naufragare in un imperscrutabile conflitto delle interpretazioni. Rinunciando infatti alle domande sull'essenza del mito o sulla sua struttura (patrimonio come sappiamo di innumerevoli approcci filosofici, antropologici, letterari e psicologici), la nuova Mythos-Debatte intende concentrarsi sulle funzioni «legittimanti» e «estetiche» della mitologia in una prospettiva che, come abbiamo ribadito più sopra, ha una lunga tradizione nella cultura tedesca. Cominciamo dalla prima: la funzione «legittimante». del mito. Fugando ogni sospetto di ricaduta in una semplicistica metafisica che interpreta il mito come modello di legittimazione trascendente, giustamente Frank non si interroga sul!' essenza (con i suoi corollari: verità, realtà, storicità) del mito - domanda che lui stesso riconosce quanto mai inattuale - ma piuttosto, in accordo con il suo approccio ermeneutico, sulla sua «funzione comunicativa». Il termine 'funzione comunicativa' esclude infatti immediatamente i due orizzonti teorici più prossimi che pur tuttavia vengono sintetizzati in questo nuovo approccio: innanzi tutto quello funzionalista classico, secondo il quale i miti si strutturano nell'ambito di una società secondo regole più o meno rigide; e poi quello strettamente linguistico, per il quale il mito è una «grammatica», dunque un insieme di regole, che organizza un qualsivoglia significato. Quello che più gli preme è invece la «kommunikative Funktion» dei miti - «quindi né il loro contenuto (ciò che raccontano), né la loro sintassi (la forma della connessione in cui lo fanno), ma il tipo di azione sociale che viene espresso attraverso il racconto mitico (... ) si tratta di capire il quadro istituzionale entro il quale il mito viene investito di una funzione sociale; legittimare cioè la consistenza e la costituzione della società grazie a un valore superiore. Questa si potrebbe chiamare la prestazione pragmatica del mito» (Frank, p. 77). La funzione «pragmatico-comunicativa» del mito e della religio-· ne, che la sociologia moderna da Habermas a Luhmann ha evidenziato con sempre maggiore decisione, coincide quindi con la capacità di «rendere credibili» (Beglaubigung), e quindi legittimare agli occhi di tutti, alcuni processi collettivi che altrimenti la ragione strumentale (il Geist der Analyse dei preromantici) non è in grado di giustificare. È in questo contesto che Frank, ma anche gli altri autori di Mythos und Moderne (P. Biirger, K.H. Bohrer, H.J. Piechotta, W. Lange, G. Mattenklott, H. Freier, R.P. Janz, W.J. Mommsen, J. Habermas, H. Timm, C. Biirger, tra gli altri, con interventi sui romantici, su Stifter, su Nietzsche, su Simmel, su Mussolini, su Freud, ecc.), riprendono il dibattito preromantico e in particolare la «querelle des anciens et des modernes» nella sua versione tedesca, come possibile orizzonte di senso per il progetto di una «neue Mythologie». Proprio citando con Friedrich Schlegel quel passato «antico e primevo», che ha lo svantaggio di non essere mai stato e allo stesso tempo, e proprio perciò,l'enorme vantaggio di non essersi arrugginito nel corso della storia, Frank interpreta il mito come quell'«indimenticato perché mai divenuto interamente» che Bloch definiva subversiv tout-court, quel paesaggio primevo, quella condizione aurorale la cui «esistenza» pura e semplice - a prescindere dafla sua
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