Alfabeta - anno VI - n. 59 - aprile 1984

Bousque!,l,a! ferita Joe Bousquet Note d'lnconoscenza («In forma di parole») Reggio E., Elitropia, 1983 pp. 141, lire 14.000 Traduit du silence Paris, Gallimard, 1968 pp. 281 La marguerite de l'eau courante e Journal dirigé in Oeuvre romanesque complète Paris, Albin Miche!, 1982 tomo III, pp. 538 T roppe persone non conoscono nemmeno il nome di Joe Bousquet, poche conoscono solo quello. La recente pubblicazione delle Note d' Inconoscenza, ultimo suo diario, è dunque da festeggiare. In Francia la figura emblematica di questo colosso coricaprogramma di lavoro prende un'intensità, diremmo, polifonica e seriale. O pera di collaborazione con il caso, realizzata da un grande materializzatore di sogni, di «visioni che sono l'incrocio della conoscenza e dell'amore», le Note d'lnconoscenza, ovunque le si apra, danno pienamente ragione a un giudizio di Paulhan: siamo davanti a un uomo che vive «correndo all'essenziale», siamo davanti a una riflessione minuziosa che cessa solo con la morte. Il diario di Bousquet è diario di prigioto in piena letteratura del nostro -r secolo (1927-1950) sta prendendo ~ un'importanza di prim'ordine. Joe Bousquet non-è più trascurabile e gli capita così, dopo la morte, quel che ci lusinga tanto da vivi: di sembrare indispensabile. «Il profilo della sua opera - scriveva A. Marchetti nel 1982, presentandolo al pubblico italiano dei francesisti, - assume un decisivo risvolto storico fra le vicende della poetica dei decenni centrali del nostro secolo». Il lettore delle Note d'lnconoscenza troverà nel libro una breve biografia e scoprirà così quel che per anni bastò a presentare Bou- ~quet ai suoi lettori: ferito in guerra nel 191'.7,a vent'anni, da una pallottola alla colonna vertebrale, restò paralizzato nelle membra inferiori e impotente; rimase nel suo letto, aiutandosi con la droga e la scrittura, fino alla morte avvenuta nel 1950. Dalla ferita nasce il suo problema maggiore: rendere chiara a tutti l'esperienza di uno solo. Nel '48, in(luenzato dalle ricerche sul lii:iguaggio del suo amico Jean Paulhan, unisce la sua problematica interiore all'idea di retorica e scrive: «[La retorica] risponde a un bisogno autenticamente rivoluzionario. Rendere sensibile a un gran numero di persone ciò che originariamente fu il pensiero di uno solo, e, esigenza corollaria, verificare la propria convinzione sulla più larga comprensione possibile». Nel libro c'è anche una foto di Bousquet: «inchiodato alle parole», éome scrisse di lui Bernard Noel, il lettore lo vedrà galleggiare sul fiume eracliteo del tempo come quella «marguerite de l'eau courante» (titolo di un altro suo diario), circondato da libri, fogli bianchi, riviste, pacchi e lettere ricevute, sdraiato vicino alla sua lampada, sotto cui s'intravede il nécessaire per l'oppio (oggetti così spesso evocati nei suoi libri), e «buttato» lì come un ragno nero (lui stesso si soprannominava Mygale), tra tele di Fautrier, di Ernst, di Dubuffet, di Dali o di Magritte, amici lontani che illuminavano con le loro opere i muri della sua «prigione». Così il lettore farà d'un colpo, e nel modo più diretto, la conoscenza di Joe Bousquet. Perché comincia proprio lì la sua opera, con i quaderni di diversi colori sparsi sul suo letto; quei quaderni in cui il ne, diario di un'opera, diario della droga, diario della vita, diario della malattia, diario dei sogni, diario assoluto. Bousquet, ossia l'inconoscenza del dolore, l'uomo di cui il passante diceva: «non si sa se è malato o se è morto», è anche autore di numerosi romanzi. Ma romanzi, come scrisse Blanchot per Traduit du silence (di prossima pubblicazione presso «In forma di parole»), «la cui essenza è poesia». Si tratta, per Bousquet, non di romanzo ma di diario che si rivolge contro il suo stesso autore e che vuole essere amato per se stesso. Esiste tra l'autore e il suo testo quella stessa distanza che c'è tra il narratore e il personaggio di un romanzo. Dopo la comparsa di Traduit du silence, che egli visse come un'epifania, Bousquet cominciò a lavorare al suo diario sostituendosi in qualche modo al suo lettore-editore. Ma già prima nei suoi romanzi si trovavano interi brani del suo diario frammentato, inseriti con pochissime varianti nella finzione narrativa. Circolavano, non solo da un diario a un romanzo, ma anche da un romanzo a un altro, interi paragrafi, che gli apparivano forse come delle «prodezze», e che egli riproponeva a distanza di anni e di spazi, mescolandoli, come contenuti specifici e isolabili di vasi diversi, tutti destinati a un'unica soluzione chimica: quella della sua opera. Nel diario la cronologia si perde e il tempo non dà la sua cornice severa al testo; però lo struttura: per Bousquet, che voleva «segnare una data nel tempo viscerale», il Giorgio Carpinteri diario, per eccellenza topos, fu il mezzo ideale per ritrovare quello spazio e quel tempo che la miseria fisica gli aveva tolto - a lui, assediato dalle ore. Il diario non è più la notazione del viaggio compiuto o del viaggio da farsi, ma il viaggio stesso, pur sapendo che «non c'è avventura dello spirito», e dunque che non c'è evasione possibile ma solo quel «vagabondare» di cui parlava Blanchot. Insistiamo su questi quaderni in quanto ci sembrano il segno fedele di questo originale scrittore che Alain Robbe-Grillet, nel 1953, non ebbe paura di definire «un'immagine crudele del creatore»: scrittore-metafora, dunque, immagine della condizione del creatore e, più specificamente, dello scrittore in quanto artigiano dell'immobilità, contrapposta - come osservava ancora Robbe-Grillet - a quella mobile del cineasta. L'ideologo del Nouveau Roman fu molto chiaro: «forse più che con le sue opere propriamente poetiche o romanzesche, è con queste riflessioni quotidiane, in cui si accanisce a farci capire la sua situazione, che Bousquet si mostra insostituibile». Per lui, dunque, è nel diario che Bousquet rimane modemissimo, perché esso «segna una scoperta capitale: l'avvento dell'arte che libera la letteratura dall'impegno di trascrivere e di testimoniare». P er Bousquet il libro era una «mise en chapitre» del silenzio, fatto di «parole per portarmi ad altre, in se stesse deserte ... ». E aggiungeva: «scrivere un squet è un fluire continuo di frasi brevi, una messa in serie di formule la cui mera giustapposizione crea paradossalmente il flusso. Come osserva Raymonde Carasco, Bousquet sa che la fluidità della forma si fa con il montaggio di frammenti discontinui. Questo principio lascia trascorrere la durata, il movimento interno di un'opera che palpita al ritmo reale e immutabile dell'evento, sincope dell'immutabile e del fuggitivo. Si tratta di una singolare cristallizzazione del pensare e del sentire dove sfuggono e si creano, esplodono e si raggruppano, i segni. Più che racconto o relazione, il diario bousquetiano si presenta come una traccia di parole. A proposito del Journal dirigé si è detto che il libro sembra scriversi da solo; leggendo le Note d'Inconoscenza, il cui titolo esplicita l'atteggiamento critico di Bousquet nei confronti del pensiero, il lettore non avrà tra le mani uno scarto, o un oggetto salvato dalla morte in no- ' me di una grande opera di cui propriamente non fa parte, bensì proprio una porzione di quest'opera. Dovremmo dire insomma che ogni r libro di Joe Bousquet è, come lui stesso diceva del sogno, una parte libro è far assistere il lettore a tutte le vicissitudini di una situazione che si viene chiarendo». Non c'è migliore definizione del diario e della sua prosa fatta di «poesia vinta». Dove, più che nel diario, si colma la separazione tra la poesia e il suo oggetto? In realtà questo poeta completo resta pur sempre un poeta soffocato. È ancora l'altro che prova gioia a sentirsi poeta, e non l'io osservatore, sempre soggetto e oggetto di ciò che vive e scrive. Ma proprio questa indecisione è essenziale per il diario - forma della durata della scrittura, della continuità interiore, concretizzata nelle figure del cerchio e dell'incrocio. L'indecisione, come la passività e il masochismo, sono forme tipiche del diario. Per definirne il ritmo si è parlato di vibrazione testuale: Paulhan, delicatissimo, parlò del proprio tentativo di «fissare un'illuminazione» e Blanchot di una vera e propria «iridazione intellettuale». Lo scrivere di Boudel tutto imperfetto dell'opera, la quale lo contiene imperfettamente («In sogno: la parte contiene il tutto e lo compie in maniera imperfetta( ... ) l'ala è un uccello»). È proprio in questa imperfezione che sta la tensione e la motivazione dello scrivere e del leggere. Agli antipodi dell'opera chiusa, il diario bousquetiano è fatto di «mille sentieri che si perdono» (Blanchot). Così i suoi libri sono anche «una lezione di felicità che cambia le scale morali». Dato che il diario è di origine borghese e religiosa, tra il libro dei conti e l'esame di coscienza, la scommessa di Bousquet fu anche di fame una forma anticipatrice della letteratura contemporanea. Lasciò il diario andare liberamente verso lo sperpero e, soprattutto, non gli concesse più, come capitale fondamentale per il suo esercizio capitalistico, l'io - nemmeno il suo «io assente» - ma solo tutto quello che non era, compreso l'altro. Lo liberò infine anche dall'introspezione religiosa, rifiutando ogni tipo di modello assoluto. Per tanto, il diario di Bousquet potrebbe essere paragonato ai Pensieri di Pascal, proprio perché questi non sono più diario ma «apologetica». E in quanto apologetico il diario bousquetiano non è più borghese, non è apologia di una politica o di una fede ma del Sogno; e, parafrasando una sua formula, si potrebbe dire che nei suoi libri la scrittura non scrive perché è al di là degli stati in cui si scrive. Si è parlato di alba inaugurale, 00 di letteratura ancora da nascere, ~ con riguardo al suo aspetto fram- i::: .èo mentario, alla sua discontinuità e e::: Q.. alla sua incompiutezza. Di fronte ~ ~ a quest'opera la sconfitta della cri- '"" ..., tica non sarebbe forse la sua incapacità di pensarne la forma nuova, di vedere la totalità aperta costituita dal diario assoluto di Bousquet? «Abitiamo nella favola e :: pensiamo nell'oblio», è una frase ~ che ci sconsiglia di parlare troppo. ;g, ~ ,:::

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