I l • ,! 1 < questo sceglie come fine in se stesso è meno nobile di chi sceglie il piacere che viene dall'intelletto. Basandosi appunto sul principio che l'oggetto compreso dà gioia a chi lo comprende, nel Libro undicesimo della Metafisica, Aristotele giunge a sostenere che l'intelletto divino possiede una vita colma di piacere incommensurabile: infatti, poiché l'intelletto divino possiede la più altaforza di comprensione, e l'oggetto da esso compreso è il più alto degli oggetti dato che si identifica con la sua propria essenia (difatti cosa potrebbe cogliere l'intelletto divino di più nobile dell'essenza divina?), ne segue che Dio possiede una vita fatta di piacere incommensurabile. Si può dunque dire che mediante l'intelletto l'uomo non può ottenere bene più alto della conoscenza della totalità degli esseri che derivano dal Principio Primo e, attraverso di essa, per quanto gli è possibile, del Principio Primo stesso. Giungiamo così alla conclusione che già prima era stata dimostrata: il bene più alto che l'uomo può raggiungere attraverso l'intelletto teoretico sta nella conoscenza del vero relativo alle singole realtà, e nella gioia che da essa deriva. Rig.wirdo all'intelletto pratico, il bene più alto che l'uomo può raggiungere attraverso di esso consiste nella attuazione del bene e nel piacere che ne deriva. Infatti, relativamente all'intelletto pratico, quale bene più grande può capitare all'uomo dell'agire scegliendo in tutte le azioni umane il giusto mezzo, e del compiacervisi? Non è giusto, infatti, se non chi si compiace di azioni giuste; lo stesso si deve pensare per tutte le azioni proprie delle altre virtù etiche. Dunque, da tutto quanto si è detto si può chiaramente concludere che il bene più alto raggiungibile dall'uomo è la conoscenza del vero e l'attuazione del bene, e il piacere che da entrambe le cose deriva. E poiché il più alto bene che l'uomo può raggiungere si identifica con la sua felic,ità suprema, ne consegue che la suprema felicità umana si identifica con la conoscenza del vero, l'attuazione del bene e il piacere che da entrambe le cose deriva. A questo fine, infatti, nella comunità politica il legislatore ha previsto e stabilito l'arte della guerra, perché, scacciati i nemici, i cittadini possano dedicarsi ali'esercizio delle virtù intellettuali, contemplando il vero, e a quello delle virtù morali, attuando il bene, e vivano così una vita pienamente felice; in queste due attività essa infatti consiste. Questo è il bene più alto che l'uomo possa ricevere r da Dio e che Dio può dare all'uomo in questa vita; e con ragione desidera una vita lunga chi la desidera per farsi sempre più capace e degno del possesso di questo bene. Infatti, chi più è per- ! etto nella beatitudine che per ragione sappiamo esser possibile all'uomo in questa vita, è anche più vicino alla beatitudine che per fede aspettiamo ne~'altra. E poiché, come già abbiamo detto, un bene così alto può dall'uomo essere raggiunto, è giusto che tutte le azioni umane a esso siano rivolte come alfine in cui risolversi. In ogni sistema di religione positiva, infatti, ogni azione è giusta e debita quando tende al fine che quella religione propone, ed è migliore per quanto più vicina è al fine; le azioni, invece, che sono opposte a quel fine, o anche manchevoli (cioè non pienamente corrispondenti al precetto) o indifferenti (cioè né opposte al fine, né compiute in relazione al precetto), tutte sono da considerarsi, rispetto a quella religione, peccati (naturalmente, come risulta chiaro da quanto si è detto, in grado maggiore o minore); ora, esattamente la stessa cosa avviene nell'uomo, perché tutte.le intenzioni, deliberazioni, azioni e desideri umani che tendono verso questo sommo bene possibile per l'uomo, di cui già abbiamo parlato, sono giuste e rispettano il debito ordine. E quando l'uomo così agisce, agisce secondo natura, perché agisce in vista di quel sommo bene per raggiungere il quale è per natura strutturato; quando così agisce l'uomo anche segue il giusto ordine, perché gradua le sue azioni in vista di ciò che per lui è il fine migliore e più alto. Tutte le azioni, invece, che non sono ordinate in vista di questo bene, oppure che non sono tali da rendere l'uomo sempre più capace e incline a azioni che in vista di questo bene sono ordinate, sono da considerarsi nell'uomo peccati. Per questo, l'uomo che possiede la felicità non compie se non azioni che danno lafelicità, o azioni attraverso le quali acquista maggior forza e capacità di attività felice; e allora chi possiede la felicità, sia che dorma, sia che vegli, sia che mangi, vive in maniera felice, purché compia queste azioni per acquistare maggior forza ne~'attività che fa felici. Ne consegue, come già abbiamo detto, che tutte le azioni dell'uomo che non sono dirette a questo fine, sia che gli si oppongano, sia che risultino indifferenti, nell'uomo si configurano come peccato, in grado tuttavia (è di per sé evidente) maggiore o minore. Di tutte le azioni di questo tipo, poi, causa è il desiderio disordinato, che è anche la causa di ogni male morale. Proprio il desiderio disordinato, inoltre, è la causa che più di ogni altra tiene l'uomo lontano da ciò che per natura desidera. Infatti, nonostante che per natura tutti gli uomini desiderino di sapere, tuttavia pochissimi (e c'è da dolersene) si dedicano all'acquisto della sapienza, perché il desiderio disordinato impedisce a tutti gli altri il raggiungimento di un così grande bene. Come tutti possono vedere, infatti, alcuni vivono, per così dire, per forza di inerzia, altri inseguono quei piaceri che dovrebbero fuggire, «Itri ancora si lasciano guidare dal desiderio dei beni di fortuna. E così, ai nostri giorni, il desiderio disordinato allontana dal loro sommo bene praticamente tutti gli uomini, tranne pochissimi degni d'onore. Chiamo essi degni d'onore perché disprezzano i desideri sensibili e seguono il desiderio e il piacere dell'intelletto, dandosi tutti alla conoscenza della verità delle cose; chiamo essi degni d'onore, inoltre, perché vivono conformemente ali'ordine di natura. Tutte lefacoltà inferiori possedute dall'uomo, infatti, sono per natura ordinate alla più alta. La facoltà nutritiva è in funzione della facoltà del senso; questa è la forma che struttura un corpo vivente, un corpo vivente non può sussistere senza nutrimento e la facoltà nutritiva è appunto quella che • trasforma i( nutrimento e lo converte in sostanza del corpo vivente; per questo nell'uomo lafacoltà nutritiva è in funzio- .-- .ne ...dellafacoltà del senso. La facoltà del senso, poi, è in funzione della facoltà intellettiva: ciò che comprendiamo, infatti, ha il suo punto di partenza nelle immagini, e per ciò comprendiamo con più difficoltà quelle realtà che per loro natura non possono essere oggetto di immaginazione; ma l'immaginazione non può agire se non in conseguenza della sensazione, prova ne sia che ognuno di noi, ne~'atto di immaginare, è affetto da una alterazione del senso, e perciò Aristotele afferma che l'immaginazione (o fantasia) consiste in un movimento che proviene da~'organo di senso attuato dal suo oggetto. Insomma, tutte le attività delle facoltà umane inferiori sono in funzione della facoltà suprema, cioè dell'intelletto. E se tra i vari modi di operare della facoltà intellettiva ce n'è uno più degli altri nobile e alto, esso è per tutti gli altri il fine; quando l'uomo esercita questa operazione, si trova nella miglior condizione che gli sia dato ottenere. In questa condizione, dunque, si trovano i filosofi che dedicano tutta la propria vita alla ricerca e ali'amore della sapienza; perciò tutte le facoltà che il filosofo possiede agiscono seguendo l'ordine di natura: quelle anteriori nel tempo in funzione di quelle posteriori, le inferiori in funzione Marcello Jori delle superiori epiù perfette; tutti gli altri uomini, invece, che vivono secondo lefacoltà inferiori e ne eleggono le attività e i piaceri che esse procurano, non seguono l'ordine naturale e anzi lo violano. L'allontanarsi dall'ordine naturale, poi, per l'uomo equivale a peccare, e poiché invece il filosofo non se ne allontana, il filosofo non pecca. Egli è anzi moralmente virtuoso, e per tre motivi. Primo motivo: egli è colui che nelle diverse azioni conosce la bruttezza in cui consiste il vizio e la nobiltà in cui consiste la virtù, perciò con maggior facilità può evitare l'una e scegliere l'altra e agire seguendo sempre la retta ragione. E chi agisce così non pecca mai. Ciò invece non succede a colui che non possiede conoscenza: è difficile che chi non sa agisca rettamente. Secondo motivo: chi ha provato un piacere più alto, disprezza tutti quelli più bassi; ilfilosofo, contemplando la verità delle cose, ha gustato il piacere intellettuale che è maggiore del piacere dei sensi, e quindi disprezza il piacere dei sensi. Ora, gran parte dei peccati e dei vizi consiste in un eccesso del piacere dei sensi. Terzo motivo: nel comprendere e nel contemplare non può cadere peccato; infatti, in ciò che è un bene di per sé non è possibile che si dia eccesso o trasgressione, e l'attività del filosofo consiste nella contemplazione della verità; perciò il filosofo con maggior facilità del non filosofo può essere virtuoso. Per tutti questi motivi ilfilosofo vive come è insito nell'uomo vivere, cioè seguendo l'ordine di natura: tutte le facoltà inferiori, infatti, e le loro operazioni in lui sono in funzione delle facoltà superiori e delle loro operazioni, e in generale tutte in funzione della facoltà suprema e dell'attività più alta, che consiste nella contemplazione della verità e nel piacere che essa produce, soprattutto la contemplazione della Verità prima. Il desiderio di sapere, infatti, mai è sazio finché non si arriva alla conoscenza di quell'Essere che non ha causa. Per natura, infatti, come afferma Averroè, tutti gli uomini desiderano conoscere qualcosa dell'intelletto divino, e nel desiderio verso un qualsiasi oggetto conoscibile è presente il desiderio di Dio c·ome il più alto oggetto conoscibile; prova ne è che, quanto più gli esseri si avvicinano a Dio, tanto più desideriamo conoscerli e tanto più gioiamò della loro cono- ~ scenza. Dunque il filosofo, contemplando le realtà del mon- C do che richiedono una causa, e la loro struttura e i rapporti (!jj che le uniscono, viene indirizzato alla contemplazione delle ~ loro cause più alte e generali, dato che la conoscenza degli ~ effetti è come una strada che ci conduce alla conoscenza delle cause; conoscendo poi che le cause più alte hanno una struttura tale che essa stessa necessariamente richiama una ulteriore causa, il filosofo viene spinto alla conoscenza della Causa Prima. E se è vero che nella contemplazione consiste il piacere, e piacere maggiore se gli oggetti dell'intelletto son più alti, allora il filoso/ o vive davvero una vita colma di piacere. Il filosofo, poi, comprende e riflette che la Causa Prima, necessariamente, è a se stessa causa di essere, e non ha essa stessa nessun'altra causa (infatti, se nell'universo non esistesse nulla che non avesse bisogno di una causa per essere, in assoluto nulla esisterebbe); comprende anche che, necessariamente, questa causa è eterna, non soggetta a mutamento, eternamente nella identica disposizione: infatti, se non fosse eterna, in assoluto null'altro di eterno esisterebbe nel mondo; inoltre, poiché nel mondo alcuni esseri hanno un inizio nel tempo, e ciò che ha inizio nel tempo non può esser causa sufficiente di altri esseri che egualmente cominciano a esistere nel tempo (questo è di per sé evidente), ne consegue chiaramente che tutti gli esseri che nel mondo vengono ali'esistenza nel tempo, hanno origine nella loro totalità da una causa eterna. Una causa del genere è anche sottratta al mutamento, eternamente nella identica disposizione, perché il • mutamento non è possibile se non negli esseri imperfetti, e se nel'mondo c'è un essereperfettissimo, esso si deve identificare con la Causa Prima. Il filosofo, inoltre, riflette che la totalità degli esseri del mondo che sono al di sotto di questa Prima Causa da essa derivano e che, come essa è causa della loro produzione, così lo è dell'ordine che li unisce e della loro permanenza nell'essere: per alcuni una permanenza in quanto individui, estranea a ogni mutamento (è il caso dellesostanze che sussistono separate dalla materia); per altri una permanenza in quanto sì ind~vidui, ma tuttavia non priva di mutamento (è il caso dei corpi celesti); per altri, infine, una permanenza non individuale ma solo specifica (ed è il caso di tutti gli esseri del mondo sublunare, in quanto corrispondono al grado più basso degli esseri). Egli, inoltre, riflette che, come tutto deriva da questa Prima Causa, così tutto a essa ordinatamente tende; infatti, quell'essere in cui il principio da cui tutto deriva è tutt'uno con il fine cui tutto tende, quello è, nel linguaggio dei filosofi, l'Essere Primo, e in quello dei santi Dio benedetto. In questo ordine esistono poi dei gradi, e gli esseri che sono più prossimi al Primo Principio sono più nobili e più perfetti, quelli invece più lontani sono insieme più manchevoli e meno perfetti. Questo Primo Principio, poi, è per il mondo come ilpadre per lafa miglia, come il comandante supremo per l'eserci:o, come il bene comune per la collettività. E come l'esercito è uno perché unico è il comandante, e il bene dell'esercito si identifica di per sé con il comandante, mentre nelle altre componenti è presente in virtù della relazione ordinata che esse hanno con il comandante, così l'unità dell'universo deriva dall'unicità di questo Primo Principio, e il bene dell'universo, di per sé, si identifica con lui, mentre negli altri esseri è presente a seconda dei gradi con cui essi ordinatamente ne partecipano, tanto che non esiste alcun bene in alcun essere dell'universo se non in quanto esso partecipa di questo Primo Principio. Il filosofo, dunque, riflettendo su tutto questo, vien portato ali'ammirazione verso questo Primo Principio, e con l'ammirazione all'amore, poiché amiamo tutto ciò da cui ci proviene il bene, e nel modo più intenso ciò da cui ci provengono i beni più alti. Per questo il filosofo, che sa che tutti i beni gli derivano da questo Primo Principio, e da lui, per quanto si mantengono, son mantenuti in essere, viene preso dal più grande amore per lui, e ciò secondo il retto ordine della natura e il retto ordine dell'intelletto. E poiché ognuno trova la sua gioia in ciò che ama, e lagioia più intensa in ciò che più intensamente ama, e il filosofo, come si è detto, ha il più alto amore verso il Primo Principio, ne consegue che il filosofo trova la sua gioia più alta in lui e nella contemplazione della sua bontà. E questa è l'unica gioia che sia giusta. Questa dunque è la vita del filosofo, e chiunque non la vive non vive una vita giusta. Definisco poi filosofo ogni uomo che vive secondo il giusto ordine di natura e che ha raggiunto il fine supremo e perfettissimo della vita umana. Quanto poi al Primo Principio di cui si è parlato, esso si identifica con il Dio glorioso e sublime che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen. Nota. La traduzione, di Gianfranco Fiornvanti, è stata con- !:! dotta sull'edizione critica a cura di N.G. Greeen-Pedersen, ~ Copenhagen 1976, pp. 369-77. ~ (:s
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