Alfabeta - anno VI - n. 59 - aprile 1984

Decostruttoarimericani t-,.. o::s -5 ~ El da poco uscita presso l'editore Bompiani l'antologia Postmoderno e letteratura. Percorsi e visioni della critzca in America (pp. 340, lire 25.000). Una rassegna molto ampia, curata da due giovani studiosi che insegnano Letteratura italiana negli Stati uniti, Peter Carravetta al Queens College, e Paolo Spedicato alla New York University, e che si suddivide in quattro sezioni. La prima, «Orizzonti», comprende scritti di due 'fondatori' del postmoderno americano, il critico Ihab Hassan e lo scrittore John Barth; la seconda, di ricostruzione storico-critica, raccoglie interventi di Michael Kohler, Charles Altieri, Paul Bovè, Gerald Graff - e di Peter Carravetta; nella terza compaiono invece contributi di filosofi e critici letterari legati alla tradizione ermeneutica (William Spanos, Richard E. Palmer, Craig Owens). L'ultima sezione è formata da 'scritture' propriamente letterarie di autori appartenenti alla più recente generazione della letteratura postmoderna americana: Charles Bernstein, Richard Prince, Ron Silliman, Richard Milazzo. Abbiamo rivolto alcune domande su questa antologia e sul fenomeno del postmoderno in genere a Paolo Spedicato, autore della Introduzione al volume. D. Nel leggere questa vostra antologia, appare subito evidente un certo scarto tra il postmoderno quale lo si intende in Europa (in Italia e in Francia soprattutto) e il postmodernismo americano. Mentre da noi la condizione postmoderna viene caratterizzata come il trionfo della informatica, degli attrezzi elettronici, della comunicazione generalizzata (e allora Barilli ha ragione a ravvisare in McLuhan una specie di profeta del postmodernismo), gli autori che antologizzate si riferiscono piuttosto a una concezione 'ontologica' della scrittura; i loro punti di riferimento teorici - almeno per i critici e i filosofi - non sono McLuhan, ma Heidegger e Derrida. Paolo Spedicato. Come sai, il postmodernismo ha in America una storia molto più lunga che in Europa. Nasce negli anni cinquanta, in scrittori come Barth, PynEmir Rodriguez Monegàl &rges. Una biografia letteraria trad. it. di Lucia Re Milano, Feltrinelli, 1982 pp. 472, lire 30.000 ;;- forge Luis Borges ~ L'Aleph ..... trad. it. di F. Tentori Montalto ~ .._ Milano, Feltrinelli, 19806 ~ pp. 179, lire 3500 °' .,., ~ Herbert George Wells ~ Opere narrative voi. I .t:, a c. di F. Ferrara ~ ~ trad. it. di P. Carta Conversazione di Maurizio Ferraris con Paolo Spedicato chon, Vonnegut, o in architetti come Bob Venturi. Non si pensa come una reazione alle avanguardie {che in America hanno una tradizione molto più debole che in Europa), ma muove piuttosto da peculiarità locali, come il Kitsch, la Pop art, il peso molto secondario del senso storico - che contribuiscono a una contaminazione di generi e di stili. A questa prima fase della letteratura postmoderna americana è dedicato un fascicolo, un po' riduttivo, della rivista Calibano, comparso nel 1982; nel quale si sostiene che quella tradizione, almeno in letteratura, è sulla via dell'esaurimento - il che è vero, ma solo per quella prima ondata, che è tutt'altro che assoluta.o definitiva. A conti fatti, l'analisi di Calibano è molto 'moderna', sociologica e formalista, e trascura la nuova critica americana. Viceversa, gli autori che esaminiamo noi appartengono in larga misura a una 'seconda' generazione del postmodernismo, come critica e come pratica,_Scrittori come Milazzo o Silliman sono molto più giovani di Barth o di Vonnegut, e diverse sono le loro poetiche; e critici come Bovè, Spanos, o gli Yale Critics di cui si occupa Peter Carravetta nel suo saggio, muovono da presupposti assai diversi da quelli della prima ondata del postmodernismo. D. Veniamo allora ai presupposti. Mi pare che si possa riconoscere un tratto comune, il riferimento alla tradizione filosofica europea, come si diceva prima; ma vi sono differenze altrettanto rilevanti fra tendenze eterogenee. Spedicato. Sì, lo scarto principale, nella critica letteraria e nella teoria, intercorre tra il distruzionismo, di cui sono esponenti William Spanos e Paul Bovè, e che si rifà più direttamente alla tradizione ontologico-ermeneutica di Heidegger, e il decostruzionismo, dei critici di Yaie {in particolare Hillis Miller, Hartman, Paul de Man), che si collega piuttosto al poststrutturalismo di Jacques Derrida. D. Due linee che non si equivalgono come influenza, se non sbaglio (Spanos e i 'distruzionisti' sono piuttosto minoritari, mentre il decostruzionismo di Yaie e di altrove è forse la principale corrente e R. Prinzhoffer Milano, Mursia, 19682 pp. 1185, lire 9800 Cl è forse un aspetto della vita intellettuale di Borges che è sfuggito alla minuziosissima «biografia letteraria» di Monegàl, e che può invece essere colto attraverso il racconto «L'altra morte», contenuto nella raccolta L'Aleph. È infatti solo un'ennesima finzione da parte di Borges sostenere che il racconto gli sia stato ispirato dall'opera del teologo medioevale Pier Damiani (vedi Monegàl, pp. 391-92). Si tratta in della critica americana). Ma che non si equivalgono neppure sul piano delle visioni della letteratura, quasi a definire una 'doppia anima' del postmoderno americano: mentre il distruzionismo è più sorprendente agli occhi di un europeo, perché associa strettamente la letteratura a una dimensione ontologica, sublime, direi quasi mistica - il decostruzionismo ricorre piuttosto a una strategia della citazione, a una sofistica, a un mélange della tradizione, tutte cose più vicine al postmoderno come lo intendiamo in Europa. Marcello lori Spedicato. Eppure, per quanto possa risultare bizzarro, è proprio la corrente distruzionista, che si raccoglie intorno a Spanos e alla rivista Boundary2 da lui diretta, a interpretare più direttamente il senso del postmodernismo letterario americano. Lo si può vedere nel saggio di Charles Altieri, «Dal pensiero simbolista all'immanenza: il fondamento della poetica americana contemporanea», compreso nella nostra antologia. Gli autori considerati dal distruzionismo sono Charles Olson o William Carlos Williams, che hanno reagito alla tradizione modernista di Pound o di Wallace Stevens - nonché i 'classici' della postmodern fiction, come appunto Pynchon o Barthelme. Al di là delle diverse generazioni o tendenze, dovremmo quindi concludere che realtà - come vedremo - di una sorta di replica a un racconto fantastico di un grande 'avversario' di Borges, Herbert George Wells. Non tanto, però, di uno sviluppo sul tema del tempo che Wells aveva affrontato ne La macchina del tempo (così Monegàl, p. 387), quanto piuttosto di una confutazione, almeno in parte, della sua posizione sul concetto di possibilità, preso in esame da un racconto del 1900, intitolato «L'uomo che poteva compiere miracoli». Wells costruisce il racconto sullo strano caso del signor Fotheringay, che si accorge un giorno, nel la vera anima del postmodernismo americano è questa tendenza ontologica, ispirata, sublime. L'oggetto delle analisi dei decostruzio- • nisti, come sai, è invece la tradizione romantica dei secolo scorso, Coleridge, Hawthorne, Wordsworth ... D. Il che significaper altro reagire alla tradizione modernista (o classicista) del New Criticism, a Eliot ... Spedicato. Sì. Ma guarda che i distruzionisti accus~no i decostruzionisti di essere una estrema e raffinata appendice del New Criticism, proprio per il ricorso alla citazione, all'ironia, benché in effetti gente come gli Yale Critics abbia in larga misura abbandonato i presupposti umanistici e tipicamente americani del New Criticism. È però incontestabile, a mio avviso, che i distruzionisti rischino di più sull'attualità, sullo stato attuale della letteratura americana; in fondo, i decostruzionisti, sulla scia di Derrida, escludono che si possa fare un balzo fuori della tradizione (dunque, anche al di fuori del modernismo), mentre i distruzionisti ritengono che sia possibile, attraverso il linguaggio, giungere a quella che definiramo come una prossimità ontologica, a una vicinanza tra parola e «senso dell'essere» non mediata e pregiudicata dalla tradizione. D. Passiamo dalle correnti della critica ai testi di scrittura creativa che avete raccolto. Qui mi pare che le posizioni siano ancora più eterogenee. Spedicato. Certamente, non si può trovare una linea unitaria,· tranne forse il fatto che si registra una intersezione fra scrittura critica e fiction narrativa, grosso modo alla maniera di Barthes. Richard Milazzo è anche un critico d'arte, che si interessa della transavanguardia internazionale e dei giovani artisti americani (non bisogna dimenticare che anche in America il postmodernismo investe le arti visive, la mus,ica,lo spettacolo), e qui incrocia saggistica e narrativa, o meglio 'scrittura pura'. Charles Bernstein, nel brano da Tre o quattro cose che so di lui, risulta invece più legato a una forma espressiva di tipo comunicabile - lo potremmo definire un 'tardobel mezzo di una contesa sulla possibilità del verificarsi di miracoli, di essere in grado di modificare con la propria volontà il «naturale corso degli accadimenti». Fotheringay, naturalmente, impiega del tempo prima di essere in grado di dominare la propria nuova situazione; e mostra inizialmente un certo ritegno a interferire nelle leggi di natura. Resosi poi pienamente conto della situazione, si consulta con un prete, assieme al quale decide di utilizzare i propri poteri per migliorare il mondo: redimono gli ubriaconi, prosciugano una palude, e così via. moderno' - e inclina maggiormente verso la saggistica. Richard Prince (di cui riportiamo passi tratti da Perché vado al cinema da solo) si orienta verso la fiction più canonica. E Ron Silliman scrive aforismi, tra Barthes e Wittgenstein ... In un aforisma di Il quaderno cinese si legge: «Se questa fosse teoria, e non pratica, come farei a saperlo?» Si osserva quindi un cortocircuito fra teoria e critica, perché del resto le intenzioni creative di altri critici professionali sono del tutto esplicite - basta leggere il saggio di Hassan che riportiamo nella prima sezione, «Il critico come innovatore» (e Hassan sta scrivendo ora una autobiografia sulla scia di Barthes). Carravetta, nel suo saggio, insiste molto sulla differenza, centrale per il dibattito postmodernista, fra metacritica e paracritica: la prima ancora legata a un metalinguaggio, e che analizza un linguaggio-oggetto; e un 'paracriticism' tipicamente postmoderno, che non separa il linguaggio critico e quello letterario. D. Indiffe;-enza fra scrittura critica e scrittura creativa, ricerca di una dimensione ontologica del linguaggio letterario... Parrebbe che i tre archetipi del postmodernismo americano siano fohn Barth, Roland Barthes, e Karl Barth, il teologo. Mi sembra che con il postmodernismo si assista a una grande sprovincializzazione eclettica della tradizione letterariaamericana, che non si pensa più in rapporto esclusivo con le sue radici anglosassoni, e più precisamente inglesi. Anche in letteratura, vien meno l'importanza del white-anglo-saxon-protestant, come è già avvenuto in altri campi, quali la politica e l'economia. Spedicato. Questa rottura con la tradizione anglosassone è evidente, sia sul piano della critica che su quello della letteratura. Il distruzionismo o il decostruzionismo critico e il postmodernismo narrativo si avvalgono di un repertorio culturale molto più ampio di quello - tipicamente angloamericano - a cui faceva ricorso il New Criticism, che dagli anni trenta agli anni sessanta aveva imbalsamato quella tradizione, producendo un3:.schizofrenia fra pratiche letterarie e teorizzazioni critiche. I guai, preannunciati da piccoli inconvenienti, arrivano quando i due decidono, per aver il tempo di completare l'opera durante una sola notte, di arrestare il sole, come Giosuè. Bruscamente arrestano il moto della terra: uomini, case, montagne vengono improvvisamente distrutti, sotto la spinta del proprio moto inerziale. Fotheringay - incolume, grazie ai suoi eccezionali poteri - decide allora di rinunziare alle proprie prerogative: il suo ultimo intervento sull'ordine del mondo sarà di riportare tutto com'era prima ch'egli scoprisse di poter compiere miracoli.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==