Cronache A Reggio Emilia, il 13 e il 14 aprile prossimi saranno dedicati alle «Mitologie di Roland Barthes - Voci in ascolto di una scrittura», per iniziativa dell'assessorato alla cultura del Comune, per la cura di Paolo Fabbri e Isabella Pezzini, e con l'adesione di Alfabeta, delle edizioni Seui! e Einaudi. Il programma della manifestazione - che si svolgerà nel Salone degli Specchi del Teatro municipale - prevede la presentazione di un insieme di materiali di lavoro, un convegno internazionale e una tavola rotonda. Fra i materiali sono previsti: la presentazione della traduzione delle Cronache scritte da Roland Barthes fra il 1978e il 1979 per il Nouvel observateur, di cui Alfabeta anticipa qui alcuni brani; la ricostruzione del seminario tenuto da Barthes al Collège de France nel 1979, suHa metafora del labirinto, al quale parteciparono, fra gli altri, G. Deleuze, M. Detienne, O. Mannoni, P. Rosensthiel, P. Bonitzer, F. Choay, J.L. Bouttes, H. Damish; la bibliografia generale delle opere di Barthes; il testo di un'intervista a François Wahl, direttore di Seui! e curatore delle opere di Barthes, sui progetti editoriali futuri; testimonianze critiche di A.J. Greimas e I. Calvino; la realizzazione di un audiovisivo dal titolo «Appunti sull'immaginario di R.B.», curato da Renato Giovannoli, e infine la presentazione dell'edizione Einaudi dell'Impero dei segni. Al convegno prenderanno parte P. Rosensthiel, J.L. Bouttes, P. Mauriès, F. Gaillard, C. Thomas, J. Baudrillard, J.L. Giribone, F. Marty, E, Bachelier, F. Wahl, S. Sarduy. A partire dalle opere di Barthes quali IL grado zero della scrittura, Miche/et, i Saggi critici, Miti d'oggi, L'impero dei segni, La camera chiara, saranno affrontati i rapporti di Barthes con alcuni autori «privilegiati» (Gide, Michelet, Sartre, Lacan) e temi come la scrittura critica nelle matem~tiche, la danza Butho, lo sguardo e la noia, l'impegno intellettuale e politico, il «biografema», la «bathomologia» e la gradualità. Durante una tavola rotonda, alla quale prenderanno parte Umberto Eco, Sylvano Bussotti e gli organizzatori, si discuteranno in particolare i contributi di Barthes alla riflessione semiotica. Alla discussione sono stati inoltre invitati i traduttori italiani. Barthes futuro François Wahl, responsabile di Seuil e curatore delle opere di Roland Barthes Barthes dopo la sua morte, ha annunciato in occasione dell'incontro di Reggio Emilia l'articolazione del futuro programma editoriale e i criteri che lo hanno ispirato. Esso comprenderà la raccolta di testi editi e inediti concernenti la letteratura, la semiologia, l'impegno pedagogico e infine la scrittura vera e propria. Dopo il terzo volume degli Essais Critiques (intitolato L' obvie et l'obtus e non ancora apparso in traduzione italiana), che raccoglieva i testi riferibili alla «scrittura del visibile» (pittura, musica, immagine), nell'autunno 1984 uscirà il quarto e ultimo volume, sulla letteratura, che avrà il titolo di uno dei saggi che vi sono compresi, Le bruissement de LaLangue. Il libro raccoglie 46 testi, scritti fra il 1964e il 1980, organizzati per aree tematiche nell'intento di rispettare il movimento di trasformazione che vi si può cogliere, e quindi non secondo un semplice ordine cronologico. Il primo gruppo si intitolerà «De la science à la littérature»: conterrà fra gli altri il saggio «Science vs littérature», mai apparso in francese, alcuni testi anteriori al 1970, il saggio «Écrire verbe intransitif», relazione al convegno di Baltimora su Lacan, anch'esso inedito in francese. Il secondo gruppo, intitolato «De l'oeuvre au texte», raccoglie i saggi intorno al 1970, il momento di Tel Quel; il terzo («Des langages au style») rappresenta una sorta di parentesi nella riflessione barthesiana, dedicata alla pluralità dei linguaggi. Il quarto capitolo («De l'histoire au réel») indaga sul rapporto fra la scrittura e il reale; il quinto («L'amateur des signes») è dedicato ai semiologi: Genette, Jakobson, Julia Kristeva, Metz. Seguono le «Lectures», le· «grandi presentazioni» a autori come J. Cayrol, Michelet, A. Guillotat, Severo Sarduy, Brillat-Savarin, e inoltre la conferenza su Proust presentata al Collège de France, e la relazione al congresso Stendhal di Milano. Infine un testo (intitolato «FB») scritto alla fine degli anni sessanta sui frammenti di un giovane scrittore - che poi non avrebbe mai pubblicato - nel quale non compare alcuna citazione (neppure li nome dell'autore) del testo letto, ma in cui vengono sviluppati i metodi e le scelte di scrittura che Barthes avrebbe successivamente fatti prop'ri: in particolare la progressiva predilezione per il «frammento». Chiudono il volume gli interventi rubricati come «À l'entour de l'image». Per quanto riguarda il lavoro semiotico di Barthes, nella primavera 1985 è prevista la pubblicazione di una raccolta che avrà per titolo Aventures sémiologiques. Sono 15 saggi, fra i quali gli Elementi di semiologia e La retorica antica, apparsi in volume solo in italiano, il saggio «Sémiologie et urbanisme», l'analisi strutturale di un racconto di Edgar Allan Poe e di alcuni testi evangelici. Sotto' forma di Cahiers Roland Barthes 'saranno poi date alle stampe alcune documentazioni dell'insegnam1ento orale. Chi attendeva lo chef d'reuvre inconnu letterario potrà infine leggere i tre testi raccolti sotto il titolo lncident. Quello che dà il titolo alla raccolta è in effetti un inedito di «pura» scrittura, che Barthes in vita aveva esitato a pubblicare. Pausa Dato che devo interrompere queste cronache per un po' di tempo, oggi vorrei approfittare di questa pausa per spiegare un po' cosa esse rappresentano per me (non potendo sapere cosa rappresentano per altri): un'esperienza di scrittura, La ricerca di una forma (va a tutto onore di un giornale come questo dare a uno scrittore Lapossibilità di rischiare una forma che Lointeressa e che desidera lavorare). La forma cercata è una forma breve, o, se si preferisce, una forma dolce: non Lasolennità della massima, né la ruvidezza deltepigramma; qualcosa che, _a/meno tendenzialmente, voffebbe richiamarsi al haiku giapponese, L'epifania joyciana, il frammento di diario. Unaforma deliberatamente minore, insomma, ricordando con Borges che il minore non è un ripiego, ma un genere come un altro. Certo io per primo rimango confuso, quando la mia cronaca esce, nel vedere la mia piccola prosa, la mia piccola sintassi (curata), insomma, la mia piccola forma, schiacciata e come annullata dalla concitazione delle scritture che ci circondano. Ma, dopo tutto, c'è una battaglia per Ladolcezza: a partire dal momento in cui Ladolcezza è decisa, non diventa forse una forza? Scrivo accurato per morale. storico nuovo) a creareessi stessi l'avvenimento. So bene che il mio Linguaggio è piccolo («l limiti del mio linguaggio - diceva Wittgenstein - segnano i limiti del mio mondo»), ma questa piccolezza è forse utile, perché è da essa che sento a mia volta, ogni tanto, i Limitidell'altro mondo, del mondo degli altri, del «grande» mondo, ed è per dire questo fastidio, forse questa sofferenza, che io scrivo: oggi, non dobbiamo forse far intendere il più gran numero di «piccoli mondi»? Attaccare il «gran mondo» (gregario) con la divisione instancabile delle particolarità? Quest'ultima parola mi permette di designare quel che ai miei occhi costituisce il loro difetto di principio (non mi interrogo sulla buona o cattiva riuscita di questa o quella: non mi pongo, in questo momento, sul piano della performance). ILdifetto è che a ogni incidente riportato mi sento condotto (da quale forza - o da quale debolezza?) a dargli un senso (sociale, morale, estetico, ecc.), a produrre un'ultima replica. Insomma, queste cronache rischiano continuamente di essere delle «moralità», e di ciò sono scontento. Perché da tempo ho concepito Lascrittura come laforza del linguaggio che pluralizza il senso delle cose e, per finire, lo sospende. È un'impresa possibile nel Libro (LaLetteraturalo testimonia) ma che mi sembra molto difficile nell'ambito di un giornale: è anche per questo che mi è sembrata degna di essere tentata. Ecco il punto a cui sono. In cosa questa forma può tuttavia essere politica? Qualcuno mi ha detto (voce di altre voci): «Non Leggole sue cronache: pare che siano delle Mythologies meno buone». No, non sono delle Mythologies: sono piuttosto il rilievo di qualche incidente che segna, nel corso della settimana, la mia sensibilità, che riceve degli stimoli, o dei colpi. I miei scoop personali, che non sono direttamente quelli dell'attualità. Perché scriverli allora? Perché dare il tenue, il futile, l'insignificante, perché rischiare L'accusadi dire dei «nonnulla»? L'idea di questo tentativo è la seguente: l'avvenimento di cui si occupa la stampa sembra una cosa del tutto semplice, voglio dire che sembra sempre che ci sia un «avvenimento», Come esperienza di scrittura (parlo di una pratica, non di un valore) queste cronache sono per me un mod(? di far parlare (senza prevenirle, però) le voci tanto diverse che mi compongono. In un certo senso non sono «io» che Lescrivo, ma una collezione, talvolta in contraddittorio, di voci. Voci di esseri che amo e di cui assumo di passaggio i valori, voci ideologiche che sorgono dal borghese, dal piccolo borghese, o dal «brechtiano» che io volta a volta posso essere, voci arcaiche, fuori moda, voci dell'imbecillità. Queste voci hanno anche diversi destinatari: ora un tale, o una tale, ben precisi nella mia testa, ora un gruppo, ora un'altra parte di me stesso. Sono come delle prove per un romanzo (voci di personaggi ancora innominati) o per un Lavoroteatrale (genere in cui si danno delle repliche). Cena A una «cena», mi trovavo in compagnia di persone sconosciute. E, quasi immediatamente, mi annoiavo. Cercai allora di capire perché, e credetti di scoprire che non erano gli altri che mi annoiavano. Se avessipotuto rendermi invisibile mi sarei interessato alle loro parole, al loro stile, alla loro personalità, al piccolo match delle immagini sociali - insomma, alle regole e alle differenze. Ma ero paralizzato dalla paura che il mio stesso linguaggio (che prevedevo «intellettuale») apparisse incongruo e (come pensavo nel profondo di me stesso) quasi folle. Da quel momento scivolai lungo la china del mutismo: impossibile appigliarmi a alcunché. Mi annoiavo di aver l'aria di annoiarmi. Il che dimostra che la noia è proprio un'isteria. L'imperativo ~ ~ e che si tratti di qualcosa di forte. Ma, e se ci fossero anche -~ degli avvenimenti «deboli», la cui tenuità tuttavia continua a IL caso vuole che io abbia ricevuto una dopo l'altra, a titolo di scherzo affettuoso (e ben intenzionato), tre o quattro ingiunzioni: «Nori fumare più», «Non essere triste», «Non dimenticare gli occhiali», ecc. Allora penso: e se si sopprimesse L'imperativo? Se gli uomini si dessero il potere di radiare dalla lingua tutti i morfemi repressivi? Sono sempre stato affascinato dalla storia seguente, che un amico aveva colto per me in un manuale di geografia: certepopolazioni australiane, alla morte di un membro della trib.ù, sopprimevano una parola del vocabolario, in segno di lutto. Era far equivalere il linguaggio e Lavita, affermare che gli uomini hanno ogni potere sulla Lingua, che Ledanno degli ordini, invece di riceverne. agitare del senso, a designare ciò che nel mondo «non va bene»? Insomma, e se ci si occupasse, poco a poco, pazien- ~ temente, di rielaborare la griglia delle intensità? I grandi -~ media mi sembra trattino L'avvenimento come i pittori del- ~ L'Impero trattavano una battaglia celebre. Ma la pittura ha avuto un'evoluzione anche perché ha accettato di cambiare le misure: tutto Nicolas de Stael, si dice, è uscito da un ~ centimetro quadrato di Cézanne. Forse bisogna, e anche l nella stampa, tentare di resistere al prestigio delle grandi ~ proporzioni, in modo da frenare L'impulso dei media (fatto Massimo Giacon
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