• l I ◄ ' ' ' f' . ' Giornale dei Giornali DaAndropova Cernenko N ella mattina di martedì 13 febbraio il Comitato centrale del Pcus ha designato Konstantin Cernenko come successore di Andropov al comando del partito. Chi è Cernenko e qual è l'eredità del breve interregno andropoviano? Persino la trascrizione fonetica del nome del nuovo leader dà luogo in Occidente a qualche incertezza. Sui giornali italiani si trova sia la grafia «Cernenko» sia quella «Cèrnienko»; la stampa anglosassone scrive «Chernenko» e quella francese «Tchernenko». Scorriamo rapidamente i titoli dei quotidiani italiani del 14 febbraio. Per il Corriere della Sera Chernenko è Un grigio e metodico uomo dell'apparato venuto dalla Siberia. Per La Repubblica, li delfino di Breznev ha battuto il «partito dei giovani». L'Unità parla di elezione all'insegna della continuità e sottolinea L'ascesa con Breznev del nuovo segretario. La Stampa, in seconda pagina, dice: Delusione alle Botteghe Oscure. Il Giornale titola: Cernienko imposto dalla vecchia guardia grazie ai suoi 73 anni e alla sua salute malferma. A cura di Index-Archivio Critico dell'Informazione. Netto il giudizio negativo dell'Avanti!: Con la scelta del burocrate Cernenko deluse le speranze di rinnovamento. Il Manifesto indica in un titolo gli interrogativi e i paradossi suscitati dalla elezione del nuovo leader: L'Unione Sovietica torna indietro? I giovani andropoviani hanno eletto un vecchio brezneviano. Se facciamo un passo al1'estero, la musica non cambia. Le Monde sottolinea la «cattiva immagine» di Cernenko già nel titolo del suo editoriale, Une mauvaise image, appunto. Il confronto con i commenti apparsi dopo l'ascesa al potere di Andropov è del tutto sfavorevole per il nuovo capo del Cremlino. Cernenko non riscuote neppure una delle 'aperture di credito' che vennero elargite al suo predecessore. Almeno una parte di queste 'aperture' si trova ancora negli articoli di bilancio pubblicati dopo la morte di Andropov. Viene spontaneo chiedersi dove i media occidentali traggano le informazioni per elaborare giudizi su personaggi di cui si sa molto poco, in termini politici quasi nulla. Lo stesso periodo di permanenza al potere di Andropov è avvolto nel mistero. Non si sa neppure per quanti mesi, dei quindici trascorsi alla guida del Cremlino, Andropov sia stato fisicamente in grado di esercitare la propria leadership. Alcuni dei più autorevoli giornali del mondo occidentale, come vedremo, sono co!1cordi nell'affermare che la disponibilità delle informazioni è del tutto esigua e che l'attendibilità di quelle disponibili è gravemente esposta a 'inquinamenti'. Anziché addentrarci nel vasto repertorio -diarticoli che la stampa italiana ha pubblicato su Andropov, Cernenko e gli altri candidati alla successione, ci limiteremo alla lettura di alcuni articoli apparsi su giornali americani, inglesi e francesi, raccogliendo qualche elemento che può illuminare qualcosa dei complessi meccanismi informativi che operano attorno a una transizione del potere in Urss. Da questo punto di vista, accanto alla opaca ritualità e alle scarse notizie certe che accompagnano la morte dei leaders sovietici e la nomina dei loro successori, l'analisi della stampa offre un quadro che, agli Indice della comunicazione ,, angoli, mostra qualche segno meno banale. Yuri Andropov, secondo il comunicato ufficiale dell'agenzia Tass, è morto giovedì 9 febbraio alle 16,50. Con il ritardo consueto, la Tass ha diffuso il comunicato solo il giorno dopo, venerdì 10 febbraio, alle 14,30 di Mosca (12,30 italiane). A informare il mondo della morte del massimo dirigente sovietico non è stata però la Tass, ma il ministro degli Esteri francese Cheysson, alle 11,30 di venerdì, con un'ora circa di anticipo. Cheysson stava presiedendo a Bruxelles la riunione della Comunità europea con i paesi del gruppo Acp (Africa, Caraibi, Pacifico), quando qualcuno gli ha passato un foglietto. Cheysson interrompeva la seduta e annunciava «Monsieur Andropov est décedé», invitando poi i presenti a alzarsi in piedi e a osservare un minuto di silenzio «alla memoria del principale dirigente di uno dei più grandi paesi del mondo». Lo scoop di Cheysson, riferisce Le Monde del 12 febbraio, ha messo in imbarazzo la stessa diplomazia francese: «non è propriamente nell'uso diplomatico che questo genere di informazioni sia dato da un ministro straniero prima delle autorità interessate». L'episodio, in sé, non supera i modesti limiti dell'accidente curioso, ma apre un piccolo spiraglio sulla rete delle informazioni riservate. Come scrive Le Monde, sembra chiaro che la notizia è giunta a Cbeysson direttamente da Mosca, forse attraverso l'ambasciata di Francia; chi ha passato il biglietto a Cbeysson ha evidentemente dimenticato, nella fretta, di aggiungere che l'informazione era «sotto embargo», non essendo ancora diramata ufficialmente. Si può ipotizzare che le stesse autorità sovietiche abbiano informato, in via riservata, un certo numero di governi prima di rendere pubblica la notizia attraverso la Tass. Il Wall Street Joumal del 13 febbraio, in un interessante articolo su cui torneremo più avanti, racconta un altro particolare curioso sul circuito delle informazioni riservate. Si tratta di uno scoop «negativo», inverso a quello di Cheysson. Mentre la notizia della morte di Andropov si era già diffuL'informazionseprecata N e/ numero dello scorso ottobre (cfr. Alfabeta n. 53) abbiamo parlato di un articolo apparso su The Economist a proposito della ricerca condotta da un gruppo del Mit sull'offerta e sul consumo di informazione negli Usa, dal 1960 al 1977. La novità principale della ricerca consisteva nel tentativo di effettuare una stima quantitativa dei flussi di informazione, indipendentemente dal mezzo utilizzato, assumendo come unità di conto la parola. Uno dei risultati più interessanti era che il tasso di crescitadel/'offerta di informazione risultava tre volte superiore a quello di crescita del consumo. Ne derivavano due conseguenze abbastanz.a sconcertanti: aumenta continuamente la quota dell'informazione prodotta ma non consumata; le tecnologiefanno aumentare radicalmente laproduttività in termini di offerta ( assumendo come 100 il livello del 1960, la produttività di un dollaro è salita a 180), mentre la produttività iisulta diminuita in termini di informazione consumata (da 100 a 70). Il rapporto al Club di Roma, recentemente pubblicato anche in.Italia con il titolo Tecnologia dell'informazione e nuova cultura, a firma di Inoshi Inose e fohn R. Pierce, contiene ulteriori dati in questa direzione. I dati sono il risultato delle ricercheparallele effettuate da Ithiel de Sola Pool e Nozomu Tanasaki, rispettivamente sui flussi informativi negli Stati uniti e in Giappone. Anche in questo caso è stata usata la parola come unità di misura. Nel • periodo che va dal 1960 al 1975, il tasso medio annuo di crescitadelle parole prodotte dai diversi mezzi di comunicazione è stato del/'8,9 per cento negli Usa e dell'll,5 per cento in Giappone. Nello stessoperiodo, il tasso di ereA cura di Index - Archivio Critico dell'Informazione scita medio delleparole «consumate» era del 2,8 per cento negli Usae del 3,3 per cento in Giappone. «Nel complesso, si può osservare che, tenendo conto della crescita della popolazione, il consumo di informazione pro capite cresce molto lentamente mentre la produzione di informazione cresce con un ritmo tre volte superiore al consumo» (Tecnologia dell'informazione, pp. 174-75). Questi dati confermano sostanzialmente le indicazioni dello studio del Mit citato da Tue Economist. Si può stimare che, ogni anno, vi sia un aumento del 6-8 per cento dell'informazione non consumata. In dieci-quindici anni l'informazione prodotta e non consumata è aumentata perciò di oltre il 100 per cento, sia negli Stati uniti sia in Giappone. In un numero recente del settimanale The Economist compare un annuncio pubblicitario della Generai Electric Information Services, nel quale si legge: «I managers internazionali di oggi hanno più dati a disposizione di quanti ne abbiano mai avuto in passato. Ma meno informazione. È stato stimato che il 90per cento dei dati immagazzinati nel mondo non viene mai usato». L'annuncio non specifica quale sia lafonte della stima («more data, less information!»), ma possiamo ipotizzare che la Generai Electric Information Service Company si sia premurata di ricorrerea una fonte abbastanza attendibile. L'annuncio non precisa che cosa si intenda esattamente con il termine «stored data» ma, se si accetta il concetto in termini generici, il dato del 90 per cento di informazioni «immagazzinate» ma non consumate appare in linea con quanto emerge dagli studi precedentemente citati. Il quadro che comincia a delinearsi sulla base di queste stime pionieristiche - che, finalmente, quantificano alcuni fenomeni chiacchierati quanto poco conosciuti - rivela dimensioni inattese della «società dell'informazione». Le tecnologie possono aumentare vertiginosamente la produzione di «informazioni» e diminuirne altrettanto vertiginosamente il costo unitario, ma le capacità di consumo possono essere modificate solo in minima misura dalle tecnologie, poiché incontrano una rigidità noKarl Vollmoeller tevole sul lato del tempo e dell'attenzione. Ne deriva il paradosso che /'abbondanza dell'informazione provoca un aumento dei costi dell'informazione realmente utilizzata. Una prima riflessione sembra suggerire che solo un miglioramento qualitativo nella struttura dell'informazione prodotta e un aumento del tempo disponibile per il consumo possono modificare questa diseconomia che, stando così le cose, è destinata a crescere continuamente. Non ci risulta che tale fenomenologia sia ancora stata studiata adeguatamente dagli esperti di sistemi informativi e di economia, nonostante le enormi implicazioni che ne derivano nel disegno di una società modellata dalle nuove tecnologie di informazione e di comunicazione. È probabile che emergerà una tendenza a considerare «fisiologica» la continua crescita dell'informazione «sprecata» - cioèprodotta e non consumata - sulla base della «ridondanza» necessaria a assicurare la completezza e la varietà di informazione disponibile. Per essere accettata, questa tesi deve però esibire qualche criterio che consenta di distinguere la ridondanza che incrementa l'efficienza comunicazionale di un sistema e la ridondanza che costituisce solo la misura delle risorse che, rimanendo permanentemente inutilizzate, costituiscono un semplice spreco, un'inefficienza del sisiema. La questione, com'è chiaro, ha non poche implicazioni anche sul terreno teorico e filosofico. Si pensi, per esempio, alla descrizione dell'«ambiente postmoderno» fatta da Lyotard, nella quale i parametri di efficienza e di performatività del comunicare assumevano un ruolo centrale. I dati empirici sembrano rimettere in discussione proprio la possibilità di interpretare univocamente i concetti di «efficienza» e di «performatività»: ciò che appare «efficiente» secondo un certo paradigma sistemico, può essere simultaneamente «inefficiente» secondo un altro paradigma. La stessa predicabilità di «efficienza» del macrosistema informativo è rimessa in questione. Lasciandoci alle spalle i problemi di ordine teorico, può essere interessante citare un altro dato. Secondo una società americana di ricerche di marketing, lo Yankee Group, 1'80 per cento dei knowledge workers che negli Usa impiegano un persona/ computer, vi fa ricorso per meno di mezz'ora al giorno. Si tratta di un indicatore molto diverso, meno «strutturale», di quelli citati in precedenza. Il sottoutilizzo delle capacità di elaborazione messe in circuito dalla microinformatica può essere attribuito a cause contingenti: per esempio, alle scarse potenzialità «conversazionali» dei persona/ computers della prima generazione o all'impatto della cultura informatica su lavoratori sprovvisti di una preparazione adeguata. In questo senso, l'evoluzione dei microcomputers verso forme più «soffici» di interazione fra uomo e macchina, così come il miglioramento della preparazione di base, può modificare il dato nel giro di pochi anni. È anche possibile che, in futuro, un uso più intenso e più qualificato dell'informa tica distribuita risulti uno dei fattori decisivi per ridurre il tasso di informazione «sprecata». Per il momento, anche l'informa tica distribuita è una risorsa sottoutilizzata. Annuncio pubblicitario della Generai Electric Information Services Company in The Economist 14 gennaio 1984 Hiroshi Inose e John R. Pierce Tecnologia dell'informazione e nuova cultura Milano, Mondadori, 1983 pp. 215, lire 28.000
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==