Alfabeta - anno VI - n. 58 - marzo 1984

Primaopoi omai L a questione della cosiddetta «post-emergenza» è particolarmente ambigua e inafferrabile. È bene perciò partire da alcuni dati di fatto. - I detenuti per motivi e fatti politici ammontano oggi in Italia a varie migliaia (pare tra le tre e le quattro). - L'increJQento della popolazione carceraria nell'ultimo anno è valutabile in circa 8000 unità, tanto che il numero globale dei detenuti è attualmente di circa 43.000. - Esiste in Francia una vera e propria «comunità» di esuli politici italiani, al pari di quelli dell'Iran di Khomeini e del Cile di Pinochet. - Vi è inoltre un consistente numero di incriminati (sempre per fatti politici) che sono a piede libero con pendenze varie, nonché una quantità di «sospesi», ex militanti delle formazioni più o meno estremiste, che vivono nel terrore continuo di qualche residuale, ma non meno micidiale, impennata antiterroristica. - Vi sono infine altrettante e più migliaia di persone toccate da questi problemi per rapporti familiari, di amicizia, ecc., con detenuti o «deteni bili». Tutto ciò è, o dovrebbe essere, troppo per uno Stato dell'Europa occidentale. E non tanto per la contraddittorietà con i principi democratici proclamati, che è «fisiologica», ma per la tendenza ormai consolidata negli Stati contemporanei a ridurre il più possibile l'area della penalità. Si può dire con buona approssimazione che, tutto sommato, per motivi economici e politici propri del potere, la quantità di repressione penale esercitata è nel medio/lungo periodo quella strettamente necessaria al mantenimento dello stato di cose esistente. Ciò vale sicuramente per la criminalità comune, per la quale il controllo segregativo cede quote a forme di controllo più o meno «forte» disseminate nella società. Ma a maggior ragione vale per la cosiddetta criminalità politica, la cui repressione per via penale crea alla lunga problemi di legittimazione. Può accadere però che, nel breve periodo (ma le previsioni sulla durata risultano difficilistante il combinarsi di momenti di conflittualità sociale con le esigenze del «Warfare State»), vi siano delle impennate verso l'alto del tasso di repressione penale. Questa è la situazione degli ultimi anni un po' in tutti i paesi europei, tanto che i politici sono stati più di una volta costretti a rivolgere pressanti inviti a giudici e polizia perché facciano ricorso al carcere nella misura più circoscritta possibile e infliggano pene di minor lunghezza. Vanno in tal senso sia alcune circolari del ministro della Giustizia francese, Badinter, che le raccomandazioni contenute nel rapporto annuale (marzo '83) del Chief Inspector delle carceri inglesi, i cui «ospiti» rischiano di aumentare dai 44.000 attuali a ~ 1::1 50.000 nel giro di sei o sette anni, .s secondo le proiezioni sulla base ~ del trend attuale (Report of H. M. -00 V) Chief Inspector of Prisons, London, Hmso, 1983). In Francia e in Inghilterra tutto ciò si è verificato sulla base del funzionamento ordinario delle corti e del sistema normativo (in Francia, per esempio, le campa- ~ gne per l'«ordine» avevano come l oggetto la criminalità di strada). In ti Italia, invece, unaanalogadinamica complessiva si è sviluppata in coincidenza, a causa, e comunque all'insegna, dell' «emergenza terroristica». E sicuramente vi è stata una particolarità tutta italiana data dalla presenza di un tasso di violenza politica che nel periodo 1977-82 ha raggiunto un livello e una estensione sconosciuti agli altri Stati europei, Rft compresa. Tale particolarità è stata spesso enfatizzata e utilizzata a fini politici (emergenza e governi di unità nazionale), che comunque non spiega tutto (come fa pensare la sincronicità con le dinamiche di altri Stati) ma che richiede in ogni caso considerazioni appropriate, come vedremo più avanti. Strategie penali Individuati i dati essenziali della situazione nella sua fase alta, va data una scorsa alle tendenze oggi esistenti nel potere a proposito dei mezzi e dei modi attraverso i quali riportare il tasso di penalità ai suoi Amedeo Santosuosso alle proposte concrete e ai disegni di legge effettivamente presentati al Parlamento, cercando di individuarne la logica di fondo. Una prima questione è quella della differenziazione processuale. Secondo i suoi teorici, non è possibile trattare secondo le stesse regole procedurali i vari tipi di criminalità, quella «minore» e quella organizzata - e, all'interno di quest'ultima, quella politica e quella mafiosa e quella camorristica, ecc. Sarebbero perciò necessari diversi riti (più o meno garantisti, è da dedurre) e diversi giudici, con specifiche conoscenze nella materia trattata. È una questione di professionalità, alla quale si ritiene possano essere sacrificate alcune garanzie del cittadino inquisito. Una linea del genere, che è pericolosissima perché porta alla formazione di Corti speciali e alla individualizzazione inevitabilmente arbitraria delle norme processuali (chi e come stabilisce se un furto - poste di legge, presentate entrambe da parlamentari della sinistra (n. 806 della Camera dei deputati e n. 23 del Senato), per la regolamentazione delle carceri speciali o di massima sicurezza, di quelle carceri cioè che, all'interno delle diverse gradazioni di durezza che di fatto esistono nel sistema carcerario, rappresentano la punta distruttiva massima, riservata ai de~ tenuti considerati dall'amministrazione irrecuperabili a vario titolo, politico o sociale. • I proponenti partono dal presupposto che «la minaccia di trasferimento in carceri di massima sicurezza rappresenta uno strumento di governo dei detenuti con il terrore che incute» (relazione alla proposta n. 23) e si propongono di ... regolare per legge il terrore. Mentre è chiaro che il terrore rimane tale sia «somministrato» per via di legge che per via amministrativa. Anche in questo caso non è chiaro se queste proposte saranDie Insel der Seligen (Union, Berlino 1918), regia di Max Reinhardt. livelli ordinari. Nelle grandi linee si può dire che sono presenti due orientamenti. Secondo alcuni, l'emergenza terroristica è cessata ma è necessario fronteggiare una nuova emergenza, quella della criminalità organizzata (mafia, camorra, «nuovi mostri», ecc.), che richiede l'utilizzo e l'estensione degli strumenti eccezionali ·già sperimentati nei confronti del terrorismo. Per altri, invece, cessato il pericolo del terrorismo, è possibile rientrare nella «ordinarietà» attraverso l'inserimento, in corpi di leggi definite ordinarie, delle acquisizioni migliori della lotta alla violenza politica (vedi le tesi sostenute, tra gli altri, da Neppi Modona). Non ritengo particolarmente interessante questo tipo di discorsi, che si risolvono in un dibattito sulle forme di copertura ideologica, più o meno lungimirante, di proposte e strategie che sono spesso sostanzialmente coincidenti e che puntano, nell'un caso come nell'altro, alla sistematizzazione e alla diffusione degli «ammodernamenti», introdotti in forza dell'emergenza, ai quali non si vuole più rinunciare (banche dati, carceri speciali, accentuazione soggettiva e inquisitoria del processo, riduzione sostanziale dei diritti di difesa, ecc.). Più utile è dare una scorsa reato minore - rientra per esempio nell'attività di una organizzazione camorrista?), ben difficilmente avrà organica attuazione. È più probabile invece che essa si faccia strada come principio ispiratore di riforme settoriali. Qualcosa del genere sta accadendo per la legge sulla carcerazione preventiva, il cui testo - in discussione in questo periodo (gennaio 1984) alla Camera - prevede una diversificazione dei sistemi di calcolo della sua durata massima, che rimane comunque a livelli molto elevati per i reati più gravi (politici e non), mentre viene ridotta per gli altri. Rimandando a legge approvata una critica più puntuale, può rilevarsi sin da ora che il dato sul quale sono d'accordo un po' tutte le forze politiche è proprio quello della differenziazione del computo della carcerazione cautelare sulla base del tipo di reato e - fatto ancora più grave - del comportamento processuale del reo. Il che, considerati gli effetti di fatto e di diritto che lo stato di libertà o meno ha sull'andamento e sull'esito del processo, costituisce sicuramente una prima importante introduzione dei principi della differenziazione processuale. Altro settore nel quale si cimenta l'impegno riformatore è il carcere. Vi sono attualmente due prono mai approvate, anche perché vi sono resistenze da parte dell'amministrazione penitenziaria che paventa-forse con scarsa lungimiranza - qualsiasi meccanismo che possa intralciare la sua libertà di classificazione dei detenuti. Attualmente, infatti, il sistema è affinato, moderno e niente affatto casuale. È raccomandabile la lettura della «Circolare della Direzione generale per gli Istituti di prevenzione e pena» del 3 agosto 1983 (pubblicata in Il Foro Italiano, novembre 1983, II, pp. 473 sgg.), dalla quale emerge con quanta lucidità l'amministrazione classifichi i detenuti secondo le loro idee, anche indipendentemente da concreti fatti commessi, e utilizzi i diversi gradi di «terrore» per indurre modificazioni in esse. Dicevo che non è sicura la ratifica legislativa di questo sistema, che rispolvera la vecchia categoria degli irrecuperabili. È probabile che il problema venga affrontato per vie indirette, attraverso la conservazione del regime duro amministrativo ( via art. 90 rif. pen.) per gli irrecuperabili, e per i livelli più bassi di sicurezza la concessione di migliori condizioni di detenzione (come di fatto già è), combinate con l'apertura di possibilità soft (misure alternative, ecc.) e con forme di vera e propria non punibilità per quei detenuti che abbiano mostrato un atteggiamento collaborante e/o abbiano dichiarato la loro «lealta». Strettamente collegata all'argomento sin qui trattato è la proposta di legge contenente «Nuove misure per la difesa dell'ordinamento costituzionale attraverso la dissociazione dal terrorismo» (n. . 221 del Senato), che prevede la non punibilità di reati associativi, e altri a essi connessi, e il ripristino di alcune garanzie processuali per coloro (e solo per essi) che «prendono le distanze, criticano, pretendono di dimostrare di non aver mai condiviso o anzi di aver avversato e di avversare l'ipotesi politica e la pratica della lotta armata» (dalla relazione alla proposta n. 221). La proposta, che pure nelle intenzioni dichiarate dei suoi sostenitori dovrebbe segnare l'uscita dall'emergenza, reintroduce in realtà l'elemento soggettivo del «pentimento politico» contro il quale si è battuta e formata la cultura giuridica moderna, proprio per evitare quei pesanti interventi sulle coscienze che erano tipici dell'Inquisizione. Giusto per finire la carrellata sugli orientamenti attuali in materia penale va fatto un cenno alle misure ventilate dal governo per i sequestratori di persone, i «nuovi mostri». Tra le varie norme, ve ne è una che merita di essere segnalata: prevede il reato di «omessa denuncia» per tutti coloro i quali siano a conoscenza, per qualsiasi motivo, di notizie relative a un sequestro di persona e non informino le autorità. L'utilità pratica di questa norma - che periodicamente si tenta di introdurre - è discutibilissima. In Inghilterra, dove esiste dal 1976 per i fatti di terrorismo, fino al 1980erano stati in tutto avviati processi contro tredici persone, delle quali solo una era stata riconosciuta colpevole. I pericoli sono invece molti, sia per la libertà di stampa che per quelle di tutti i cittadini, e per giunta noti da tempo. Scriveva nel 1893 il giurista P. Nocito: «E, per fermo, costringere alcuno alla rivelazione sotto -la minaccia di una pena è peggio che allettarlo con la prospettiva d'un premio, giacché l'aspirare ai premi è cosa volontaria, mentre il rimuovere da sé il pericolo della pena è cosa obbligatoria, e nessuno può essere incolpato se pensò di rivelare cose che non avevano fondamento, giacché egli può allegare a sua difesa la minaccia d'un probabile castigo se non avesse rivelato ciò che a lui pareva un reato sebbene impotente a produrre alcuna prova. Così i cittadini vengono esposti ad accuse infondate senza che il delatore possa portare la pena delle sue temerarie accuse» (voce «Alto tradimento», in Il Digesto Italiano, vol. II, Torino 1983). Dando uno sguardo d'insieme a quanto fin qui esposto si può dire che la legislazione penale sembra muoversi secondo due idee di massima. In primo luogo, si introducono e si valorizzano tecniche e modalità «immateriali» il cui unico fine è la mobilitazione e il controllo delle coscienze degli imputati, dei detenuti e, più in generale, di tutti i cittadini. Così è per la classificazione dei detenuti sulla base delle idee, politiche e non, e per l'omessa denuncia. Ma così è anche per la dissociazione, questa sorta di «Inquisizione in bonam partem», il

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