- • LareazioneWassermann Jacques Revel «Malattia e malessere sociale» in Prometeo, a. I, n. 3, 1983 pp. 56-57, lire 8000 Francesco Bossa «Che cos'è la biochimica» ivi, pp. 111-14 Paola Corti «Medicina e cultura» ivi, pp. 147-49 Ludwik Fleck Genesi e sviluppo di un fatto scientifico. Per una teoria dello stile e del collettivo di pensiero trad. it. di M. Leonardi e S. Poggi Bologna, Il Mulino, 1983 pp. 256, lire 20.000 P er decenni la filosofia della scienza è stata piuttosto una filosofia della fisica o della matematica o di ambedue. Si diceva generalmente «scienza» ma si intendeva quella parte di essa che riguarda la natura inorganica, e molti sono cresciuti nella convinzione che quel che contava, il primum sotto ogni aspetto, fosse il mondo delle cose e dei fatti inclusi dalla fisica nel proprio campo di studio. Il resto veniva ritenuto un'appendice sostanzialmente riducibile ai termini di quel primum e perciò di interesse affatto secondario; né a ben guardare poteva essere altrimenti quando si ricordi che i positivisti logici, promotori e, di fatto, unici gestori di questo ambito di discorso, hanno spesso indicato il loro neoempirismo come frutto della riflessione sul significato filosofico della teoria della relatività. Certo non mancavano sporadiche incursioni nel «disordinato» campo delle scienze della vita, ma si trattava o di riferimenti puramente neutri - in un'ottica statistica e probabilistica, per esempio, dove non aveva importanza che gli oggetti considerati fossero sfere metalliche, protozoi o sassi - o di deboli tentativi riduzionistici o, più frequentemente, di presunte ma non dimostrate possibilità di estensione di quel che era ritenuto valido per la fisica alla biologia. È solo da pochi anni che si è sviluppata, sia pure in modesta misura, qualche attenzione per le scienze della vita, forse a motivo della saturazione del campo delle riflessioni sulle scienze fisiche propriamente dette, ridondante di una sterminata letteratura, o forse al seguito della «scoperta» filosofica del corpo, avviata dalla convergenza di temi e criteri antropologici, fenomenologici, psicoanalitici, e altri ancora. Così, per fare un esempio, su Prometeo n. 3 sono apparsi ben tre scritti di carattere medico-biologico. Di uno (F. Bossa) si può solo dire che la tirannia dello spazio ha ....,. bloccato l'autore al punto delle ~ prime indicazioni, meramente de- ~ scrittive, dei fenomeni di cui si oc- -~ ~ cupa la biochimica; per cui è del ~ tutto improbabile che il lettore av- -. verta la dimensione più problemae tica e interessante di questa disci- ~ plina di frontiera così come l'hanE no mostrata i grandi biochimici, 00 lr) da Albert Szent-Gyorgy a Irving ~ H. Page, da Marcel Florkin a Paul ~ Elsasser, e cioè con tutti gli inter- i rogativi posti dalla sua qualità di ~ sapere partecipe di razionalità diverse, dagli ostacoli incontrati nella spiegazione delle funzioni biologiche di ordine superiore, dal suo incontro con altri momenti teorici di grande importanza come quelli dell'evoluzione e della biopoiesi. Il breve scritto di Paola Corti riguarda invece gli studi sulla risposta popolare, nei suoi diversi aspetti, alla presenza della medicina nella società, e quindi il complesso intreccio di interazioni che toccano e modificano l'immagine della malattia, il suo vissuto, il tradizionale insieme di riferimenti in cui è collocata. Il termine «cultura» che compare nel titolo è dunque inteso nell'accezione antropologica. Il problema della peste Di analogo orientamento è l'articolo dello storico Jacques Revel, che affronta sostanzialmente lo stesso tema esteso a società differenti per la loro disposizione nel tempo e nello spazio. Le grandi pandemie di peste, da quelle del Medioevo a quella del 1920-30nel Madagascar, vi hanno una parte fondamentale anche perché al loro seguito si manifestarono gravi turbamenti dell'ordine sociale e sedizione contro l'autorità, il cui carattere sacrale o comunque indiscutibile appariva fortemente in crisi di fronte allo strapotere del morbo, sicuro indizio della perduta benevolenza divina, oppure più radicalmente dell'inerzia della divinità stessa. Affermazioni correnti in questo ambito di ricerca: espresse, per esempio, iQ modo convenientemente articolato nel libro di Barbara Tuchman, Uno specchio lontano (trad. it., 1979) dove, attraverso la biografia del nobile Enguerrand de Coucy, sono ricostruite le vicende della pestilenza del 1348-50 (quella del Boccaccio) e soprattutto ciò che ne seguì, vale a dire la fine dello spirito medioevale e del suo provvidenzialismo passivo, la nascita della nuova coscienza mondana che, per citare un celebre passo di Machiavelli (datato 1517) contro le sopravvivenze dei vecchi tempi, irrideva chi era «di sì poco cervello che creda, se la sua casa ruini, che Dio la salvi senz'altro puntello». Meno corrente, anzi alquanto stravagante, risulta l'accenno alla peste del Madagascar che avrebbe «rimesso in discussione nella loro globalità le rappresentazioni dei rapporti sociali tipiche di una situazione coloniale». 1920-30: un decennio nel corso del quale sembra che già altri eventi e altre considerazioni, dalla rivolta del Riff alle controversie sulle colonie nella sinistra europea, avessero scosso le rappresentazioni del potere coloniale da parte degli amministrati, e non solo nei possedimenti francesi d'oltremare; che poi la peste in aggiunta a tutto il resto abbia esasperato i malgasci non è difficile credere. Ambigua cifra di lettura, o forse modo di esprimersi incerto, che produce l'impressione di un rinvio a eventi fatali e tenebrosi, i soli che potessero preannunciare l'inizio della fine dell'impero coloniale francese. Un altro punto che desta perplessità è la propensione a disporre sullo stesso piano pratiche terapeutiche attuate in varie epoche e società, ricorrendo all'ovvia considerazione che tali interventi sorgono e crescono in sistemi simbolici Ernesto Mascitelli coerenti; la differenza dei risultati - cioè quanto più conta in un'attività rigidamente finalizzata come quella medica - viene così ridotta a elemento di secondo piano, di interesse molto relativo. Non si tratta né di adorare le divinità dell'efficientismo né di essere biecamente eurocentrici e positivisti, ma di aver ben chiaro che si tratta di operazioni in cui il raggiungimento del fine è criterio assolutamente prioritario; fra il trattamento deHa sprue con riti apotropaici e quello con antibiotici non esistono dubbi di sorta - come è fin troppo banale ricordare - per quanto concerne il conseguimento dello scopo. Quel che intendo dire ricorrendo a simili ovvietà è che mi sembra già fuorviante il solo fatto di non esplicitare l'importanza dei risultati nella formazione dell'immagine sociale della malattia e di quanto a essa variamente si connette. Questo limite rende meno convincente il resto pur apprezzabile del discorso di Revel. Maria Carmi, protagonista di DasMirakel e Eine venetianischeNacht, in una foto pubblicitaria. I collettivi di pensiero Il libro di Ludwik Fleck riguarda la medicina per tutt'altro aspetto, e ha una storia che conviene tratteggiare brevemente. Stampato in Germania nel 1935, fu venduto in ragione di circa duecento copie e, nonostante l'ottima accoglienza della stampa medica, non ebbe la minima risonanza tra i filosofi della scienza. Il suo attuale repechage - nuova edizione tedesca, traduzioni inglese e italiana - dipende dal fatto che Thomas Kuhn, uno dei maggior esponenti del nuovo corso epistemologico, lesse il libro per la prima volta intorno al 1950, apprezzandolo poi in misura crescente. Si tratta dunque di un lavoro in cui il fatto scientifico di cui si parla appartiene alla sfera della patologia e le considerazioni intorno a esso alla «teoria della conoscenza», per usare le parole dell'autore. Il -quale fin dalla Premessa dimostra di essere ben consapevole che detta teoria «prende in considerazione, come i soli fatti sicuri e degni di esame, quasi_esclusivamente i fatti primitivi della vita quotidiana o della fisica classica». Il riferimento indica la lontananza del medico polacco dalle nuove idee diffuse dal Circolo di Vienna e dai suoi ulteriori sviluppi; non più di fisica classica, se vogliamo dare all'espressione il significato corrente all'epoca, si tratta ma dell'insieme dei suoi rapporti con la fisica contemporanea (relatività e quantistica), divenuta oggetto praticamente unico della riflessione che si chiama ora più che volentieri epistemologica. Nella lucida Introduzione all'edizione italiana, Paolo Rossi riassume con l'abituale acutezza le tesi più attuali presenti nel libro e il loro intreccio con lo schema o il quadro storiografico che «alcuni epistemologi hanno costruito e all'interno del quale amano oggi collocare le loro opere», sottolineando il «carattere in gran parte mitologico» dell'intera vicenda; per dirla in parole più rudi, siamo già nel bel mezzo della caccia al precursore, attività che in questo caso sembra orientata a corroborare con qualche ascendenza gentilizia le idee ora circolanti sulle teorie scientifiche che restano, ben s'in- . tende, quelle della fisica. Ma - come ammoniva Koyré - considerare qualcuno come precursore di qualcun altro vuol dire sicuramente impedirsi di comprenderlo; ed è proprio questo avvertimento che ho cercato di tener presente nel leggere il libro. Tra i punti più interessanti sotto l'aspetto epistemologico va posta in primo luogo la tesi che i dati non sono separabili dalla teoria; osservazione del tutto pacifica per uno scienziato, ma non così per gli spiriti astratti che la ignorarono per decenni, e che costituisce l'anima stessa di una disciplina scientifica non solo nel senso di differenziare il dato dal fatto generico dell'esperienza comune, ma nel senso di promuovere la conoscenza di nuovi fatti (e cose) concepibili soltanto come dati di un sapere specifico. La febbre, per esempio, è un fatto dell'esperienza comune; per diventare un dato o un fatto scientifico deve essere inserita in un complesso di conoscenze di vario genere; gli ormoni della corteccia surrenale sono invece nati come fatti scientifici, impensabili al di fuori del contesto endocrinologico che ne ha promosso l'identificazione. In secondo luogo - continua Fleck, - la scienza è un'impresa sociale che necessita di un consenso organizzato; i membri di una comunità scientifica - affermerà poi Kuhn - possono credere tutto quello che vogliono se prima decidono su cosa concordare; l'ipotesi, la congettura, l'interpretazione - dirà Feyerabend - si mettono ai voti. In questo caso non occorre cercare esempi storici vicini o lontani: siamo testimoni di ciò che sta accadendo alla teoria darwiniana dell'evoluzione, oggetto di una serrata disputa tra conservatori, revisionisti e critici radicali di. vario segno. La socialità - prosegue l'autore - si coglie anche attraverso quelli che egli chiama «collettivi di pensiero», ciascuno provvisto di un suo «stile», corrispondente m qualche misura ai vari momenti della storia di una scienza e alla specializzazione ritagliata al suo interno; ne consegue che variano i. criteri di razionalità tanto nel tempo quanto nei settori specialistici e che ogni criterio è organizzato intorno a un nucleo teorico ritenuto, per forza di cose, vero; dal che discende poi la formazione dogmatica degli esperti, motivo di resistenza al nuovo e di sforzi miranti a conservare la compagine tradizionale della disciplina. La reazione di Wassermann Fin qui le concezioni epistemologiche del batteriologo polacco, attualmente riemerse per altre vie e oggetto di discussione tra i filosofi della scienza. Ma quel che merita di essere ancora segnalato è che il fatto scientifico studiato in dettaglio da Fleck è la reazione di Wassermann per la diagnosi sierologica della sifilide, la «malattia maledetta che disonora», la cui idea fu per secoli legata a quella del castigo della carne in seguito ai suoi peccati, la malattia «venerea» per eccellenza, la più grave e la più palese sia per la sintomatologia dermatologica, sia per le conseguenze neurologiche che la ricongiungevano al mondo abissale della follia, sia, infine, per le stigmate ereditarie che inveravano antiche maledizioni. Forse a un'analisi attenta non può sfuggire il fatto che l'originalità della reazione venga alquanto esagerata; in realtà, quando il valentissimo gruppo di Wassermann si mise al lavoro, la sifilide, come è ovvio, era già stata collocata nel quadro generale delle malattie infettive e lo studio dei sieri immuni aveva già portato, nel decennio 1890-1900, alla scoperta delle più importanti reazioni sierologiche. Senza di ciò la reazione di fissazione (o deviazione) del complemento, come anche si chiama la Wassermann, non poteva nemmeno essere pensata. L'elemento chiave di tutta la storia è appunto il complemento o - per usare il nome datogli da Bordet (1894-95)- l'alexina, la sostanza termolabile del siero che svolge una funzione immunitaria essenziale; e tale sostanza (oggi dovremmo usare il plurale) fu scoperta lavorando sul vibrione del colera, e apparteneva quindi all'ambito generale della sierologia. Ricordo queste poche notizie per sottolineare il fatto che la genesi della reazione di Wassermann è tutta interna al capitolo dell'immunologia dell'epoca, argomento particolare del grande trattato sulle malattie infettive che in quegli anni mani numerosissime stavano scrivendo; l'originalità della reazione sta principalmente nel fatto che fu messa a punto quando ancora non erano disponibili culture in vitro di Treponema pallidum e solo un anno dopo l'individuazione di questo da parte di Schaudinn. Ciò conferma lo spirito, se non sempre la lettera, del lavoro di Fleck, il cui carattere più evidente è il realismo critico che funge da filo conduttore e da cornice del discorso; e per ciò basterà pensare alla distinzione operata tra «scienza delle riviste» e «scienza dei manuali»; la prima «provvisoria, incerta, ricca di sfumature personali», la seconda derivante dall'inclusione del nuovo all'interno del collettivo di pensiero secondo un criterio che, al di là delle apparenze, «consiste unicamente nell'accertamento della coerenza stilistica di un sapere». Un'opera dunque di profonda penetrazione nella complessa materia, ancora oggi a mezzo secolo dalla sua comparsa, e un pensiero dispiegatosi fuori dagli schemi dell'epistemologia dominante. Evento che ci rinvia a quanto detto in apertura quasi in forma di rivincita.
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