Alfabeta - anno VI - n. 58 - marzo 1984

Albrecht Diirer Mdencolia I {incisione, 1514) Raymond Klibansky Erwin Panofsky Fritz Saxl Saturno e la malinconia. Studi di storia della fdosof"aa naturale, religione e arte trad. it. di Renzo Federici Torino, Einaudi, 1983 pp. XXV-402, lire 60.000 Autori vari La malinconia nel Medioevo e nel Rinascimento a c. di Attilio Brilli Urbino, Ed. Quattro Venti, 1982 pp. 186, lire 18.000 Robert Burton Anatomia della malinconia. Introduzione a c. di Jean Starobinski trad. it. di Giovanna Franci Venezia, Marsilio, 1983 pp. 195, lire 18.000 Mario Galzigna «L'enigma della malinconia. Materiali per una storia» in aut aut n. 195-196 Firenze, La Nuova Italia, 1983 lire 5500 {pp. 75-97) LI angelo è seduto, inchiodato dal peso delle ali possenti. Il pugno chiuso sostiene il volto velato da un'ombra torbida. Gli occhi sembrano inseguire un pensiero ossessivo. Una mano, abbandonata in grembo, contiene l'estremità di un compasso. Sotto la mano si intravede appena il dorso di un libro serrato da un sigillo. Sul fianco scivolano, incustoditi, una borsa e un mazzo di chiavi. Intorno è disseminata una moltitudine di utensili e strumenti di misura. In un angolo giace persino una bestia tramortita. Accanto all'angelo un putto alato reclina la testa, distratto in misteriose faccende. Una scala è accostata al muro e, al centro, si staglia un blocco di pietra mutilato da un lavoro interrotto. Sullo sfondo ristagna il mare: metallico, costretto in un arcobaleno incolore. Il cielo, maltrattato dai raggi impazziti dell'astro meridiano, non si mostra neppure. Ai margini si scorgono appena i tetti di un villaggio lontano. Sul mare un orrido pipistrello si innalza spiegando le ali. Così Diirer ha rappresentato Melencolia, edificando un labirinto simbolico insidioso, traboccante di oggetti e segni allusivi. Dinanzi a essa lo sguardo, continuaménte· dirottato dalla forza suggestiva di ogni particolare, si smarrisce mentre risuonano irresistibili richiami all'interpretazione. È difficile sottrarsi al fascino diabolico r--.. di questa immagine, alla mania in- ~ i::s terrogativa che sorprende imme- .5 diatamente lo spettatore. E il testo ~ ormai classico di Klibansky, Pa- ~ nofsky e Saxl, finalmente disponi- ....., bile nella traduzione italiana, esalc ta· gli effetti centrifughi di questo ~ i::s strano influsso. ::: L'opera, che segue storicamente CO lr') la nozione di malinconia e il suo rapporto col segno di Saturno, si è ~ sviluppata attorno a _unsaggio del l 1923 di Panofsky e Saxl dedicato ~ proprio all'incisione di Diirer. Ma alinconia quando in seguito i due studiosi vollero aggiornare la loro fatica il testo cominciò a dilatarsi, a richiedere nuovi supplementi, a coinvolgere altre persone, a suggerire indicazioni verso più impegnativi percorsi. Intanto il lavoro si complicava a causa di avverse coincidenze che banno ritardato di molti anni la sua realizzazione. L'impresa si è poi in qualche modo conclusa eppure, ancora inappagati, gli autori avvertono che «si sarebbero potuti introdurre altri particolari», che «certi punti controversi avrebbero potuto essere discussi più a fondo», che «ci sono molti temi connessi che avrebbero potuto essere seguiti». In effetti, la poderosa indagine non esaurisce affatto tutte le possibili implicazioni dell'argomento, non risolve lo smarrimento di fronte all'enigma della malinconia, ma moltiplica ulteriormente le domande e le fughe interpretative. LI influenza fuorviante di Saturno si rivela potentissima in un altro testo, più remoto e illustre, l'Anatomy of Melancholy di Robert Burton. Il libro, meticoloso inventario di tutti gli aspetti e gli effetti possibili del 'mal di Saturno', è una tipica costruzione barocca, così infarcita di citazioni, di ramificazioni, di allusioni, di parafrasi, che mobilitano mille saperi e confondono continuamente il corso dell'argomentazione. Per esplicita ammissione dello stesso autore, inguaribile malinconico, l'Anatomia è un macaricon, un groviglio di pensieri e voci prese a prestito, perché «non possiamo dire niente, se non ciò che è già stato detto». La parola sulla malinconia, così scaltrita dalla consapevolezza della sua sterilità, è già rassegnata al delirio della ripetizione: sa che non potrebbe seguire in alcun modo un unico e preciso registro. E allora - suggerisce maliziosamente Burton - «date pure alla malinconia il significato che volete, proprio e improprio, come indole o comportamento, come piacere o dolore, e definitela istupidimento, malcontento, timore, dolore, follia, nella parte o nel tutto, in senso proprio o metaforico, è sempre la stessa cosa». Così ben si esprime il disagio di dover svolgere un argomento che sfugge a ogni argomentazione, di tentare un discorso sempre dirottato dall'irruzione improvvisa di altri innumerevoli discorsi. Eppure l'autore non riesce a sottrarsi al delirio, alla coazione di parlare comunque del suo stesso male, di circoscrivere in qualche modo i suoi torbidi domìni, di risalire alle cause che lo alimentano e enumerare, infine, ma senza più convinzione, i rimedi possibili per resistere alle sue fascinazioni. Anche l'utile reader curato da Attilio Brilli manifesta l'antico «imbarazzo» rispetto alla complessità dell'argomento. Ma la difficoltà si risolve in qualche modo attraverso una calibrata selezione di materiali storiografici che, pur descrivendo con ragionevole cautela soltanto alcuni perimetri di questa «dimensione proteiforme», lasciano ugualmente emergere l'inquietante «intersezione dei concetti di Rodolfo Montuoro poesia e scienza medica, di antropologia e di morale; di pregiudizio e analisi sperimentale». Diventa poi ancor più difficile, per chi si accosta alle mutevoli espressioni della malinconia, stabilire un giudizio e decidere se rappresentano un segno di pazzia o di estrema saggezza, di eccessiva cura o assoluto abbandono. Dinanzi a Democrito che, come un folle, rideva di tutto senza apparente ragione, Ippocrate, stupefatto, scopriva i segni di una superiore e profonda verità. E Aristotele, in un suo ben noto problema, osservava che «tutti gli uomini eccezionali nell'attività filosofica o politica, artistica o letteraria, hanno un temperamento 'melanconico'». Areteo indicava invece nella malinconia la «fase iniziale della follia». Nel Medioevo l'acedia, quel «languore della mente», quel taedium boni interioris che tormenta l'uomo religioso nella solitudine dell'eremo o tra le ombre della r----------·-·---···· HoLie~esa~enteuer amAt rsee I ••IH-..,. 1.11 ~1t,;jt i~t. i ____ , ...... ,_,_,,,. Pubblicità per i film di Felix Dormann. cella claustrale, è temuta come la più tremenda insidia del diavolo ma talvolta compare nell'elenco delle 'astuzie' divine che preparano il penitente alla beatitudine. Per Ficino e Melantone la malinconia sarà «eroica», per Kant «sublime». Kierkegaard ne parlerà come di una dolce e leggera commozione riferendosi al turbamento estetico; diverrà, invece, l'orribile peccato di Nerone nella Lettera dell'assessore Guglielmo. 11 concetto di malinconia sarà sempre intricato da questa irriducibile ambiguità. La_molteplicità e la differenza dei significati che potrebbe contenere illudono la pretesa di scoprirne il segreto senso: ogni spiegazione potrebbe essere rovesciata da un motivo contrario. La malinconia si presta più facilmente ali' «anatomia», all'enumerazione, alla ricognizione esterna, alla descrizione: sfugge a ogni tentativo di comprensione, non concede nulla di più che la semplice esibizione del sintomo. Nel saggio Lutto e malinconia Freud ha sottolineato l'assoluta incapacità da parte del soggetto malinconico di esprimere il motivo della sua sofferenza psichica. E Kierkegaard conosceva bene questo effetto così enigmatico: «Vi è qualcosa di inspiegabile nella malinconia. Chi ha dolori e preoccupazioni sa perché è triste e preoccupato. Se si domanda a un malinconico quale ragione abbia per essere così, cosa gli pesa, risponderà che non lo sa, che non lo può spiegare. In ciò consiste lo sconfinato orizzonte della malinconia». Questo penoso silenzio interiore si distende sull'intera realtà che diventa estranea, insensata, insignificabile. La disperazione della parola che sempre si accompagna alla malinconia (nel silenzio o nello sproloquio) potrebbe essere confusa con la quiete semplice e ottusa del pensiero. In verità l'afasia del malinconico spalanca l'abisso di una tremenda condizione esistenziale. Nei diari raccolti da Binswanger, Rete Roos fornisce una penosa testimonianza: «non ci si fida pienamente di quanto si sente, né del futuro. ( ... ) Ci si trova nello stato di Aasvero, che non trova pace in nessun luogo. I pensieri scorrono vuoti e sempre intorno alle stesse cose. Infine si giunge al pieno esaurirsi del sentimento, ci si spegne, ed è la cosa peggiore da sopportare». Il malinconico è straniero a se stesso e lontano dal mondo, insensibile, spaesato. Nell'Idiota di Dostoevskij il principe Miskin riesce a esprimere l'angoscia di questa situazione: «Più spaventosamente di ogni altra cosa, mi opprimeva la sensazione che tutto era per me straniero, e capivo benissimo che quell'essere tutto straniero mi uccideva». Il malinconico è addirittura estraneo al suo stesso corpo dominato, secondo l'antica tradizione medica, dall'«umor nero», dalla freddezza della sua complessione, da una forza di gravità interiore che Schelling chiamava Schwermuth (un altro modo per dire 'malinconia' in tedesco), che attira in basso a «qualcosa di indipendente da sé». Questa situazione di dipendenza è chiaramente simbolizzata dal classico abbinamento tra il personaggio malinconico e il pianet~ Saturno, capace di un influsso potentissimo e perverso. La presenza di Saturno-Crono si manifesta soprattutto in un effetto di arresto che inibisce la cognizione del tempo. Nello «sconfinato orizzonte» della malinconia non esiste una dimensione temporale. Così si spiega quella sintomatica impressione di «non trovarsi a proprio agio nel : mondo, di giungervi troppo presto o troppo tardi». Il movimento verso il futuro si interrompe. Il presente non è neppure avvertito. Il passato si contrae nella memoria. Il malinconico sperimenta tormentosamente la disumana condizione dell'eternità in cui ogni ricordo, ogni pensiero, ogni progetto, immersi nel 'bagno del diavolo', si dissolvono immediatamente. Come tra gli immortali di cui parla Borges nell'Aleph, «ogni atto (e ogni pensiero) è l'eco d'altri che nel passato lo precedettero, senza principio visibile, o il fedele presagio di altri che nel futuro lo ripeteranno fino alla vertigine. Non c'è cosa che non sia come perduta tra infaticabili specchi». O vunque estraneo e smarrito, sospeso in una dimensione inconcepibile, privata dello spazio e del tempo, espropriato dell'uso della parola e del suo stesso corpo, il malinconico si apparta in un eterno e immoto purgatorio. Timothy Brigh, nel suo vecchio Treatise of Melancholy, lo descrive «tardo nel passo, taciturno, neghittoso, avverso alla luce e al concorso degli uomini», votato alla «solitudine» e alla «oscurità». Questo carattere vespertino del temperamento malinconico, mirabilmente espresso nella poesia di Georg Trakl, contiene un prezioso significato: la malinconia non sopporta la luce, sopraggiunge al calar del sole quando la pratica quotidiana del lavoro volge al termine e si interrompe il commercio con le cose del mondo. L'avvento della notte provoca l'arresto dell'attività, la fine della pratica. Nell'incisione di Diirer il pipistrello che annuncia la malinconia si leva in volo proprio mentre le ombre del tramonto si insediano nella dimora dell'angelo, immobile insieme ai suoi oggetti: «Così la Melencolia siede di fonte al suo edificio non compiuto, circondata dagli strumenti del lavoro creativo, ma meditando tristemente con .il senso di non stare realizzando nulla» (Klibansky, Panofsky, Saxl). Ma la stasi contemplativa non promette nessuna redenzione, ed è difficile intendere il soggetto malinconico come «luogo di resistenza alle strutture di comando» (cfr. l'interpretazione di Mario Galzigna in aut aut n. 195-196)o dotato di qualche segreta volontà di custodire, di epochizzare la realtà per sottrarla al disordine del tempo. Lo spazio attorno all'angelo è già caos, disordine, malgrado tutto sia apparentemente disposto secondo l'antica regola aristotelica: in basso gli umili utensili delle attività poietiche (il regolo, il martello, ecc.), in alto i simboli della theoria, gli strumenti del calcolo e della previsione (la clessidra, la campana, la bilancia, il quadrato magico). L'elemento caotico è introdotto dallo sguardo evasivo dell'angelo che diverge da ogni possibile direzione. Se egli si volgesse verso un oggetto o un angolo del suo spazio, nel microcosmo che lo accerchia, così predisposto per tanta abbondanza alle arti del fare e del pensare, potrebbe insediarsi l'ordine del tempo. Soltanto un cenno, un'allusione alle intenzioni che guidano lo sguardo scioglierebbe la stasi dell'immagine: si potrebbe pensare alla realizzazione di quel lavoro interrotto sul blocco di pietra e allora, forse, la provvidenza del sole fugherebbe quell'ombra dal volto; la bestia, sottratta al suo torpore, tornerebbe in vita; la clessidra; il compasso, il martello, il libro, non più abbandonati a terra, dimenticati in mano o alle pareti; l'orrido uccello fuggirebbe intimorito dai clamori dei gesti operosi che si propagano a valle, mescolati alle voci e ai rumori del villaggio. Ma quello sguardo non è rivolto né in •alto .né in basso, trascura e pietrifica ogni cosa: l'opera incompiuta, la bestia accasciata, le lontane dimore degli uomini, l'arcobaleno che promette la.conciliazione tra la terra e il cielo. Gli oggetti e i segni del mondo, per quell'indifferenza micidiale dello sgua:cdo, si fanno nulla. • •

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