Alfabeta - anno VI - n. 58 - marzo 1984

tradizionale, la trans-politica un'organizzazione razionale della società più forte della politica tradizionale. Le dimensioni tradizionali della filosofia e della politica si sono rivelate troppo deboli dinanzi all'azione dissolutrice del nichilismo e del nazionalsocialismo. Del resto, l'introduzione della stessa nozione di Verwindung ha senso solo a partire dal momento in cui ci si rende conto dell'importanza di mantenere un rapporto con ciò che si vuole verwinden: ma tale rapporto non può ovviamente ereditare i limiti della metafisica e della politica, ciò che le ha condotte alla sconfitta. Negli scritti successivi al 1934, dal momento cioè in cui l'accento è posto sul nuovo inizio, sulla differenza, sulla dimensione alternativa; Heidegger ·non parla più di una Not, di una interna indigenza del pensiero, ma introduce la nozione di Brauch. Egli propone di tradurre il termine greco usato da Anassimandro to kre6n, che vuol dire comunemente 'necessità', con Brauch: quest'ultimo significa per Heidegger rimettere qualcosa all'essenza che gli è propria e salvaguardarla mantenendola in essa. La necessità dell'essere non è più dunque pensata in modo metafisico facendo riferimento alla Not (Notwendigkeit), all'indigenza, bensì al significato originario di brauchen, che è frui, godere di, allietarsi di una cosa e averla così in uso (H 338). «Il mantenimento (Brauch) - scrive Heidegger - rimette l'essente-presente al suo esser presente, cioè al soggiornare( ... ). Il mantenimento (... ) è un connettere che ingiunge e destina: ingiunzione all'accordo e, con esso, alla curariguardosa». Scompare così ogni riferimento all'indigenza, o peggio alla non-forza. Questo mantenimento è inteso dapprima come avente luogo nell'essere stesso: per esempio, nel passo citato di Sentieri interrotti. Successivamente, in Che cosa significa pensare? e ancor più chiaramente nell'opera In cammino verso il. linguaggio, è adoperato con riferimento al logos, al linguaggio. Il linguaggio ha una forza e portata (ist miichtiger... und gewichtiger) che sovrasta l'uomo, stabilendo un rapporto di «servizio affrancante» (Brauch), di assoggettamento liberante. S ebbene in varie opere - per esempio alla fine della Lettera sull'umanismo - Heidegger parli della semplicità e della ma di cogliere la direzione verso cui tali sviluppi devonc1muoversi. E questa direzione è orientata verso un pensiero più for;e della metafisica e della politica ideologica. Naturalmente è oggett,) di interrogazione come un pens:ero che vede nei filosofi presocratici e nei poeti - in ciò che è più originario e autentico - il proprio punto di riferimento, possa vincere la sfida che l'eredità contemporanea del nietzschenismo e del nazionalsocialidella nostra storia nazionale, che proprio perché tale mi sembra il più forte e il più sotterraneamente operante:_ il paganesimo romano, il cattolicesimo post-rinascimentale, la nostra secolare dipendenza verso questa o quella nazione-guida. Se noi cerchiamo di pensare la nozione di Brauch alla luce di queste esperienze, è il suo significato più quotidiano che emerge: uso, usanza, e perciò rito, ripetizione. Sullabarcadi Murnau.Si riconoscono: Berthold Viertel (a sinistra), Murnau (con il berretto da capitano), Fred Zinnemann povertà (Armut) del pensiero e del linguaggio dell'essere, essa tuttavia non può essere pensata come «debolezza», né come rinunzia, né come miseria ( Elena) di marxiana memoria. Anzi il pensiero dell'essere ha una funzione eminentemente anticipatrice; la povertà della meditazione è «la promessa di una ricchezza i cui tesori risplendono alla luce di quell'inutile che non si lascia mai calcolare» (VA, trad. it., 44). Tutto ciò non ha ovviamente lo scopo di opporre una scolastica heideggeriana agli sviluppi che si possono trarre dal suo pensiero, (con il basco) e Salka Viertel con i trefigli. • smo gli rivolge. Il confronto con Heidegger, che i miei libri più recenti cercano di sviluppare, nasce proprio dal dubbio che tali fonti possano rispondere adeguatamente all'esigenza di un pensiero più forte e al bisogno di trovare altri punti di riferimento più saldi e più prossimi alla nostra storia nazionale: «ciò che noi sempre cerchiamo di pensare, e come sempre cerchiamo di pensarlo, noi lo pensiamo nello spazio di ciò che è tramandato (Spielraum der Uberlieferung)» (ID 34). Da ciò appunto il mio interesse verso il non-pensato, il rimosso Non perciò mantenimento, cura, servizio affrancante di ciò che è più segreto e autentico, più originario e più proprio, ma al contrario ripetizione e riproduzione di ciò che è più esteriore, ritualità, cerimonia, oblio dell'origine. Necessità pensata non come obbedienza all'intimità più riposta, ma come decorum, procedura, performance. Uso e aiuto, ma in un'accezione così ampia da dissolverne ogni carattere grettamente utilitario e calcolante. Quotidianità, ma in una dimensione che la affranca da tutto ciò che essa implica di limitato e angusto. Brauch come opportunità permanente, abbondanza che non esclude astinenza, ops. Brauch come emancipazione delle copie dagli originali, delle colonie dalle madre-patrie, dei mass-media rispetto alla Bildung, all'ideale umanistico di cultura. Brauch infine come operazione, effettività, potenza, ma non operativismo, non effettualità, non violenza. Q uesto pensiero rituale, al quale spero di dedicare una buona parte delle mie energie, sembra certo qualcosa di più. indeterminato e sfuggente della metafisica, dell'umanismo, della scienza e anche della dialettica. Non si lascia chiudere nella logica dell'identità e nemmeno nella contraddizione dialettica. Rifugge alle alternativ.e, può assumere 'fisionomie opposte senza smentirsi. Ha una coerenza e un rigore che non corrisponde affatto alla uniformità e alla rigidità dell'identico; ma nello stesso tempo ha una flessibilità e una elasticità che nulla hanno a che fare con la falsità e il tradimento del doppio. Tuttavià questa indeterminatezza e poliedricità, che ne costituisce lo charme, non può essere confusa con la «debolezza»: anzi costituisce la chiave della sua forza. È la forza dei romani che non imponevano mai i loro dèi alle popolazioni conquistate, ma al contrario creavano un tempio e un culto a Roma agli dèi stranieri. È la forza delle missioni gesuitiche che rispettavano la molteplicità dei culti e delle culture. È la forza infine di quelle nazioni che non temono di perdere il loro patrimonio ancestrale nelle inverosimili combinazioni operate dai mass-media, perché sanno che il loro vero patrimonio è nella capacità di trasformare tali combinazioni in sincretismi dotati di una loro socialità e razionalità intrinseca. Queste pagine sono stralciate da un più lungo saggio polemico sul concetto di «pensiero debole», che verrà prossimamente pubblicato per intero su aut aut. r ultimasimilitudine Maurizio Ferraris Tracce. NichilismoModernoPostmoderno Milano, Multhipla, 1983 pp. 174, lire 13.000 Autori vari Il pensiero debole a c. di Pier Aldo Rovatti e Gianni Vattimo Milano, Feltrinelli, 1983 pp. 262, lire 16.000 11pensiero contemporaneo tende a coniugare un'etica e un'estetica dell'oltrepassamento con il gusto della genealogia. Nessuno stupore quindi se il postmodernismo, pur rivolgendosi contro lo Spirito della Storia, non rinuncia a un approccio storico alle pro- •blematiche filosofiche. Si tratta, beninteso, di un approccio peculiare, caratterizzato da un'inversione prospettica in ragione della quale l'unico oggetto passibile di indagine storica diviene appunto il pensiero contemporaneo e l'emergenza dei tratti che lo oppongono alla modernità. In Tracce (sottotitolo: Nichilismo Moderno Postmoderno, Milano, Multhipla, 1983), Maurizio Ferraris giustifica questa scelta come assunzione di coscienza del fat-. to che l'oltrepassamento della metafisica (inteso come rottura della tradizione del pensiero filosofico) è già avvenuto, e che tematizzarlo Carlo For enti significa quindi «anche conservare, testimoniare e celebrare una tradizione interrotta». La storia della metafisica occidentale diviene così una lunghissima preistoria, nel corso della quale vengono progressivamente a chiarirsi i presupposti (e il destino) nichilistici del nostro pensiero, infine esplicitati in quel «pensiero della differenza» che mette all'ordine del giorno la questione della fine della metafisica inaugurando la storia (cioè il nichilismo postmoderno). Ferraris propone tuttavia due Der Rosenkavalier (Pan-Film, Vienna 1926), regia di Robert Wiene. genealogie parallele, sulla scia della lettura deleuziana di Nietzsche, distinguendo fra un nichilismo reattivo, preoccupato soprattutto di consumare fino alle ultime conseguenze il crollo dei valori tradizionali e caratterizzato da una concezione monistica e negativa della differenza, e un nichilismo attivo, «per il quale la sparizione dei vecchi valori e delle vecchie differenze serve a istituire nuovi valori, cioè anche nuove differenze», e che assume la differenza come motore di una dinamica pluralistica e affermativa. Questa bipartizione, nell'attuale dibattito italiano, si rispecchierebbe nella opposizione fra i sostenitori della «ragione forte» e quelli della «ragione debole»: i primi, accettando senza rimpianti la riduzione dei valori a giochi linguistici, assumono a fondamento del proprio sistema la differenza fra linguaggio e silenzio, separazione irreversibile fra il mondo degli enti - che può e deve essere gestito tecnicamente, senza illusioni ideologiche - e il mondo dell'indicibile (in realtà è quest'ultimo a costituì-

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