Alfabeta - anno VI - n. 58 - marzo 1984

inglese e tedesca. Il regista Lubitsch, maestro del «patetico» e dei movimenti di massa, in America ha imparato a ridere. In Germania non gli sarebbe mai riuscito. Più di qualsiasi altro apparecchio, la macchina da presa è condizionata dall'aria, dal clima, da~'atmosfera che regna, da fattori psicologici e geografici. Gli esseri umani più o meno sono simili dappertutto. L' «ambiente del cinema» è costituito in gr~n parte da uno strato di persone omogenee sia in Francia che a New York o Berlino. Tuttavia si creano dei film che sono tipicamente francesi, americani, tedeschi. Dipende dall'aria... In un film comico viennese, cioè girato a Vienna, si è visto, dopo una lunga assenza, il comico francese Linder. Mentre Chaplin carica il grottesco di fredda brutalità, Linder mitiga la brutalità grottesca con buffa galanteria, con gesto elegante, morbido, conciliante. È un parigino •nonostante il nome e la probabile origine tedesca. Chaplin si fa beffe dellaforma, la sconfessa, dimostra perfino la sua negatività. Max Linder la conserva sempre, anche nelle situazioni più pazze, e dimostra così che è necessaria. Chap"iinè sempre originale. Linder non disdegna una situazione comica già sfruttata, ma· la trasforma in una nuova con garbata amabilità. Chaplin sostiene la comicità da solo - Linder tiene a illuminare di comicità anche i personaggi secondari. Nei suoi film vi è la velocità dei film americani, ma Lasua velocità non è quella della macchina, piuttosto quella più elegante di una donnola, è una sveltezza animale. (... ) Mauritz Stiller si era cimentato con risultati parziali nell'impresa di fare un fùm tratto da Michael di Herman Bang, secondo il manoscritto di Thea von Harbou, La quale già aveva interpretato I Nibelunghi in modo totalmente errato. ILregista Cari Th. Dreyer ha ripetuto il tentativo, con risultati completamente negativi. Si vede in questo lavoro come da una delicata opera d'arte si può ricavare un film goffo e puerile: Benjamin Christensee nel ruolo principale non può con la sola plasticità della sua recitazione sostituire il fascino che Bang evoca nel suo romanzo con l'ausilio di mezzi di tipo musicale. Un bel giovane privo di personalità (il figlio del cantante Slezak) interpreta il ruolo di Michael. Nel romanzo questo personaggio è un bel giovane con la sana inflessibilità, tipica dei giovani. Nel film appare come una damigella in pantaloni. Il protagonista principale vaga di qua e di Lànel suo pigiama di seta e Legrandi opere, che il regista Dreyer imprudentemente mostra, sono Kitsch, provenienti da un negozio di «oggetti d'arte» della Friedrichstrasse. Dalle situazioni Laregia riesce a ottenere molta «atmqsfera», ma ammorbidita [mo al sentimentalismo. È un Michael in versione piccolo-borghese, come I Nibelunghi erano una rielabo- • razione per un pubblico che ha appena raggiunto la maggiore età. Thea von Harbou ha certamente delle qualità. Dovrebbe però dedicarsi ai romanzi di Norbert Jacques e Ludwig Wolff pubblicati nella Illustrierte. Herman Bang è di un altro livello. Joseph Roth, «Amerikanisiertes Kino», in frankfurter Zeitung, 4 ottobre 1924. Ora è raccolta in J. Roth, Werke, herausgegeben und eingeleitet von Hermann Kesten, Koln, Kiepenheuer & Witsch, 1975-76. ' Nota (1) Si tratta di The Marriage Circ/e (Warner Bros, 1924). I ;_. Nihehmghi • di Frih Lane _ di Josepb Rotb Negli ambienti del cinema capita spesso che un evento sensàzionale, atteso con grande suspence, assuma l'aspetto di una catastrofe artistica. lo rimango sempre sorpreso quando questo non accade, visto che i realizzatori di un film - anche se il film ha ambizioni artistiche - vengono sempre . dall'ambiente del cinema. Si tratta di un gruppo specializzato in cui si possono trovare sia affaristi che idealisti, persone di mezza tacca in fatto di cultura eprofondi teorici, dilettanti senza carattere e artisti coscienziosi. L '«ambiente» è privo di sensibilità e di gusto. Un solo film richiede la collaborazione di molte teste e di molte mani. Qui il dilettante lavora accanto ali'artista, un tipo privo di gusto accanto all'uomo di cultura e un ignorante si trova accanto il sapiente. Ebbene, all'artista manca talora la sensibilità sul piano umano, all'uomo colto, invece, manca talvolta una vera istruzione. Infatti il settore, il cosiddetto «ambiente», non favorisce I' approfondimento culturale dell'artista, e neppure I' affinamento della sensibilità. L '«ambiente» è giovane. Cosi si comprende bene che il regista del NibelungenFtlm, Fritz Lang, abbia _nonsolo deposto una corona sulla tomba di Federico il Grande, fiutando nella sua immodestia un rapporto tra la defunta maestà e la sua opera, ma abbia anche potuto dedicare il suo fùm al popolo tedesco. Una dedica come questa forse soltanto Goethe avrebbe potuto farla, per il Faust. Nel/' atmosfera dell'«ambiente» si perde la sensibilità, al punto da non capire che anche il sentimento nazionale esige modestia e umiltà, e che la riverenza del/'artista verso il suo popolo deve essere almeno pari a quella che ha nei confronti della sua opera; inoltre, che ogni parola della sua opera deve essere ovviamente dedicata al popolo, poiché l'artista gli ha dedicato la propria vita. Ogni accento messo su una cosa così evidente produce l'effetto delle grida degli strilloni di piazza. Quando poi la signora Thea von Harbou, autrice della sceneggiatura, contemporaneamente prepara un opuscolo nel quale, con una stilizzazione particolarmente infelice, rappresenta i Germani (senza volerlo, ma unicamente perché non è all'altezza del compito) come barbari sanguinari, si rimane stupiti di questa confusione e ci si rende conto che il pathos nazionale non esclude l'offesa nazionale. Ora si viene a sapere che l'opuscolo non è stato sottoposto all'autriceper la correzione. Mi pare che un'opinione sugli antichi Germani non abbia più bisogno di correzioni, dato che il rispettoper il passato della Germania ha dato vita a un film che è stato perfino «dedicato al popolo tedesco». Grande è stata l'attesa per la seconda parte de I Nibelunghi. Il film ha deluso. Sì, è addirittura una catastrofe. Un antico poema epico può anche essere noioso: un film mai. Il ritmo è quello di una cerimonia funebre, di una lentezza esasperante. Le immagini riuscite si ripetono, guastando l'effetto. Crimilde (Margarete Schoen) conserva per ore la sua espressione fissa, probabilmente a causa di un malinteso della regia, la quale si sforza di evidenziare l'idea ossessiva della vendetta attraverso una fisionomia irrigidita. Però la freddezza mortale è stata scambiata con una freddezza morta, come spiegano le didascalie. In queste si legge spesso, come in certi romanzi Kitsch, che Crimilde non vive più, perché sarebbe morta con Sigfrido. Così si stravolge il senso di questa vendetta, che è qualcosa di vivo e bruciante: non la vendetta di un fantasma o di un'anima defunta, ma di una donna passionale. Gli Unni si distinguono per il fatto che non hanno pavimenti e vivono in caverne; una semplice occhiata a un qualsiasi libro di storia sarebbe bastata per insegnare al regista che il re Attila non aveva per sudditi dei trogloditi. La signora Thea von Harbou inventa una spedizione di Attila contro Roma, per offrire al regista lapossibilità di mostrare immagini di accampamenti. Questi uomini semplici, senza complicazioni, ingenui, parlano servendosi di «aforismi» a buon mercato. Così Attila dice a Crimilde che, non avendoli uniti l'amore, li unisce l'odio. Strane fioriture stilistiche compaiono sullo schermo. Per esempio: «lo l'ho ucciso, acciocché la signora Crimilde Der junge Medardus (Sascha, Vienna 1923),regia di MichaelKertesz. non lo allevasse vendicatore». Un pathos improbabile stilla dalle labbra dell'eroe che si rivolge ad Attila: « Tu non conosci l'anima tedesca». L'obiettivo doveva essere quello di far rivivere lo spirito dell'antico poema dei Nibelunghi attraverso immagini a effetto. Invece, per creare immagini a effetto, si è preso spunto dal poema. In questo sta l'equivoco. Sono state ricavate delle illustrazioni per un Volkbuch della signora von Harbou. Così si è aperto un abisso tra la premessa dell'assunto e il prodotto, tra l'intenzione e l'opera. Il lavoro è stato un vero lavoro. Gli sforzi notevoli. I costi enormi. La pellicola è lunga 4000 m. Si è rimasti a tal punto assorbiti dalla realizzazione «cinematografica», alla ricerca degli effetti, che il Nibelungenlied è stato studiato troppo poco o per niente. Per fare un film da questo poema sarebbe occorso un severo studio da parte di tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione artistica del film. Per queste cose nel- /' «ambiente» non c'è tempo. Qui non si co"eggono neppure gli opuscoli di presentazione. È spiacevole dire al registaFritz Lang, per altro dotato, che in questo lavoro la suafatica è stata superiore al rispetto che sarebbe stato dovuto al soggetto. Joseph Roth, «Drei Sensationen und Zwei Katastrophen», in Frankfurter Zeitung, 14 maggio 1924. I mpressionl di ~ - di Robert Musd Berlino. I teatri invernali non erano ancora aperti, i cinema ronzavano. Che fare? Sconfessai tutta la mia vita e andai in una sala cinematografica. Se c'era un uomo tra Berlino e Charlottenburg, distanza che si può paragonare a quella Eydtkuhnen-Pechino-New York, che.non conosceva ancora Chaplin, quello ero io. Mi fece coraggio il fatto che, intanto, tutto ciò che di rilevantesi poteva dire sul cinema, eragià stato detto da molto tempo: la voce di uno che viene dalla foresta, si presenta sempre molto bene vicino allo spirito raffinato degli intenditori. Chaplin non mi ha stupito, quello che ho visto non mi era nuovo. Avevo visto ali'operetta ilpadre di Chaplin, che apparteneva alla generazione di mio padre. li meraviglioso e brillantefisionomista, gettato in un certoqual modo inpasto ai porci, con un'ombra di rassegnazione in ogni gesto e in ogni sciocchezza. Avevo visto il Knock About1 molto tempo prima che a"ivasse qui- a esso si legava un'anima dai trattisublimi, che lasciava trasparire un senso di umorismo amaro. Sì, vi erano buoni comici e tutti erano acrobati·:forse Chaplin è migliore ma subito mi colpisce quello che è l'elemento comune, la linea di sviluppo, che ha creato la fortuna del cinema. L'andatura rapida e bizzarra, l'agilità, che permette di salire sugli armadi come se fossero sgabelli, il travolgere, il venir travolti, gli schiaffi, gli scambi di persona, lepedate, le capriole, le cadute, i salti( non è stato sempre questo l'elisir di lunga vita dell'attore, in cui egli ha raggiunto la suafortuna? Si tratta di una antichissima tradizione, che iniziò con Hanswurst2 e le maschere napoletane, se non la si consideraaddiritturala linea vitale di sviluppo del teatro. L'attore, infatti, si è rifugiato nell'operetta, abbandonando quella serietà impostagli, suo malgrado, dallo sviluppo del teatroeuropeo, Le cui rappresentazioni avevano il carattere di un rito religioso. Ora questo attore viene liberato in modo esplosivo dal cinema. Poi vidi un Chaplin al femminile, un'attrice americana, vestita con una gonna apparentementeinsignificante,ma chepoi indossa un vecchio vestito da uomo: mentre cercadi allacciare il bottone del colletto si ha laprima catastrofe. Il dito cerca di prenderlo dall'alto, ma il bottone non si chiude; il dito cercadi prenderlo dal basso, ma non si chiude; con i gomiti alzati, cerca di affondare le mani nel collo, ma le mani sgusciano in su e si piegano ad angolo mentre, ovviamente, il bottone del colletto non si lascia allacciare. Finché tutta questa piccola • massa umana diventa un groviglio, che gira vorticosamente, preso dai crampi dell'ira e dell'impotenza, groviglio di parti del corpo che si scontrano e si separano correndo lontano l'una dall'altrae che si incontrano sopra, o vicino, o dentro, o sotto ai letti, agli armadi, agli angoli e alle sedie; finché alla fine, d'un tratto, il bottone è allacciatoe una leggera brezza sfiora gli spettatorisurriscaldati. Tutto questo è americanoper quanto riguarda la precisione dello stile di recitazione, ma il padre è tedesco, di nome Wilhelm3 • Avevo visto, nel frattempo, anche un attore che recitava in teatro, dunque in modo tridimensionale, in carne e ossa. Parodiava una lotta faustiana. Anche lui saliva sui tavoli, sugli armadi, sulle schiene, e anche lui aveva un tono lievemente elegiaco, che è indispensabile al tipo di comicità che si ottiene con l'eccesso dei movimenti f,sici. Eravamo entratinelpalco al momento del suo numero e lo lasciammo con l'ultima battuta: ci si era presentato così, quasi proiettato fuori dal nulla, proprio come ·sulloschermo magico, e tuttaviafece un effetto blando, seppure piacevole. Da cosa dipende questo? Io credo, o meglio non credo, che dipenda dalla filosofia drammatica del cinema (ormai la si predilige), bensì dalla sua tecnica. Se consideriamo la cosa in questo modo, mi pare che tutto dipenda da questo fattore: questoattorerecitalastessapartecinquecentovolte, e io lo vedo una volta sola, sicché laprobabilitàche io riescaa coglierela sua prestazione migliore è di una su cinquecento; il registadel film, al contrario, fa girare la stessascena cinquecento volte, se lo ritiene necessario, così lo spettatore ha la certezza di vedere il momento migliore. In questo si trova la superiorità. Anch'io avevo creduto di aver partecipatoa grandi zuffe, ma una simile a quella che ho visto una volta al cinema non l'avevo mai vista. Anche noi spettatori volavamo in aria insieme ai personaggi dello schermo, e anche alla stessafrenetica velocità. Non eravamo più in grado di distinguerese eravamo il cinghialeaggredito o uno dei cani che veniva lanciato in aria da lui. Un'altra domanda è propri<Jq' uesta: cosa c'è dentro di noi, che ci lega a questa tecnica?Non lo so. Ma esiste. E inoltre a che servono le parole? Ho visto un film tedesco, che è stato tratto da un misero romanzo Kitsch. Una serie di avvenimenti, che farebbero venire la nausea, se letti, e che farebbero deglutire, se rappresentatidavanti a qualcuno. In fin dei conti, si sta seduti per ore nelle vetturetramviarie, nellesale d'attesa e nelle stanze, con avvenimenti ancor più noiosi davanti agli occhi, e ci si sarebbe già suicidati da tempo, se gli occhi non fossero molto più pazienti, più resistentie più riconoscenti delle orecchie. Gli occhi si divertono più facilmente. E nello stesso tempo - in questo film - quando una ragazza dice a un uomo: «Vieni con me in acqua»; ovvero: i suoi capelli sono spettinati dal vento, le sue dita afferrano le maniche dell'uomo e i suoi occhi urlano nel vento freddo; e tutto questo su una duna, ridicolmente grande rispetto al piccolo mare infinito, che si agita sotto: si ricevono contemporaneamente impressioni che non si dimenticano. E questo forse non è male, se si è costretti alla domanda: perché, dopo tutto, servirsi delle parole? Se in teatro una buona volta si cancellasserotutte le parole,• che non dicono più di quanto lo spettatore non possa indovinare a prima vista! Così, però, i teatri, rinunciando ai luoghi comuni, perderebbero le entrate dei «primi posti»'. Robert Musil, «Eindriicke eines Naiven», in Die Muskete n. 14, 1923. Ora è raccolta in Musi/ Forum n. 1, 1975. Note (1) Clowns di origine americana che eseguivano numeri comici negli spettacoli di varietà. (2) Personaggio grottesco del teatro popolare tedesco, la cui origine è databile verso la metà del secolo XVI. (3) Il gioco di parole del testo originale è intraducibile in italiano. Con «il padre è tedesco» è stata tradotta liberamente l'espressione «geboren ist es in einem deutschen Busch». Il termine «Busch» consente all'autore it riferimento a Wilhelm Busch. (4) Gioco di parole tra «bestbezahlte Platze» (primi posti) e «Gemeinpllitze» (luoghi comuni). (Traduzioni di Laura Olivi)

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