Torquato Accetto Della dissimulazione onesta a c. di Salvatore S. Nigro presentazione di G. Manganelli Genova, Costa & Nolan, 1983 pp. 99, lire 12.000 Omar Calabrese •Frottole e fandonie• in Panorama Mese a. 11,n. aprile 1983, pp. 20-21 Emanuele Tesauro Idea dtUe perfette imprese esaminata serondo g.li principii d.iAristote~ a c. di Maria Luisa Doglio Firenze, Olschki, 1975 pp. 133, lire 12.000 N cl 1641 venne pubblicato a Napoli un libriccino dal titolo tanto dimesso quanto ambiguo: Della di.ssimulazione onesla. 'Scoperto· da Benedetto Croce, che lo fece ripubblicare nel 1928, il testo viene ora ristampato in edizione critica, minuziosamen• te curata da Salvatore Nigro. Dell"autore, Torquato Accetto, oscuro segretario vissuto prevalentemente ad Andria, si sa ben poco e ciò, più che risultare una sfortunata lacuna, sembra essere la neces-- saria conseguenza dell'argomento del libro, raffinato inventario di tecniche di occultamento e di fuga. Non solo l'autore si è dileguato dietro la propria opera («Degli eccellenti dissimulatori, che sono stati e sono - egJiscrive - non si ha notizia alcuna»), ma la stessa ricerca ostinata del 'minimo' e l'ambizione capovolta del ·parer poco' percorrono tutta l'opera, ridotta dal suo artefice alla fragile consistenza di una bolla di sapone. «Sarò scusato nel far uscire il mio libro in questo modo, quasi esangue, perché lo scrivere della dissimulazione ha ricercato eh'io dissimulassi, e però si scemasse molto di quanto da principio ne scrissi». Chi bene dissimula, deve poter dissimulare la dissimulazione stessa e cancellare ogni traccia di sé. Proprio con le tracce e con i segni la dissimulazione ha a che fare: essa è una tecnica semiotica, frutto di un lungo e selettivo apprendistato. Il buon dissimulatore opera a suo agio fra i segni e con essi, e nasc.onde le sue intenzioni con un velo di parole. Più fitta di segni del «velo» del dissimulatore è la «nebbia» del simulatore - di cui Omar Calabrese offre una rapida ed efficace tipologia in un articolo sulla menzogna (in Panorama Mese, aprile 1983)- perché più arduo e artificioso è il suo gioco, sebbene, come quello della verità o della dissimulazione, anch'esso non sia né più né meno che un «gioco linguistico», addirittura non privo di una sua etica. Giorgio Manganelli, nel presenr-... tare il testo, paragona la pratica "' dissimulatrice a un esercizio spiri2 tuale (la dissimulazionedeve risul- ·t tare «onesta•, cioè eticamente ir- .,,. reprensibile), a un'ascesi laica e ~ mondana, resa necessaria dalle quotidiane insidie del consorzio ci- -~ vile. Una forma di ascesi è la stes- :g ~ .., sa scrittura dell'Accetto, che non ha composto il libro per condensazione di parti intorno a un nucleo originario, ma al contrario per sot- j trazione, rinuncia e taglio del su- ~ pe~;:;a ossessione della canee!- Torquat!tlccetto lazione notata da Nigro nasce da un problema di linguaggio: comunicare attraverso la parola scritta la verità sulla dissimulazione è un'operazione paradossale. La scrittura incatena il discorso sulla dissimulazione alla fissità e alla linearità della pagina a stampa, mentre a esso si adatterebbero megJio le contorte movenze di un ornamento o di un arabesco, cioè un'oscillazione indefinita dei significati. T utto il testo dell'Accetto ruota al tempo stesso intorno alla sottile ma precisa differen• za tra due parole apparentemente 'vicine': ,o:;simulazionee»«dissimulazione»: •Si simula quello che non è - egli scrive, - si dissimula quello che è». La simulazione cade tutta nell'ambito del peccato: è «l'importuna nebbia,. della menwgna; la dissimulazione, se onesta, è un ben riuscito esercizio di equilibrio, eseguito con scioltezza e decoro, ma è anche una dolorosa necessità, per non patir danno per amore di verità. Sullo sfondo, oltre la simulazione e la dissimulazione, sta la verità ,o:;senznaube», che appartiene a Dio e dalla quale l'uomo si è allontanato con il peccato originale. Se la simulazione è peccaminosa, perché generalmente animata dall'intenzione di ,o:;fadranno,., la dissimulazione nasce invece da legittime esigenze di autoconservazione: per mezzo di essa, l'uomo si protegge dai suoi simili e da una natura non più edenica: «Da che il primo uomo aperse gli occhi e conobbe che era ignudo, procurò di celarsi anche alla vista del suo Fattore: così la diligenza del nascondere quasi nacque col mondo stesso e alla prima uscita del difetto, e in molti è passata in uso per mezzo della dissimulazione». L'occultamento è un'esigenza naturale e la natura l'ha metaforicamente segnato nel corpo dell'uomo, dove essa ha diligentemente nascosto e protetto il cuore (,o:;Oecluor che sta nascosto.. è il titolo del capitolo XXI del libro). La dissimulazione onesta è invece il risultato di una lenta educazione: è •cultura» e non «natura,., e come tale appartiene allo stesso ambito delle buone creanze e in particolare dell'arte della conversazione. La dissimulazione è un artificio che non tutti possono praticare con successo: l'infuocato carattere di un iracondo non si accorda con essa ed egli perciò non si saprebbe comportare in società. Al contrario il dissimulatore «ha del secco», non si manifesta, è svuotato dalle passioni e tutto sembra essergli indifferente (Manganelli parla di certe suggestioni taoiste suscitate dalla lettura del testo). Come un moderno dandy, egli sa portare il suo «velo»: solo «chi mal porta questo velo,. è odiato, perché rivela maldestramente il trucco che andava celato e sul quale si regge l'intera vita sociale. La stessa bellezza «altro non è che gentil dissimulazione... Una rosa - l'esempio è dell'Accetto - A !l'analisi di un «segno» particolarmente problematico è dedicata l'opera del Tesauro. scritta tra il 1622e il 1629: Idea delle perfette imprese. L'impresa, la cui moda e il parallelo dibattito erudito sulla sua natura si diffusero nella seconda metà del Cinquecento, è una realtà composita, formata da un motto e da un·immagine, rispettivamente anima e corpo, forma e materia, che insieme esprime «concetti più generosi», che non possono essere dichiarati con 11segnivolgari», e parla a entrambi i sensi. Essa è quindi un segno che dissimula il suo significato ma non lo occulta 1otalmente, altrimenti cesserebbe di essere segno. Come in Accetto la dissimulazione è un esercizio che si mantiene in equilibrio tra verità e menzogna. per Tesauro !"impresariuscita è collocabile tra significanza palese e insignificanza. Nel caso che l'impresa sia troppo chiara è annullata la distanza dal significato, e se invece si ha un'eccessiva oscurità non è possibile cogliere a cosa essa rinvii. L'impresa si degrada nella didascalia se il motto è subordinato all'immagine, e nel caso inverso nella mera illustrazione. Tesauro definisce le imprese «chiare nuvole». Il significato, ammantandosi di forme piacevoli e luminose. si rende invisibile per molti: è come Enea che entra cautamenle nella città di Didone, avvolto da una spessa nebbia che lo rende invisibile al volgo. La distanza è selettiva e rende anche possibili molte interpretazioni. Se il linguaggio quotidiano è un sistema 'aperto' di segni, in quanto familiare a ognuno, scopo dell'impresa è far comprendere l'intenzione solo al destinatario: in particolare, il cavaliere e il cortigiano per mezzo di essa inviavano un messaggio criptico alla propria dama o al proprio signore. All'intenzione individuale dell'impresa può accedere solo chi ne sia già degno, cioè l'élite aristocratica e culturale (alcuni eruditi apparentavano l'impresa all'insegna, dal latino i11signis). Queste rivendicazioni elitarie si sposano in Tesauro con una sensibilità che è ancor più barocca di quella di Accetto. Le «chiare nuvole» forse non sono da intendersi semplicemente come involucri di significati occulti, ma anche come oggetti che a nulla (o al 11111/a) rin- /. Terem'ev, 17s1rumcntis1rulli Tiflis /9/9; ili. di K. Zdanevit. apparati scenici e funerari e le ana- ' viano e che soddisfano, come gli Q1,i a fianco: A. Krutenych, Melanconiain cappotto, Tiflis /9/9. morfosi, il gusto barocco per l'a~tinon è bella nonostante la sua caducità, ma in virtù della dissimulazione della stessa: la sua fragilità occultata e rinviata la rende preziosa. La dissimulazione è il continuo rinvio della morte, che sta sul confine tra dissimulazione e verità: «È tanta la necessità di usar questo velo, che solamente nell'ultimo giorno ha da mancare». La morte rende inutile la dissimulazione, che non serve in cielo, dove «ogni cosa è chiara». Simbolo di un'età ricca di contrasti come quella barocca, l'arte della dissimulazione non è soltanto un pietoso drappo steso sull'horror vacui, sull'ossessione del niente propria dell'epoca, ma è anche e soprattutto una lode tessuta alla precarietà dell'esistenza sociale, tanto più preziosa in quanto continuamente minacciata. Se la luminosa verità sta in cielo, «la dissimulazione ne rimane in terra, dove ha tutti i suoi negozii,.. Nel libro dell'Acceno la verità appartiene a un iperuranio resosi remoto dal destino e dal dolore dell'uo• mo. consegnato all'improba fatica dell'interpretazione di segni sempre più incerti, di «veJi,. sempre meno trasparenti. costituivano una terza natura. Rispetto agli emblemi - che esprimevano un significatodi valore universale, morale e religioso, - le imprese avevano carattere individuale: erano studiate da umanisti, spesso pagati per tale lavoro, appositamente per re, principi, papi e cardinali, che le facevano riprodurre su livree e fregi architet• tonici, su stendardi e scudi. Sia l'immagine che il motto si fondavano su un preciso rapporto di continuità temporale tra le grandi azioni, le «imprese» appunto, compiute nel passato dal personaggio che le portava o dalla sua famiglia e quelle, ancor più grandi, che egli si proponeva di intraprendere nel futuro. Il motto e la figura esprimevano un solo concetto, non sempre però di agevole decifrazione. L'oscurità apparente è dovuta in primo luogo all'integrazione fra due forme espressive diverse. All'uomo, scrive il Tesauro in apertura del testo, sono stati dati sia il gesto che la parola per formulare i concetti. Gesto e parola, sistema di cenni e grammatica, tengono però separati i due principali sensi: la vista e l'udita. L'impresa invece ficio. Il disgusto per la ~naturalitài+ (quando non potenziata e trasvalutata appunto nell'artificio) e la ricerca della novità si cristallizzano nelle metafore, e l'impresa è per Tesauro una metafora. Esse congiungono concetti lontani con risultati stravaganti e devono perciò essere decifrate; tuttavia non nascono dalla necessità, per la limitatezza dei termini del linguaggio, ma dalla noia e dal conseguente deisiderio di svago attraverso l'esercizio della meraviglia. L'età barocca tenta così di esorcizzare il proprio horror vacui. Scrive Tesauro nella sua opera più nota, Il cannocchiale aristotelico (1654): «Agli uomini soli, non agli animali né agli angeli, diede la Natura una certa nausea delle cose co1idiane, benché giovevoli, se l'u• tilità con la varietà, la varietà col piacere non va congiunta... Nel barocco «teatro del mondo.., in una condizione intermedia tra angelo e animale, tra verità e oscurità, l'uomo si trova a reci1are il copione della dissimulazione, sospeso sl sull'abisso dell'insignificanza, ma consapevole anche del piacere che procura il mutar travestimenti e maschere.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==