Alfabeta - anno VI - n. 57 - febbraio 1984

PragmaticiaJilell' ironia e Jcan-Oaude Anscombre OswaJd Ducrot L'argunxntation dans la langue Litge, Éd. Mardaga, 1983 pp. 184 OswaJd Oucrot e al. U:5 mots du di:scours Paris. Minuit, 1980 pp. 241, rr.so Dan Sperber Dcirdre Wilson «Les ironies comme mentions• in Poétique n. 36 Paris. Scuil, 1978 Alan Bcrcndonner Éémt.nts de prag.matique linguistiquc Paris. Minuit. 1982 pp. 241. rr. 68 «Quando NorpoU 1mp1cgavactrtc aprasioni che ricorrono nei gior• na/i e /e pronunciava con forza, si sentiva che esse divcntai•ano un at• 10 per il /0110 solo che egli le avesse usate. e un allo che avrebbe s11scita10 dei commt.nti•. Proust. All'ombra ddlc fanci11/- lc in fiore, ed. Einaudi, p. 499 e on la frase in epigrafe. il Narratore descrive le argomentazioni, per così dire. gestuali di Norpois: proprio in quanto frammenti di discorsi tenuti in contesti autorevoli, esse si pongono già oltre la dte0tomia. cara ai logici. del vero e del falso. Quasi un·ep1grafe a un'immagi· naria enciclopedia della Pragmatica hngu1s11cafran1.-ese.disciplina sorta dalle spoglie dell'instancabile raccolta d1conferenze - pubblicata posluma nei pnm1 anni sessanta - di J .L. Austm. How 10 Do N ell'es1a1e1983mi è capitato, per motivi professionali e fil· ristici, di visitare vari paesi europei. dalla Francia alla Turchia. l'Olanda, la Spagna, la Germania. l'Inghilterra; e ho do11u10 biasClcare lingue straniere, sia quelle con cui sono abbastanza fa· miliare, sia allre che conosco punlo o poco. Al termme d, quata espui.en=a vorrei moltrare aura~·ersoI canali regolamentari una protesta ufficiale contro il signor Jehovah per il suo comportamento razzista e amimeridionalista nei ,me, confronli dopo la sconsiduata impresa edilizia della Torre di Babele. Nella distribuzione delle lingue che segui, il signor Jehovah ha la,,cia10 la sua maledizione contro di me perché nativo della penisola italica, inchiodandomi per /'eternità alla sbracata vocalità della terra dove il -~ si suona. ::::.. Sin dalla più tenera infanzia, quando per la prima volta la mia lingua timidetta formul6 le parole 0 babbo e mamma, io sono .Jlato } condannato a spalancare la bocca ~ ogni volta che parlo. li mio desti• ~ no, come italofono. è di emettere i suoni vocalici più apeni e sboccati - che si adoJ"rino fra il Manzanarre ] e il Volga. Non solo io. nato fra le ~ Alpi e il mare, uso più vocali degli Things wirh Words (Come fare delle cose con le parole), tilolo che, come è noto, ironizza sulla tradizione anglo-americana dei libri di consigli pratici. E dal farsi e disfarsi delle enciclopedie nasce la teoria dell'argomentazione di Oswald Ducrol, già messa a punto nel '73 in La preuve tilt dirt (Paris, Mame) e oggi totalmente rifonnulata, in collaborazione con Jean-Claude Anscombre. in L 'argumenra1ion dans la langue. L"assunto principale di DucrotAnscombre è, grosso modo, che qualunque discorso in linguaggio ordinario si basi, grazie a opportune marche linguistiche, su discorsi, o addirinura dialoghi. cristallizzati, preesistenti (non ci venga mai in mente di chiamarli discorsemi): ogni discorso fa sempre allusione ad altri discorsi. Tale ipotesi spingerebbe a con• siderare l'argomentazione ordinaria (che nella sua fonna più semplice è del tipo 'E dunque F". dove E è la premessa e F la conclusione) come un discorso quasi sempre ovvio, una semplice ripetizione di argomentazioni e sapienza comuni (doxa), tanto da aver pena di chi sarà costreuo ad argomentare per ultimo. Ci si salva però ripescando la teoria aristotelica dei topoi, cui Ducrot e Anscombre si riferiscono esplicitamente (nella versione aggiornala di 'regole di verosimiglianza'): runico modo concesso a un argomentatore per risultare originale (cioè meno banale) consiste nel riuscire a pronunciare ·E dunque F" facendo allusione a dei topoi che nessuno avrebbe mai supposto di poter concatenare. Raffinato bricolage. N ella teoria ducroriana del di• scorso ordinario (ove la ri• cerca delle leggi argomenta• tive si basa su una rigorosa distin• .zione tra le nozioni di argomenta• zione e di atto d'argomentare, grazie al quale si possono individuare valori argomentativi anche in enunciali non assertivi, cfr. capitolo V), il termme allusiotte non ha il significato che gli attribuisce la re• torica tradizionale. Non si 1ratta più di una figura. li suo dominio si estende: l'allusione diviene una caratteristica costitutiva di ogni manifestazione discorsiva. - un trailo. per così dire. profondo dell'atto di discorso. Quest'ipotesi. per quanlo generica possa sembrare, ha già onenuto un suo primo assetto formale nel capitolo d'apcnura del volume Us mo1sd11discours (gli allri capitoli sono dedicati all'analisi minu• ziosa di morfemi apparentemente innocui, come mais, eh bie11.d'ailleurs. ecc.. che vengono descritti come veri e propri operatori argomentativi). «L'idea centrale - scrive Ducrot - è che si deve, nella descrizione dell'enunciazione che costituisce il senso dell'enuncialo, dislinguere l'autore delle paro/es (locutore) dagli autori degli aui illocutori (enunciatori). e. allo s1esso tempo e correlativamente, distinguere colui al quale le paro/es sono rivolte (allocutario) dai deslinatari degli atti. Se ·esprimersi· vuol dire essere responsabili di un atto di parole. allora la mia 1esipermette, quando s·in1erpreta un enunciato. di intra\'cderc nell'esprimersi una plurali1à di voci diverse da quella del locutore ... e cioè «una polifonia• (pp. 43•44). La polifonia1 (la cui nozione sembra rendere conio di gran parte dell'attivilà generalizzata dell'alludere) non ha però nulla a che fare. in quanto non vi si manifesta, con il discorso riportato direnamente o indirettamenle. Infatti. un locutore L può riprodurre un discorso, ad es., di L' al solo scopo di asserire qualcosa su L' (si pensi al caso di 'Piero ha detto x' per concludere qualcosa su 'Piero·). Il semplice discorso riportato non è sufficiente perché si possano intravedere effetti polifonici. Si avrà polifonia quando «l'atto illo• cutorio d'asserzione per mezzo del quale si caratterizza l'enunciazione. è auribuito a un personaggio differente dal locutore L( ... ). Non si tratterà più di direioqualcosa «a proposito di L'• come avviene nel discorso riportato. «ma di presen• tare l'enunciazione come un'asser• zione di L'. di mellere in scena. per così dire, una pièce di teatro dove L" ( ... ) interpreta il ruolo di enunciatore. mentre L si nasconde dietro L'. proprio come Molière si nasconde dietro Alces1ce lo lascia parlareio (Les mots du disco11rs. pp. 44-45). In tal senso l'enuncialo di pri• ma, ·ricro ha dello x·. può riceve• re una lettura polifonica se il tema del discorso in cui compare non è più 'Piero· ma Y. inlcndcndolo magari come argomento per la conclusione 'Allora farò y·. ecc. Sicché. quando si parla. si può essere locutori senza essere enuncia• tori. si può dire senza la direna assunzione del diclum (una virgolettatura senza virgolelle). Vi sono enunciati tipicamente polifonici: ad esempio quelli al condizionale. del tipo 'li governo sarebbe affidato a Craxi'. il cui enuncia1ore potrebbe essere la Dove il sisuona stranieri che parlano altre lingue: le mie vocali sono più vocaliche delle allrui vocali. Se volete scoprire che cosa sia una vera vocale, linguisti di tutto il mondo. venite da me e i1e lo mo• strer0. Ogni volta che uno straniero ha lodaro la dolce melode della nostra lingua. l'intensa musicali1à dei noslri suoni, la ricca 1essitura sonora delle nostre ,•oci, in realtd mi stava prendendo in giro. Ma i guai non finiscotto qui. Questo ipervocalismo congenito - molesto come un ipertiroidismo - non determina soltanto il mio modo di parlare la mia lingua. ma il mio modo di parlare, o sparlare, qualsiasi lingua. Bas1avarcare i sacri confini, e mi trovo subito sva11• taggiato perché ho il mo1ore vocale sbagliato: come guidare una Cadi!• lac nei vicoli di città vecchia. o wra cinquecento nelle motorways californiane. Insieme al passaporto e alla carta di credito, ogni volla che vado all'esuro dovrei richiedere un appa· raro vocale di ricambio: un nuovo mo1ore laringo•buccale che mi permetta di mutuare le mie marce sonore con apparecchi lrasmellitori più idonei ad altri idiomi. La mia molesta italianità. che una volta si manifestava aura,•trso il cappello di paglia col nastrino e l'abilità di Gu1do Almansi strimpellare «'O sole mio,. suJ mandolino, oggi è dichiarata pubblicamenu~sopra11wtodal comportamento abrwrrm della mia glottide. A vr6 w1 bel cercare di chiedere u11cafft come "" francese. "" ho1 dog come 111a1merica,,o. ,ma birra come ,,,, 1edesco:appena stacco le labbra e apro lt1bocca, i movimemi lubrici della mia li11g11ai .trilli della mia i,gola. i boccl,eggiamemi della mia laringe am11mcia110subito la mia ide111ità"azionale: Makaro"i! Spagheui.1 Dogo! Aitai! Wog! Il signor Jehovah co,ui11ua a ,·e11dicarsdi el gran lavoro di Babele cos1ri11ge11domailla lieve esitazione di fro111e ti 1111t0tasale, a w,a sovrabbo11da111eattivitd ,•ocalica dopo la sferzata di ,ma C0'1S0'1ame finale, a/J'addolcime,uo da castrato di una sibilatile, al rammollime,110 di 1111gautturale, all'alle11wme1110 delle corde vocaliche (quasi a cosce larghe: l'amico roma,resco sospeltava legmni fra vocalismo ed ero1i• smo quando qualificava ""a r<1• gazza di facili costumi come 11110 zitcll.À co" la •O• finale maiuscola e accentata), Ecco. io mi ero mascherato da cosmopoli1a. o più specificame111e da eur0J"0. ma la mia pronuncia mi ha degradato immami11ente a Makaroni con allrtttanta sicurezza e rapiditd che se fossi 1mcongolese di pelle scura e volessi passare per svedese. Mai sono rillscito a passare il Jesifinale dei ci'1q11eseco'1di: dire una frase bre11issima senza far• si riconoscere per iwlia110. E mi comraddica chi è riuscito a ordi11ll• re u11abibita al banco di 1m bar i,r un paese straniero e 1101è1s1ato rico11osci111s0ubilo per w1 Makt1ro- ,,i. Cosmopolita? Europeo? Ma 1101f1acciamo ridere: europeo w1 corno. ltalidno s6110. e c6me. Ed essere i1alia11siig,,ifìca involgarire qualsiasi lb1g11a.degradare og"i idioma al denomi11atorecom1111dei una espansibililà canora e di 111e1sibizio,rismo fo11e1ico, come gente che parla melllre mangia, o mangia con la bocca aperta. Ecco, gli stranieri mi consideT<1- "o come q11ale11'1c0he parla con la bocca aperta, co" lo stesso disgmto con cui si osserva il cugino ,lefì• cieme che mostra ci6 che Ila i,i bocca quando mangia alla fl0Slratavo• la. E anch'io, quando parlo, moSiro rimasugli di fo,,emi, briciole di coruonanli, grumi di di11011gfora dente e denle o fra lingua e p<1la10. lnvece di aibire agli astami frammenti di pane e prosciutto qua,,do mand11co11nsandwich. io offro al• lo spellatore preziose prospeuive della mia cavità buccole qua,rdo parlo. Vedere"" italiano parlare è stampa (e il locutore un 'portatore sano' di una parola d'ordine). oir pure gli enunciati introdotti da ·Sembra che' o 'Pare che', ecc. Lo s1esso accade per gli enunciati ne• gativi (negazioni descriuive), in cui operano congiuntamente un enuncia1ore che afferma (1° ano illocutorio) e un locutore-cnunciatore che rifiuta (2° allo illocu10rio). (In 'Non fa caldo· vi sarebbe una specie di «dialogo cris1allizzato•. p. 50). Insomma. nel compiere degli atti di linguaggio non si può che essere irresponsabilmente responsabili. Attitudine che ogni locutore manifesta in due modi alternativi: nel primo. appropriandosi direuamente della parola altrui. cioè immedesimandosi con uno o più enunciatori; nel secondo. facendoli parlare. met1endoli in scena come anori degli atti illocutori (cfr. L'arg1mumtatio" dans la la11g11e, p. 175). 11quadro leorico. che ho sommariamente illustrato, permeile così di rendere conio di un gran numero di 'fenomeni' non sufficientemente indagati. Uno di essi è certamente l'ironia. E ciò è 1an10più urgen1equanto più si soffra dinanzi alla sua definizione classica: «figura logica che consiste nell'affermare una cosa inlendcndo dire l'opposto .... Mancando di un'esaua teoria dei con1rari. la retorica tradizionale (o anche 'generale'; cfr. Groupc µ, Paris. Larousse. 1970) pesca la nozione di antifrasi. che però si pone in circolo con quella di ironia: è impossibile definire \'una senza impiegare l'altra. Del resto. la forma di con1raddi• zionc (dire l'opposto) che secondo come seguire ,m corso di odo,uoiatria. Da b1101i1wlia110io devasto ogni idioma che abbia la disgrazia di fì· '1irefra le mie mandibole. li super• bo nervoso guizza,ue i11glesedi Nl'w York di11ema la tartagliata sbocclltezza dell'orrendo brookli11ese;la """a sca,,sio11e,lelf'i11glese i'1glese, /'i,,glese parlmo alla Radio bri1a1111icèa,scartlinata dai disordinati imen·emi del ri1tnomediler• ra,,eo: il francese it, bocca mia divema la sg,miau, parodia del marsigliese, il quale a sua volta è gid in parte parodit1di u11pii, norclicoac• cento; lo spag,,olo divema un italiano da farsaccia plebea, con qualche .s,. fi11ale aggiuma per burla tra sibili e zufolii; il ricco dialeuo porte,io di Buenos Ayres ,Jive,,u, il balbe11a10 cocoliche; il te• desco si trasforma 11elloscawrramemo cli 1m vecchio rnbaccoso. Tuuo quello che io 1occocol mio accemo si imbarbarisce, imbastardisce, implebeisce, diventa sozzo, sbracato e volgare. Ogni volla che io adopero l'inglese o il francese, odio il mio italico palalo, la lingua e lt papille t le labbra italio1eche i,,sistono a biascicare i suoni del dialeuo 11tltivoa'1che quando si richiedono altri suoni e maledizioni. Il signor Jehovah continua a vendicarsi su di me: perché italiano.

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