Alfabeta - anno VI - n. 57 - febbraio 1984

IlvocianoMichelstaedter Carlo Michelstaedter Epislolario a c. di Sergio Campailla MjJano, Adelpbi, 1983 pp. XVlll-'llil, lire 38.000 La ptrsuaslooe e la nttoria a c. di Sergio Campailla Milano, Adelphi. 1982 pp. 231, lire 7000 Massimo Cacciari «Metafisica della gioventù.» in Gy6rgy Lukics Diario (IJlll-lJll) a c. di Gabriella Caramorc Milano, Adclpbi, 1983 pp. 69-147, lire 7500 S tudente a Firenze negli anni iniziali della Voce, Carlo Michelstacdter partecipa di quel clima culturale soprattutto in un aspetto: il rifiuto delle forme e dei generi precostituiti di scrittura. Ct una medesima esigenza di esprimere il «tumultuare,. contraddittorio e dissonante delle tensioni interne - giustamente quella temperie ogg.i ~ rivisitata sotto il segno di un nostro espressionismo - che sarà interpretata da Boine e da altri «vociani» come stravolgimento e mescolanza stilistica: lirica dentro la prosa, «amalgama.. di prosa e versi (si pensi a Jahier. a Campana). Micbclstaedtcr avrebbe certamente trovato consentanea al proprio furore anti-«rettorico» la definizione dell'/gno10 boiniano: «la lcncratura. dico gli schemi consueti della espressione letteraria, son come aride cd immobili mummie». Ma, prima che nella stessa Voce prendessero corpo le istanze più avanzale e innovative, il giovane goriziano si era già tolta la vita, nell'ottobre l9IO. Resta il suo approccio problematico alla scrittura, insofferente dei rigidi confini disciplinari (tanto da mettere in difficoltà intere generazioni di critici, educati sulla distinzione crociana di filosofia e lclteratura). Ora, la recente edizione presso Adelphi dell'Epistolario - merito, ancora una volta, delle attente cure di Sergio Campailla - ci offre l'occasione di considerare il rappono tra Michclstacdter e la scrittura dal punto di vista insolito del caneggjo, genere 'privato' piuttosto composito, che tocx:a filosofia e letteratura, ma al livello colloquialedel qootidiano. Diciamo subito che questa edizione servirà egregiamente a fornire dati biognfici - e farà la gioia di eventuali critici psicoanalitici, che vi troveranno trascritti aJCUJlslogni da manuale. Rispetto alla scelta proposta da Clliavacci nelle Opere del volume sansoniano del 1958, Campailla ha aggiunto una considerevole mole di inediti e ha inoltre ripristinato-venuti a cadere ormai i motivi del riserbo - mol- :::? ti brani omessi. Sono stati restituiti .5 aJla forma originale diversi passi ~ riloccali nella precedente cdizior:&. ne, sopnttutto le frasi dialettali f tendenti allo scurrile: ad esempio, laddove Chiavacci dava: «Dio che 1 stupido che sono», leggiamo ora, con beo più vivace autocritica: -.Dio che stronzo che son». Tutto ~ ..., un versante ucre~ntizio del lini:: guaggio michelstacclteriano (e il ] dialcno stesso non è una parola ~ :~~~t~~l~~~?!~uò tornare feliL, aspetto che più interessa è il notevole investimento di energie nella scrittura epistolare. Percht la lettera non vale solo - come dic.e Campailla nell'Introduzione al volume - da «occasione rituale e magica», ma rappresenta un modello fondamentale di comunicazione 'scritta·, cui Michelstaedter doveva attribuire molti caratteri positivi. Infatti: se all'e,Utica dell'oratore che vuole convincere un uditorio indifferenziato (sfruttando anifici validi in ogni caso) egli contrappone la dialenica socratica che punta alla verità, facendo leva sulFrancesco Muzzio/i so 'comune· sottinteso. Per lo studente straniero, sempre un po' a margine dell'ambiente fiorentino, lo scambio epistolare con i familiari diventa il principale ancoraggio protettivo; mentre, all'opposto, il ritardo delle re• sponsive assume i tratti torturanti dell'«incubo» e dell'«agonia». Inoltre, la prossimità della scrittura epistolare al linguaggio parlato (e notavamo già il vist·osoapporto del dialetto) contribuisce a restituire l'immagine del vissuto. Ancora a Paula, nel 1909: «Ceno che il quadro che mi fai del vostro viaggio( ... ) l'hai descritto con tanV. CJ,.kbniJwll r. A. Kndr.nych, Moodallafinc, MoKII /9/l; ili. di M. I..Arionov. l'anima dell'individuo, ecco allora che proprio nella missiva poteva trovare un contatto verbale rivolto a un interlocutore preciso. Come Socrate nel Fedro esige una parola che sappia «con chi ha a parlare,., cosl la lettera si indirizza ad personam, ed è esclusiva: «Dico questo a te sola», scrive Michelstaedter alla sorella Paula - e lo stesso giro di frase ritornerà nelle poesie A ~nia: «Le cose ch"io vidi nel fondo del mare, / (... ) I Scnia, a te sola le voglio narrare». In questo modo la scrittura pretende di non iscriversi più nel codice anonimo e convenzionale, ma di dipendere dall'incontro di due individui e dalla loro intesa completa che garantisc.c la confidenza piena. Allora la co"iJpondenza diventa veramente degna di questo nome. Non per nulla il destinatario, soprattutto nel primo periodo, è la famiglia, nucleo chiuso dove il linguaggio viene riconvertito in una sona di gergo, a far da segnale per il riconoscimento immediato; sicchf la lettera può limitarsi a indicare i termini di un discorta vivacità che vi vedo sempre cosl, come tu hai scritto( ... ). In generale la tua lettera è cosl viva e parlata che mi pareva d'averti vicino». L'uso, frequente in Michclstaedter, di illustrazioni accanto ai segni linguistici aumenta ancor più le capacità viJive della scrittura epistolare. Essa sembra in grado di assolvere quella funzione di avvicinamento (sottolineamo il «mi pareva di aveni vicino») che, ne La pusuasione e la rettorica, verrà assegnata alla parola persuasiva, secondo il motto parmenideo di «far vicine le cose lontane•. Se la preoccupazione del nostro autore è che la scrittura non diventi un doppio, astratto e staccato dall'attualità della vita, l'epistolario, steso quasi giorno per giorno (dove la spedizione non è che pausa momentanea della continuità diaristica) fa c.oincidereespressione e esistenza . V edremo come questi connotati positivi verranno messi in dubbio dal con!ron10 con altri modi di scrittura. Finchf la confidenza con la famigliaè totale, le lettere michelstaedteriane sono affollate di 'cose'. Esse danno conto anche della venigine per la ressa emozionale delle impressioni, quasi che comunicando la vertigine si possa rinsaldare la paventata perdita dell'io («mi pare d'essere un altro ad ogni istante, devo aver perduto il senso della continuità del mio 'io'»). In un primo tempo, l'io è apeno alla pluralità, sia degli appetiti gastronomici (le lettere offrono il ritratto a sorpresa di un Michelstaedter 'goloso', soprattutto di cioccolata), sia delle seduzioni femminili (con volubilità: «amo indefini1amente tulle le donne»). Ma, progressivamente, la variazione nel molteplice verrà bloccata dall'imperativo morale: la coscienza «ferma e oriizontale sempre come una bussola nella nave tormentata dal mare e dal vento» (a Chiavacci, il 26 febbraio 1909). E la «-persuasione•, opposta alla «rettorica» delle relazioni e del divenire, si farà tetragona e impermeabile agli stimoli dell'edonismo e del materialismo. Proprio le pagine dell'Epistolario mostrano tale sviluppo intellettuale verso le formulazioni conclusive della tesi di laurea - invero anomala come tesi - LA ~rsuasione e la rc11orica. Ma la tesi, impostata tutta sul vigore assertivo e quasi assiomatico, cancella accuratamente le tracce del «caos in travaglio» (per usare l'espressione di Boine) che l'ha prodotta. A questo punto, l'assolutismo della coscienza persuasa giudica severamente anche la scriuura 'giornaliera· delle lettere, troppo legata alla «diuturna morte» del divenire; la lettera, non potendo ricalcare sul serio ogni attimo della vita, dovrebbe sparire nel silenzio di un contatto spirituale privo di parole: «A chi più si pensa - troviamo in un brano a Mreulc del febbraio 19IO- o si scrive ad ogni istante o non si scrive mai. poiché ogni volta la lettera sembra insufficiente a esprimere questa costanza del pensiero•. Ormai Michelstaedter si affida a un altro tipo di scrittura, non intrappolata, come la lettera, nell'infinita ripetizione dell'effemeride; una scrittura definitiva, pronunciata una volta per tutte (una ..-voceadeguata», egli dirà, che vale da ..-risposta»e «conclusione»). Al destinatario singolo si sostituisce uno scenario generale che ha per protagonisti l'«uomo» o gli «uomini», e dove tuona la perentorietà del 'dover essere': reiterati «egli deve• costellano il finale propositivo della prima parte, Della persuasione. P iù Miehelstaedter ~ assorbito nel messaggio 'religioso' della Persuasione, e più, di fronte al compito cen1rale, le altre attività (poesia, disegno) passano in sec.ondo piano. Pure, non sono abolite. La stessa scrittura epistolare continua, e non serve soltanto a ragguagliare gli amici sullo stato dei lavori: le lettere dell'ultimo periodo mostrano, infatti, il versante problematico di quanto nella tesi è oggetto di enunciazione ferma e inflessibile, e portano in luce icontrasti interni, provocati dalla sopravvalutazione mistica del verbum, cui il prezzo materiale della scrittura oppone una sorda resistenza. Significativo è quanto Michelstaedter scrive all'amico Chiavacci nel novembre 1909: «Scusami Gaetano. L'obbligo di scrivere giornalmente contro mia voglia, il senso che, per quanto lontano mi sembri dalla giusta attività, pure è questo che la giustizia vuole da me, mi dà una repugnanza per le chiacchiere parlate o scritte, e, poiché mi sono affidato quasi impersonalmente al tempo, la paura che perdendo tempo perderei anche ogni criterio del mio compito. Strane cose: scrivere ad un amico ciò che hai desiderato di dirgli diventa 'far delle parole inutili' e scrivere giomalmenle le chiacchiere che scrivo. questo è l"opera·, !"azione'!». Incapace di ammeuere la relatività e la parzialità della pratica scrittoria, Michelstaedter si ingolfa in paradossali riballamenti. Il lavoro della tesi lo fa soffrire per la troppo lunga incubazione, per il tempo vuoto che distanzia il pensiero dall'espressione (il contrario della lettera, in cui il passaggio è subitaneo); l'«opcra• lo costringe a sospendere la vita, e a rinviare la parola comunicativa del contatto individuale, censurata come «chiacchier.iJte sottrazione di tempo. Michelstaedter non si nasconde che l'enunciazione impersonale della giusti.ziagli costa proprio il differimento di una immediata esecuzione della «giusta attività». Egli sa che i suoi grandi persuasi (Socrate, Cristo) non hanno scritto. Lo tormenta il sospetto che il segno non sopporti il peso della rivelazione. e resli, a sua volta, inene «chiacchiera»: ma ritiene un passaggio obbligato la reclusione nel silenzio dove soltanto può c.oncentrarsi la parola risolutiva. Come in taluni ritratti michelstaedteriani le labbra serrate paiono caricarsi per un grido imminente, così anche le ultime lettere contengono la tensione di questo doloroso «trattenere il fiato». Il suicidio che Michelstaedter appone alla chiusura della tesi ha contribuito notevolmente a focalizzare la critica su quelle parole, le «prime» e le .cultime». Anche l'interesse per !"autore goriziano, dimostrato dalle odierne filosofie della KriJis (ne è prova l'accenno di Cacciati alle pp. 113-15 della sua Metafisica della gioventù, postfazione al Diario di Lukacs), rimane pur sempre fissato sul modello c.ontrappositivo («persuasione• c.ontro «rettorica») offerto dalla tesi. Dove, per quanto Cacciari si esprima in termini assai apprezzativi, non può risultare la modernità di Michelstaedter: «Il pensiero contemporaneo non penserà la via di Michelstaedter•. L'Epistolario, invece. fornisce gli indizi di un percorso più complesso, e anche contraddittorio; e rende sfumati e incerti- per lo meno più internamente combattuti - quei drastici s1eoca1i.Ne deriviamo rinvito a non puntare unicamente sul punto di vista filosofico: attorno al problema della scrittura, filosofia e letteratura si negano e si interconnettono in un tragico ondeggiamento, quello stesso che sarà costitutivo del più consapevole versante «vociano».

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