Alfabeta - anno VI - n. 57 - febbraio 1984

Pron d'artista Mario Luzi Trota in acqua (Alfabeta 57) Le pettina i pensieri, le mola i sensi quel flusso d'acqua e d'aria a un più .duro soprassalto le sbatte il dorso, le sveglia una memoria ondosa, tra prossima e lontana, di suoi diacci chiarori. La culla, il vasto, la sferza ma anche le scompone . il passato ed il presente,, le disordina il luogo e il tempo, pazzo, la disorienta e lei cala razzando alle sue cieche riserve si libra in una nube il verdecupo la ritempra ed eccola si slancia in alto, fende l'ombra e il peso trita coi suoi dibattimenti il filo della lunga risalita verso il chiaro e la trasparenza lui le svaria intorno le scinde le parvenze le moltiplica le immagini col perpetuo mutamento di sue luci e di loro rifrangenze sopra e souo quella fluida quella cristallina pelle. Prove d'artista Giancarlo Majorino Trepezzi (Alfabcta 57J Come in una figura 01ticaambigua i quattro volti accostati potevano essereguardati come sfondo buio di una frastagliata coppa al centro. E viceversa l'oggetto si spostava sino a divenire sfondo bianco del gruppo dei profili. Era un incanto, mormorava un critico entrato con resina d'invidia, tanta da imitarne il tono acuto. Di uno, la bocca s'apriva; gli altri, sentivano; occhi f,ssi e mobili, bambini intenti che una voce pa1erna teneva nella rete. Ma da certi guizzi, intuibili come capricciosi, umorali, un impeto 1ranenu10li legava e legava l'osservatore seminascosto dalla macchina del caffè. Strana riunione, alle 10. Commentando, con lafanlasia bisognosa di libertd e di slancio si allonlanava; quindi, ritornava: il richiamo era la bennota figura della Guida, fra i Ire che ascoltavano. Entrare scompigliando, oppure continuare a, indugiava. Spiarli, rischiando lo vedessero loro, e sbirciante, perdente ogni dignitd ogni scusante. Il peggio, ruotando il collo prese che un altro ancora aveva inquadrato tutti. E, pur parlando con una ragazza, forse addirittura accennandone a lui pure, si poteva arguirlo dalla loro rigidità e dall'aprire e chiudere le labbra di lui, non voltarti eccetera, aveva costituito un piccolo ma fruttuoso, forse, non si sa per cosa, campo di osservazione. Un curioso, impigliato nelle pose? un ulteriore interessato?e per chi? Che fosse mattino, traffico veloce, ordinava il quartetto, d'orchi e argano avrebbe dl!IIOGianni, quale losco. In preparativi, mett} congiura e metà affare; sono altri la sera, neve azzurra di lampade, i conciliaboli ai tavoli, portano sagome presenti assenti, nude nella mente o nelle stoffe. Uno teneva, ah erano tutti vestiti di scuro le scarpe 11ere,camicie candide la mano o meglio un pugno nella tasca braccio quasi ad angolo pieghe i11tornoil gonfio, forse con un'arma lì dentro, Così l'abbaglia a volte ma la porta in si il fiume, le apre ogni ba"iera di vortice e di gorgo, l'avvolge col suo manto di frenesia e potenza, la spinge alla sua sorte - ma non ha una sua sorte, lei, non può, lei non i lei, i solo la sua famiglia lo ignora il fiume o il pensiero onnipresente che per lui pensa glie lo apprende la sospinge, egli, la ferma, la riprende nella sua massa ventosa torpida, fremente. Lei non ha conoscenza se non dell'elemento, fedele a quello va e viene dalle sue stanze su e giil per la corrente, su e giil nel tempo. bes1iolina1tmporaneamen1e in gabbia nellaparte chiusa scura della gabbia, un acre sentore di regressione selvatica. • Smise di parlare, il porUJtored'is1ruzioni, gli archi si nllenlarono, il tempo di retrocedere sino allo schienale degli sgabelli di pelle e di cos1ringermia span're, appiccicalo quasi al robot bollente. Insistendo nella loro strategla convessa di sorveglianza, l'uomo e la ragazza, uscili, si erano collocati, lei di faccia, appoggiata a un'auto, f,ssando attraverso la vetrata e chi abbracciava sudando la macchina del caffè e il gruppo seduto che ora come un mazzo di carte da verticale cade sul tavolo sparpagliandosi. In molte direzioni guardavano e non so, avendo iniziato a camminare di sbieco a/l'indietro, se e chi tra loro mi avrebbe vis10, mi avesse visto percM ero già fuori e fuggivo, fuggivo veloce, i quattro e i due lasciati a 1uper 1u,poi lasciati come si1uazione, tale è il potere del cervello di togliere ogni disturbo per sempre. Ma la natura ama scherzare, ollrechi nascondersi, e in1orno a «per sempre» avrebbe potuto muovere sorridenti riserve. Ha i capelli neri tutti tinti, stretti intorno la testa. Mette sempre la propria persona come filtro: nulla passa senz'autorìzzazione. Sapendosi offensiva e maleducara, tempera con un 1"1sorriso a luna la violenta vigilanza. Fa un lavoro semplice: vende dolci cosi scambia il corpo doro per otto ore ogni giorno feriale al gerente, i proprietari lontano girano il mondo, afferrano da aerei. Gerente brusco basso, sarebbe discretamente contento, ha mano libera sulla pasticceria ma è scontento per caralttre, per qiui viaggiatori che intascano definitivamente al suo posto, pozzo garanti10, per la dipendente che vuol fare /'indipendente e ci riesce percM è stata lasciata dal marito. Averla Il in negozio, balena schifosa, che non vuole star sollo, lraduce litigando d'acEsistono o li sogna per si il cuore umano nelle sue angustie quei filanti paradisi , di libertd e d'obbed~nza o li furge il tksiderio e in asi quei tripudi dell'unicitb e della simiglianza? Figlia lei del fiume docile sì e no alla sw forza scivola sul flutto lungo ki, fatica sulle siu frange ristd in qualche pelago tra masso e masso, danza talora sotto il croscio, s'incanta a una fiorita maltUlina di visi spruzzi spume. Sa lei e non sa. Sa ii fiume e non sa. O i, tuno, dentro la sapienza sapienza esso pure, perfuro il non sapere di 'questa domanda che inle"ompe il silenzio: o ne capta il canto. cordo col barbiere, 1empisempre più aspri, spl!ranze cessai<. li barbiere sta pagando il negozio nuovo e ne ha l'osso in gola. Capelli neri tulli tinti, dicendo così ha aperto il rapporto con il geren1e,che si fa tagliare i capelli a/l'antica, attilla10 come i grandi della sua gioven1ù, il cinema. Sta con il collo del piede in mano fantasticando di tenere il piede sul collo di lei e di un incidente aereo senza sopravvissuti. Stavo cosi scrutando tra i vassoi l'interno, bello come una sala di museo. Giungevano voci su varie scafe, aliti, abili di genie viva, 1ransitoria,rapida. Un'onda non piccola, impetuosa, entrava rulla stanza: dall'esterno vedevo il grosso ricciolo carico d'acqua alto più di un metro e largo quanto l'intera apertura prorompere. All'interno, si alternavano, non so se davvero cosi oggettivamente o in rapporto alla direzione degli occhi, due vedute. Una d'acqua crescente, un irresistibile salire, su cui galleg- ~ giova una testa sballottata, i lineamenti contorti, la bocca a spalancata all'approssimarsi del soffitto. L'altra, concernen- ·~ te diu persone tranquille, sul fondo della ca,:nera,una gran- ci. de camera, forse un gruppo di stan2e indudentisi, che gwr- iJi_ davano l'acqua. Parlando, l'uomo immergeva nei pochi centimetri, l'acqw era ba.ssalì, più o meno una pozzanght!- -S! ra, la punta di una scarpa. j A uno sgwrdo intensivo, circolare, profondo, la doppia ~ visione componeva una sorta di unitd simultanea; dovi! di "" volta in volta poteva essere la sofferenza di un annegamento inevitabile o la noncuranza di uno spettacolo da fuori a gridare: io sono io. j Qualcosa di radicalmente vero, di chiaramente reale. ~

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