Alfabeta - anno VI - n. 56 - gennaio 1984

Giovanna Sicari A Ido celebrava la qualità del cibo che ci sarebbe stata, di D a poco, proposta. AJ suo fianco, di fronte, Marina mi sorrise con tacita complicità. Avremmo finito la serata a casa sua, io e lei, lasciando Aldo e Sara alla stazione. Il fatto che finora i nostri contatti si fossero limitati a qualche sorriso, alla voce e al suo timbro, alla pressione della mano nella mano, faceva sl che questa cena si presentasse oscuramente come una sorta di iniziazione al mistero. Per poco Aldo non batt~ le mani quando finalmente ci venne servito il primo piatto. Davanti a me, come un cubo schiacciato. con una superficie rugosa e bruna, dai contorni incerti e sfrangiati, fumava nel piatto la porzione di lasagne al forno. Con la forchetta feci una leggera pressione in un angolo della superficie quadrata che già vidi, con la coda dell'occhio, farsi informe e fangosa poltiglia nel piatto degli altri. Ne uscl prima una sorta di crema biancastra, come il siero denso di qualche enorme inseno, e poi, liquido, un sugo arancione. La crosta si sollevò, come un minuscolo sportello. rivelando piccoli grani bruni di carne. Aumentai la pressione, infilai il pezzo che si era staccato sulla punta della forchetta e lo portai alla bocca, caldo, umido, tenero, molle. Gli occhi di Aldo si erano riempiti di lacrime. Forse il calore improvviso e inaspettato della pasta, o forse un piacere occulto. che veniva celebrato e sostenuto con i piccoli sorsi del vino frizzante che seguivano quasi ogni boccone. Il primo frammento si era aperto la strada lungo l'esofago. L'avevo sentito, per tutto il percorso, ormai lubrico e lubrificato, dove senza fatica. pezzo dopo pezzo, avevo poi fatto scivolare tutto il cubo, che si era disteso pastoso e omogeneo sul fondo dello stomaco. Il :! mio piatto era vuoto. La luce di- ·t screta della candela rivelava dei piccoli grumi biancastri, in mezzo ~ a lucide righe di unto rappreso, rilievi e percorsi di una strana map- -~ pa geografica. ~ Il sorriso di Marina si fece più ~ ~~~~di: ~~~:.b~; :~:.o ir~~~~~ gliolo, avevano cancellato il rosj setto, ma non la luminosità perla- ~ c:ca che il sugo aveva lasciato die- ~ tro di ~- Le sue guance erano legS> germente arrossate. Il suo viso sa- § rebbe stato diverso. di Il a qualche ] ora, dopo che si fosse abbandona- ~ ta ai baci e all'amore? Anche Aldo I. Uncolpo si sentiva, un mio anltnalo lo indovinò, ma da dove entrare lungo il co"idoio, se tu non sopportavi lasofftrtnza W M soffrivo corM un caru, da dove entrare se ogni jiMStra risuona di campaulle. Un pianto si semi va di stamberga duerto, la mia castitàper una trappola M usciva~ia in una gabbia. Un puro accessorio di tale ignoranza i miei versiper i diavoli preparavano l' uta/e di bambù, adangolo reuo con un prendisole maleodorante. ''''''' 2. Stelle grandiose, non era un mero spiegamento diforu, lo statutoche imprusionava il ba11i10 della mia la1i1anza! Di marmo era I' asunza sulle ali imperiose di un condor, in queste condizioni, per una prua di porere che non m'interessava camminavo su~'orlo, fra le roUJit della ferrovia. Una porta mi aspeuava nel centro, ed un messaggio che giudicavo incauto. Su una vetrura1imidadi ferraglia era il mio parasole nella corsa. EclaxAmor sorrise soddisfatto. Tra i denti macchiati, l'impasto del cibo aveva occluso ogni varco. Passai la lingua sui miei denti, meccanicamente, e li sentii lisci e scivolosi. Bevvi un sorso di acqua minerale, tenendola a lungo in bocca, e passandola furtivamente tra i denti, contro la lingua e le guance, senza riuscire però a togliere la sensazione che persi!,tevaostinata. Rinunciai al brasato, che coloriva cupo i piatti degli altri, e scelsi un filetto, che inghiottii rapidamente a grandi bocconi, cercando di non fissare il liquido sanguigno che si spandeva nel mio piatto, costellato di minuscoli occhi gialli. Curioso, pensavo tra me, l'attributo di brutte parole, indecenti, a termini secchi e puliti. come il bisillabo fica, in cui la pretesa della effe è subito corretta dalla sobrietà della «ca.-, che chiude la porta a qualsiasi prolungamento o a qualsiasi indugio, o all'aspro suono di «cazzo'",di fronte a parole umide, debordanti, con echi infiniti, come «lasagne», o «besciamella.-, o alle turpi alJusioniche si possono scorgere in «filetto», «lombata» e «lombatina», ..nodino», o alla sboccata trivialità di «brasato». M'infastidiva anche la falsa, altisonante, nobiltà dei nomi dei vini, «barolo». piccolo mostro di corte gambe vestito di velluti, e «barbaresco», con il suo volgare esotismo, o «lambrusco», per non parlare dell"indecente allusività dell'«amarone», di fronte, ancora una volta, al netto bisillabo «acqua.-, Franco Rella ,. reso ancora più sobrio dall'aggettivo «oligominerale». Sprofondai nell'amaro piacere del caffè, menlre gli altri affondavano i cucchiaini in un dolce cremoso. Ogni volta che il cucchiaio veniva sollevato, per pochi terribili istanti, un filo si tendeva ancorandolo alla tazza, bianco. o giallo chiaro, striato da macchie brune di cacao. Il filo si spezzava, il cuc• chiaio giungeva alla bocca, ma dal suo ventre pendeva ancora una piccola coda mostruosa, che sembrava tremare prima di appoggiarsi alla lingua, tra le labbra chiuse, da cui, dopo poco, esso sarebbe sortito lucido, brillante. per ridivenire opaco e fangoso nella ta2.2a appoggiata alla tovaglia che si era, durante il pasto, increspata e come inumidita di vapori e di fiati, ecostellata di un pulviscolodi briciole, con qualche macchia alonata, pallida, di vino. «Non sono abitualo a mangiare cosl presto» disse Aldo, «e l'idea di menermi in viaggio in vagone letto quasi subito mi spaventa. Avrò mal di stomaco fino alle due e poi una fame mostruosa. Potremmo andare a bere da qualche parte e poi fare una spaghettala a casa tua, Marina, e prendere l'aereo domani mattina presto». Appoggiai il palmo apeno delle mani sulla tovaglia, fissando Marina, mentre diceva sorridendo: «Ma allora, andiamoci subito a casa mia. Beviamo, ascoltiamo musi~. Aldo stava semi.sdraiato sulla poltrona, bevendo whiskey, e schioccando la lingua e sospirando a ogni sorso. Su un'altra poltrona, seduta sui suoi stessi piedi, Sara mostrava un'ampia zona del suo collant color pesca, fino al rinforzo e alle cuciture. Marina mi aveva trascinato in un ballo, quando, dopo aver sentito vari cori di vari Rigoleui, Aide, e Forze del des1ino, aveva messo sul piatto vecchi dischi jazz. «Temptation» mi disse sussurrando e avvicinando le sue labbra al mio viso. Sentivo il suo ventre morbido contro il mio, attraverso il cedevole tessuto jersey del suo vestito. e il rilievo più duro del pube, e l'alito caldo in cui, avvolti nell'odore dell'alcool. si mescolavano gli aromi della cena e del rossetto. che si era rispalmato sulle labbra. «Abbastanza, grazie» risposi un po' imbarazzato. ~È il tilolo del disco» mi disse ridendo, mentre Aldo ci interrompeva battendo le mani e gridando: «Basta scopare! Mangiare!» «Fermi luni» disse Marina. «Ci pensiamo noi», e mi prese per mano, lrascinandomi verso la cucina. Si fermò sulla soglia, scandendo: «.A-glio, o-lio e pe-pe-ron-cino!» Preparò lutti gli ingredienti, mentre gli spaghetti. sleli giallastri e sterili. aspettavano in un recipiente. Quando l'acqua giunse a bollore, Marina si tolse con moto rapido, mentre la guardavo stupito, da sotto i lembi del vestito grigio perla. il collant e le mutandine. Si affacciò alla porta del soggiorno e disse ad Aldo e a Sara di apparecchiare: «Tra dieci minuti è in tavola». Buttò la pasta e si volse verso di mc. «Adesso sono occupati. Tullo questo tempo è per noi». Mi cinse il collo e mi trasse a sé, contro il tavolo di cucina. Dieci minu1i dopo gli spaghetti fumavano nei piani. Aldo e Sara ci guardavano con occhi sapienti. Marina sorrideva serafica. seduta, con le gambe e il ventre nudo sotto il vestito. lo arro1olavo la pasta in un gomitolo sempre più grande, e sentivo schi2.2areattorno a mc, sul dorso delle mani, minuscole gocce d'olio. che la coda degli spagheui. avvolgendosi intorno alla forcheua. spa2.2avavia dal piauo. Toccò a me accompagnarli all'aeroporto, semiaddormentati, con la macchina di Marina. che era rimasta a casa perché, aveva detto, non cc la raccva più. Il cibo sembrava essersi solidificato in una sorta di cono, che affondava le sue basi nel mio stomaco per giungere, con il suo vertice, fin dentro la bocca, quasi fra i denti davanti. Respiravo a bocca aperta, mentre guidavo verso casa mia. Avrei riportalo la macchina il pomeriggio, cosl mi aveva det10 Marina, sfiorandomi fuggevolmente e furtivamente sulla porta. «Ti aspetlo, amor mio» sussurrò, mordicchiandomi il lobo di un orecchio. L'eros è alleato alla gola. Avevo anche ammirato la seduzione gastronomica di Albert Finney in Tom lone.s. Che cosa non aveva funzionato? Edax eros, sacra fames. La testa sul cuscino. Piccolo rigurgito. La bocca spalancata. Ouenebramento e buio. -,

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