Alfabeta - anno VI - n. 56 - gennaio 1984

troppo imbarazzante per chi non accetta alcuna rappresentazione di ~. tranne quelle volte nella dire• zionc felice dell'infanzia (propno questa insofferenza dell'immagine attuale connessa al groviglio della colpa/complotto sta alla base del moll1plicarsi degli scritti autobio-. grafici, degli scritti che hanno precisamente il compito di costruire e sostenere un'immagine «veritiera.. ma acc.cuabile). La sua risposta, innanzi tutto. espunge gli altri dalle fantasticherie: la solitudine sarà il primo requisito. L'occhio del testimone (vedi J. Starobinski, «Rousseau e il pericolo della riflessione.., in L'occhio viven1e, Torino, Einaudi, 1975) non può intromettersi pena la soppressione dell'incanto. Gli altri, al limite, non compariranno nemmeno nel contenuto del fantasticare - un sognare passivo. perfettamente intransitivo, appena agevolato da piccole azioni inconcludenti, un passeggiare tutto im• merso nella natura. Se la natura t runico luogo-oggetto accettabile. Jean-Jacques abbandona la città per ritirarsi dove sembra albeggia• re con la natura incontaminata una evidenza immediatamente sensibile. uno splendore del paesaggio che sa brillare agli occhi. Trasparenza e brimo dell'originario appaiono allora possibili: Rousseau ripropone il mito plato-. nico della statua di Glauco che il mare e il tempo hanno sfigurato, ma che forse sotto le incrostazioni t possibile nasconda ancora il volto originario (J. Starobinski. La lraJpareriza e l'ostacolo. p. 43). Ma a questo punto il circolo vizioso porta a formulare una nuova domanda: possono queste immagini di splendore naturale mantenersi. hanno durata per chi le crea o le insegue fantasticando? E chi fantastica cosl. chi t preso dalla strapotenza dell'immagine, non rischia di vedere quelle stesse immagini sovrapporsi al vero godimento delle cose (quel godimento che promettono ritorno alle origini e stato di natura)? Non rischia infine. chi fantastica di alienarsi a se stesso, di perdere l'unico avveni· mento del disvelarsi: il sentimento della coscienza? Una risposta è nel capitolo «Il sognatore mette in fuga le immagini» di L'occhio viven1e (pp. 108· 13). La pedagogia rousseauiana ci ha insegnato con l'Emilio a mante• non è tanto il possesso delroggetto che caratterizza il momenlo del fantasticare. quanto piunosto l'euforia dello slancio immediato. È lo slancio del sentimento. non la moltiplicazione delle figure - è un puro sentimento che non ha anco-. ra apeno gli occhi. Un tumulto oscuro. un bruciore che non sa cosa possa guarirlo: è questa una zona di ebbrezza da cui solo in un secondo lempo esce l'immaginario ... L'immaginario si HannoSclrygullar UlliWmmrl in L1ebc ist klillcrals der Tod (1969) nere l'immaginazione assopita il più a lungo possibile. L'immagina• zione (al contrario di Vico) fa la sua comparsa solo con la previdenza e la riflessione, ciot nel momento in cui l'uomo si allontana dallo stato naturale. Ora la fan1asticheria mantiene per Rousseau questo sospetto nei confronti del· l'immagine. Nella fantasticheria, come nella scrittura romanzesca, il desiderio ha il potere illimitato di produrre immagini, ma non è tanto questo, distacca da un fondo senza imma• gine» (L'occhio vivt'nte, p. I02). Posto in una posizione seconda. l'immaginario giunge con un certo ritardo: quan10 vi t di più au1entico sta nell'intensità silenziosa dell'emozione primitiva (p. I03). Da questo punlo di vis1a Rousseau, che ci appare come il primo naneur, è un naneur senza mondo esterno. un flàneur di eventi della coscienza - cosa questa che. per chi avrebbe dovuto ristabilire il dominio della natura. non t da poco. (Derrida parla delle Confessio• ni come del tealro dove si descrive l'allontanamen10 dalla natura). L'equilibrio richiesto. perché sia possibile vero godimento della fantasticheria. tocca un vertice in cui all'equilibrio stesso deve essere sacrificato ogni con1enuto d'immagine: .,L'adeguamento all'insieme cosmico è il punto supremo che rimmaginazione può auingere ma in cui scompare ogni immagine» (L'occhio vivenlt', p. 106) Una disposizione al sovrapporsi della fantaslicheria segna il parti• colare carauere del dileuantismo di Rousseau; è la ragione per cui S1arobinski annoia che egli racco• glie erbe da collezionisia e non da na1uralista. Rousseau è dilettante naluralista con Michelet. o con Edmund Gosse (Padre e figlio, Milano, Adelphi. 1965).cd è copista con Tanner di Walscr. o con Bartleby di Mclville. A tutti costoro queste attività sono facili sponde per fantasticare (tranne forse Gosse che t più sull'imitazione), ma solo per Rousseau esse si fanno «segni memora1ivi»: segni de· positati. come un fiore disseccato in un erbario (come un sistema suppletivo di memoria, tipo quel• lo del no1es magico freudiano), che all'occasione risvegliano una luce. un giorno, un paesaggio - il momen10 dell'infanzia in cui era s1a1audila una cerla musica, o il giorno dell'erborizzazione in cui fu riposto roggeuo che oggi sa resti• tuire il mondo a cui fu tolto. Nella Passeggiata settima, Rousseau parla del diario di erborizzazione funzioname come uno strumento ottico che proietta di nuovo allo sguardo l'immagine del passato. Il sistema della memoria non sfugge al movimenlo vizioso, il rapporto con il passato si sovrap• pone all'istantanei1à divina e infantile. alla durata del presente continuo e alla «proiezione» di un'età dell'oro, originale e di natu· ra - e comunque disegna uno dei rari spazi dove i segni non solo non si trasformano in osiacoli. ma si aprono. si fanno accoglienti luoghi di evasione. In Gosse o in Michclet il naturalismo dilettante si fa a coppie, in Rousseau invece è soliiario (con questo se ne accen1uaraspeuo che porta alla fantasticheria) ma in compenso si accompagna con la propria teoria. Solo Rousseau dà la teoria del proprio dilettanlismo e delle proprie fantasticherie. Ad esempio, nella Passeggiata settima non solo conneue i reperii dissec• cati con le memorie e le immagini ma vi allinea insieme i propri pen· sieri presi con gli oggeui da collezione. Di questi. come degli oggel• ti, egli ha solo quasi sensazioni: ..Je mie idee non sono quasi più altro che sensazioni. e la sfera della mia comprensione non oltrepassa gli oggetti da cui sono immediata• mente circondato». Magistr-.Ji!sttreghe Romano Canosa Isabella Colonnello Gli u.Jtimlroghi. La fiM ddla ca<da alle stnghe in Italia Roma, Sapere 2000, 1983 pp. 143, lire 16.(XX) Roben Mandrou ~laglstnti • 5ITqj,e ndla Francia dd Sàcmto trad. it. di Giovanni Ferrara Bari, Laterz.a, 197~ voli. 3, pp. 664, lire IO.SCIO Max Marwick (•d.) Wltdlcnll and Sorttty. SdttudReadings Ha.rmondsworth, Penguin. 1982 pp. 496, ls. 4,95 L a stregoneria, le sue spiegazioni come fenomeno collettivo e le modalità della caccia ai suoi e alle sue esponenti, continua a essere oggetto di notevole N interesse. A dispetto, però, della .~ mole cli pubblicazioni, la questio-. [ ne rimane abbastanza aperta. 0>, me spiegazione della diffusione e f durata del fenomeno, e relativamente inesplorata a livello di studi -~ condotti sui reperti archivistici esi- §_ stenti. - Il libro di Mandrou, per la Fran- ~ eia, e quello di Canosa e Colon- ;: nello, per l'Italia, banno il merito ] di muoversi in quest'ultima dire- ~ zione, pur con tutte le difficollà e 1i cautele che studi di questo genere componano. In Italia, per esempio, alla mancanza di un archivio centra1e si aggiunge una certa carenza di fonti dovuta e alla segretezza delle procedure inquisitorie e al fatto che in città come Milano e Palermo gli atti dei processi dell'Inquisizione furono distrutti al momento della soppressione di quegli organi cli «giustizia,.. La via etnograf',ca In questi ultimi tempi, sono sta• te riposte molte speranze nella etnografia come meuo utile per arrivare a una migliore e più ampia comprensione dì questi fenomeni (la seconda parte dell'antologia curata da Max Marwick ~ tutta dedicata a questo tipo di studi). Secondo questo orientamento la credenza europea nella stregoneria e nella magia presenta molti punti in comune con quelle che prevalgono presso i popoli ..-nonletterati» della nostra epoca. La questione, tuttavia, appare più complessa. Gli stessi autori che sostengono la necessità di un approccio etno-, grafico, rilevano subito che ranalogia (che comprende da un lato il contenuto delle stesse credenze popolari sulla stregoneria, dall'altro la misura relativamente bassa con la quale esse occupano i pensieri della gente) t valida soltanto per il Medioevo, mentre perde quasi del tutto la sua utilità cono-. scitiva per il periodo seguente. Nel passaggio dal relativamente indifferenziato feudalesimo me• diocvale alla variegata, flessibile e incerta organizzazione sociale che ha inizio con il Rinascimento e con la Riforma, la credenza di antica data nella stregoneria «venne a confondersi con le nuove preoccupazioni religiose e politiche. Le streghe furono identificate con gli eretici e questo apportò una nuova arma alla panoplia della Chiesa (... ). Come risultato di questa commistione, la stregoneria europea acquistò alcune sue caratteristiche particolari, la più importante delle quali fu la nozione che le streghe avessero fatto un patto con il diavolo. Mentre in altre società le streghe personificano il male, in Europa esse assolsero questo compito in modo assai panicolarc, con l'essere cioè addirittura le rappreCon Ros~I Zrclr(198/) sentanli in terra del Principe del male» (M. Marwick, in Wi1chcrafr, pp. 14-15) Non si tratta di un particolare poco importante. Poiché la caccia alle streghe diventò un grande fenomeno collettivo proprio in quei secoli, il riconoscimento della estrema difficoltà di adoperare nei suoi confronti nozioni tratte dalle società primi1ive diminuisce notevolmente le possibilità conoscitive connesse con le ricerche etnografiche. Inoltre, le stesse distinzioni analitiche valide per alcune delle società primitive sembrano non essere valide per altre: Macfarlane esclude, per esempio, che le osservazioni fatte per gli Azande siano estensibili ai Ccwa (in Witchcraft, pp. 44-45). Per tanto, la via obbligata per lo studio delle epoche della grande caccia alle streghe, iniziali come terminali, sembra essere ancora quella storiografica. anche set ovviamente possibile che vi siano apporti particolari provenienti da ricerche di altro tipo. Magistrati e streghe II libro di Mandrou e quello di Canosa e Colonnello si occupano della fase terminale della ..caccia». Secondo Mandrou, la caccia alle streghe in Francia finisce nel decennio 1672-1682,e precisamen1c con l'editto colberiiano del luglio 1682.Anche se l'editto non fa alcun riferimento al delitto di s1regoncria, il fallo che in esso si parli solo di ..pretesa magia• porta con sé implicita, secondo Mandrou, la negazione del palto diabolico e delle pratiche sataniche legate al sabba e ai malefici tradizionalmen• te denunciati dagli antichi demonologi. Fissato questo rigido riferimen• to temporale, Mandrou t poi,co-. stretto a negare, per esempio, che il notissimo caso Girard-Cadière, esaminato dalla Corte di Aix nel 1731, costituisca un processo di stregoneria, e a considerarlo come mero effetto della «tenacia della tradizione» (p. 612). In realtà, il processo in questione - diffusamente esaminato da Michelet ne La sorciir~ - presenta molti aspet· ti che lo riallacciano a quelli diabolici «puri» del secolo precedente, anche se nel frattempo molla acqua è passata sotto i ponti, e molti dei presupposti in precedenza «di• retti» sono diventali ormai soltan10«indiretti• e mediati. Un altro dei punii fermi di Man· drou t la insistenza sul ruolo «.illuminato» svolto in Francia dalle corti nella lenta sparizione del de• litio di stregoneria, ccc. Le ragioni di questo comportamento aperto dei giudici francesi sono indicate da Mandrou nei termini che seguono: «i giudici delle corti sovra• ne appartengono alla élite intellettuale del regno. Sia nell'esercizio

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