menti che compongono tale qualità emergente è di una molteplicità astronomica e, inoltre, che non dipende più da leggi di natura in certa misura formulabili, ma dallo svolgimento di comunicazioni, la cui complessità rende impossibile ogni categorizzazione. Qui vale piuttosto il postulato della teoria dei sistemi, secondo il quale ogni sistema è la propria migliore descrizione. D linguaggio del rapporto si differenzia anch'esso sostanzialmente da quello in cui trova espressione l'immagine classica - monadìca - dell'uomo. E sotto questo aspetto ancora le scienze esatte sono avanti di decenni nei confronti delle scienze umane. Circa sessant'anni fa, Bertrand Russell insisteva già sul fatto che le affermazioni su oggetti e quelle su rapponi vanno rigorosamente distinte. «Questa mela è rossa» sarebbe un esempio della prima forma di affermazione; essa si riferisce a una proprietà individuale dell'oggetto mela. «Questa mela è più grossa di quella» è un'osservazione che ha senso solo nel rapporto tra le due mele, e non è riconducibile all'una o all'altra mela. Mentre tale stato di cose risulta chiaro dall'esempio triviale ora menzionato, essa è tutt'altro che evidente nell'ambito delle scienze umane. Anzi, qui la situazione è tale che da un lato il rapporto si fonda sulla comunicazione, ma dall'altro la possibilità di comunicare sul rapporto stesso è resa quanto mai problematica dalla natura per così dire impersonale dì ogni rapporto. Detio in modo un po' più banale: già nel rapporto a due è presente un teno elemento, cioè gli elementi della qualità emergente non riconducibili ai singoli partners della relazione. Proprio questa riconduzione viene continuamente tentata, in panicolate nel caso di conflitti intcrumani, e la formula è: Quello che non è in mc dev'essere necessariamente nel partner - dove altrimenti? È notoriamente difficile individuare la presenza del' U.rtium di una relazione, se non altro perché non ci si può trovare nel quadro di una relazione e contemporaneamente abbracciarla con lo sguardo nella sua globalità, per cosl dire da/J'ut~rno. Chi si aggira per un bosc.o non conosce né la sua estensione né i suoi contorni. «La vita è come una spada - diceva un maestro Zen - che non può ferirsi, come un occhio non può vedere se stesso». I processi che si delineano chiaramente nel corso deUa comunicazione tra partners in relazione, e che costituiscono la sostanza di tale relazione, le loro chancu cosl come le loro patologie, divèntano solo lentamente l'oggetto di una ricerca sui generis. In genere domina ancora l'idea tradizionale, se.condo cui qualcuno, una persona, ba la colpa del verificarsi di conflitti nei rapporti (o di disturbi della comunicazione, come occasionalmente vengono definiti), e tutti gli altri interessati sono innoa;nti. La psicoterapia della famiglia ci insegna qualcosa di diverso. QW noi vediamo che, nel caso dei cosiddetti disturbi psichici o intellettuali, si ha a che fare con strutture ~ clirapporti, con qualità emergenti, a e non con individui ammalati. •i Questo stato di cose si fa più - chiaro nello studio di sistemi socia- ~ li più complessi. Anche qui ha ancora un peso eccessivo la concezio- -~ ne se.condo cui la responsabilità ~ dell'insorgere di clifficoltà sta nel ...., comportamento di una determina- :g ta singola persona. Da ciò discende la regola che questo individuo ] venga espulso dal sistema, cioè, ad ~ esempio, licenziato o .::speditovia~ ~ - una pseudosoluzione che, tra l'altro, non è possibile a una famiglia (a parte i casi di separazione, assassinio, suicidio o ricovero in una clinica psichiatrica). li posto liberatosi a causa del licenziamento viene poi occupato da una persona ritenuta di maggiori capacità, ma anche questo collaboratore fallisce, poniamo, dopo solo pochi mesi. È sostituito da un terzo, il quale pure finisce per dimostrarsi inadatto al suo compito. Questi casi sono numerosissimi, e solo negli ultimi tempi i dirigenti responsabili di tali macrosistemi hanno cominciato a chiedersi se la causa del fallimento sia da ricercarsi nelle scarse capacità della persona o non piuttosto nella posizione che l'interessato occupa all'interno del sistema di comunicazione - se cioè non si tratti di una posizione insostenibile anziché di individui incapaci. Per lo studio dei processi di comunicazione nei grandi sistemi sociali, dunque, è di particolare interesse il fatto che tali processi possiedono letteralmente un'«individualitb propria e si sviluppano e si complicano chiaramente secondo leggi che però, forse, non hanno più nulla in comune con i propositi, i fini e i valori degli individui che li compongono. Tali autonomie sono spesso di un'inumanivolta causa. Ma accorgersi di ciò - come è stato più volte sottolineato - è estremamente difficile. La parte del sistema rappresentata in quell'immagine negativa oppone poi resistenza in una forma identica ~ cosa che contribuisce ulteriormente alla paranoia del sistema. Per la verità, non fa ancora parte della nostra concezione della realtà l'idea che - quasi nel senso di una tragedia greca - nell'universo di un simile sistema ci siano soltanto vittime e nessun malvagio; che tulli stiano, per cosi dire, sotto la medesima cattiva stella, e che proprio col desiderio di cambiare questa situazione si contribuisca al suo mantenimento e alla sua fatalità. Questa concezione si afferma solo lentamente - forse troppo lentamente - per impedire la rovina del nostro pianeta. Ma là dove essa si afferma, comincia a delinearsi un'immagine del mondo la cui riflessività trascende i principi lineari di spiegazione di tempo, spazio e causalità, in uso fino a oggi. Nel suo saggio dal pregnante titolo Die Zukumft der Vergangenheit {li futuro del passat~). Wolfgang Kaempfer richiama l'attenzione su questo stato di cose: «Se questo sviluppo non dovesse essere interrotto, continueremmo a Lou Castel e HtlnlUlSchygulla in WarnungvoreinerheiligenNuue (1970) tà brutale, e ci rammentano quello che già Friedrich Nietzsche diceva in Al di là del bene e del male, cioè che la follia è rara negli individui ma è la regola dei gruppi, delle nazioni e delle epoche. E poiché gli individui privi di potere e di speranza che soffrono in questi sistemi oppongono una comprensibile resistenza, senza d'altra parte poter cogliere, per i motivi già menzionati, la natura impersonale del sistema nella sua globalità - il suo carattere morfologico (Gestaltcharakter), - ne deriva facilmente l'accusa di irrazionalità o di spietata malvagità rivolta a una determinata parte del sistema - vale a dire un'immagine ostile. M a chi agisce o chi reagisce in una simile calamità? La domanda è posta in modo sbagliato. Essa ha senso soltanto se si condivide l'immagine del mondo propria della scienza classica, per la quale i processi si svolgono dalla causa all'effetto in modo linearmente e rigorosamente determinato. Ma proprio questa idea della realtà non ha potuto essere conservata nella conoscenza delle azioni reciproche all'interno dei processi cotnunicativi. Nella sua circolarità, ogni causa è già sempre effetto, e ogni effetto è a sua 'fare storia', e verremmo nello stesso tempo coinvolti in processi che possono essere letti in parte come conseguenza del nostro 'agire irresponsabile', in parte come 'processi naturali'. lnterpretazione e fatto, concetti e cosa, non vanno più separati. Sarebbe necessario un 'metalinguaggio', una 'referenza' che ci possa spiegare quello che di volta in volta figura come 'spiegazione•~•. , Ogni spiegazione è cioè una funzione metalinguistica. È la rappresentazione o l'interpretazione di una osservazione nei concetti tipici di determinate modalità descrittive, delle quali generalmente si suppone che rappresentino la realtà nel suo esser-cosi obiettivo, indìpendente dall'uomo. E questi schemi descrittivi sono, come ho cercato di dimostrare, il risultato di una comunicazione, e quindi costruzioni umane. Già Heinz von Foerster osservava in questo contesto: «Cosl perveniamo alla verità lapalissiana per cui la descrizione (del mondo) presuppone qualcuno che lo descriva {lo osservi). Ciò di cui solo abbiamo bisogno è la descrizione del 'descrivente', o - in altre parole- abbiamo bisogno di una teoria dell'osservatore. Ma poiché in base a quanto ci è dato oggi sapere solo gli esseri viventi possono essere considerati come osservatori, questo compito sembra spettare al biologo. Ma egli stesso è un essere vivente, e questo significa che la sua teoria non solo deve includere anche lui, ma deve pure rendere conto del fatto che egli formula la teoria,.•. Nel tentativo di fornire un'interpretazione definitiva del mondo, problema fondamentale della scienza, scorgiamo dunque inevi• tabilmente il fenomeno della riflessività. L·osservatore che si trova, in olimpica indipendenza, al di fuori del quadro della sua osservazione, non esiste. Non ci sono oggetti senza osservatori, e perciò non c'è alcuna realtà in questo senso ..o. biettiva•, chiusa in se stessa. In occasione del XIV Congresso dei premi Nobel a Lindau, nel 1964, Max Bora dichiarò: «Io credo che idee come quella di una giustizia assoluta, di una verità definitiva, di un'esattezza assoluta, siano idee fumose, che non dovrebbero essere ammesse in nessuna scienza•. E proprio il nostro linguaggio sembra essere il più consapevole di questa relatività, della qual cosa noi, che facciamo uso del linguaggio, abbiamo necessariamente una chiara coscienza: fallo deriva notoriamente da facere, e poeta significava originariamente sia produttore che creatore. Oppure abbiamo dinanzi agli occhi ciò di cui una volta Schroedinger ha dato questa formulazione: .,_L'immaginedel mondo di ciascun Uomo è e rimane una costruzione del suo spirito, e la sua identità con la realtà non può essere dimostrata in nessun modo~10 • e ome stanno le cose, allora, in riferimento alla definizione di Norbert Wiener, citata all'inizio, del mondo come miriade di comunicazioni? È possibile che queste comunicazioni rappresentino soltanto la metà di un circolo, e che quindi siano, in senso proprio, riflessive? Anziché tentare una risposta, consentitemi a questo riguardo di citare, a puro titolo orientativo, due passi tratti da altri testi. li primo è contenuto nel libro Laws o/ Form del logico inglese George Spencer Brown, che a un primo sguardo sembra avere ben poco a che vedere con i problemi della comunicazione delle scienze umane. È invece l'esposizione di una logica nuova, non aristotelica, che parte dalla considerazione secondo cui alla base di ogni osservazione o ricerca sta la ..p. osizione di un'indicazione,., cioè la divisione in osservatore e osservato. Da questo punto di partenza deriva poi il postulato secondo cui il mondo sembra creato in modo tale da poter giungere al coglimento di se stesso: ...Ma per arrivare a ciò, il mondo deve anzitutto dividersi, e precisamente in una parte che vede e almeno in un'altra che è vista. In questa condizione di frattura e di separazione, quello che il mondo vede è solo in parte se stesso. Possiamo senz'altro supporre che il mondo corrisponda a se stesso (cioè che non sia distinguibile da sé), ma che in ogni tentativo di vedersi debba procedere in modo tale da distinguersi da sé, e che quindi si falsifichi. In queste condizioni sfuggirà sempre, in parte, al proprio coglimento~11• Lo stesso concetto si ritrova in Calcolo della riflessività del biolo• go cileno Francisco Varela: ... u punto di partenza (, ..) consiste nello stabilire una dislinzione. Con questo atto originario di separazione noi differenziamo l'una dall'altra le forme che poi attribuiamo al mondo stesso. In considerazione di ciò, insistiamo sul primato del ruolo dell'osservatore, che compie le sue distinzioni a ogni livello. Proprio tali distinzioni, che da una parte creano il nostro mondo, dall'altra rivelano i nostri giudizi soggettivi, fanno riferimento al punto di visla dell'osservatore piuttosto che alla vera natura del mondo, la quale, in virtù della separazione dell'osservatore dall'osservato, resta sempre inafferrabile. .e Vedendo il mondo nel suo determinato esser-così, dimentichiamo ciò che abbiamo fatto per trovarlo in questo esser-così; e se ricostruiamo il modo in cui siamo pervenuti a esso, difficilmente troveremo qualcosa di più del riflesso del nostro Io nel mondo e come mondo (in und als Welt). In contrasto con la concezione predominante, l'analisi meticolosa di una osservazione rivela le caratteristiche proprie del suo o~ervatore. Noi, gli osservatori, ci differenziamo proprio attraverso la distinzione da ciò che apparentemente non siamo, cioè attraverso il mondo~n. (Traduzione di Carlo Sandrelli) Note (!) LudwigWingcnstcin. Bemerkungen ii.berdie Grundfagen der Mathematik, Oxford. Basi] Blackwell. 1956: trad. it. Osservazioni sopra i fondamenti della matematica, trad. di M. Trinchero,Torino. Einaudi, 1979,p. 234. (2) Ibidem,p. 237. (3) Cfr. GrcgoryBatesone al., ..A. uf dcm Wegc~zu ciner SchizophrenieTheorie•, in Schizophrenie und Fami• /ie, a c. di Jilrgen Habcrmas e altri, Frankfun/M, Suhrkamp Verlag, 1969, pp. 11-43. (4) Cfr. GregoryBa1eson, «A Theory of Play and Phantasy»,in Psychiatric Research Reporu n. 2, 1955,pp.39-51. (5) Cfr. PaulWatzlawick e al., LU.Sun· gen, Bern, Hans Hubcr, 1974. (6) MartinBubcr,«DistanceandRclations•, in Psychiatry n. 20, 1957.pp. 97-104. (7) Gerhard Frey, Theorie des Bewusstseins, MUnchenV, erlagKarl Al· ber, 1980. (8) Wolfgang Kaempfer, «Dis Zu· kumftder Vergangenheiot derDieNa• tur des Menschen.., in Frank/urter He/te 36 (1981),quad. IO (pp. 53-64), e quad. 11 (pp. 45-55). (9) Heinz von Focrster, .-Notespour une épistémologie des objects vivan1.s., in L'Unilt de l'homme, a c. di E. Morine M. PiattelliPalmarini,Paris, Éd. du Seuil, 1974,pp. 401-07. (IO) Erwin Schroedinger, Mind and Mauer, Cambridge,CambridgeU.P. (11) GeorgeSpencerBrown, Laws o/ Form, New York, Bantam Books, 1973. (12) Francisco J. Varela, .-A Calculus for Sclf-Rcfercnce•,in lnternotional Journof o/ Generai Systems n. 2 {l 975), pp. 5-24. Questo è il testo della relazione di Paul Watzlawick al Convegno in• rernazionaledi swdio •la comunicazione umana» (Abano Terme, /9-20 seuembre 1983), promosso dall'Istituto Gramsci veneto e dal Goethe lnstit11t.
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