I lo Sklovsk~ii~hio cineasta e ome sono solito fare ogni volta che mi reco a Mosca, anche lo scaso agosto sono andato a trovare Viktor Sklovskij. L'ho visto poco dopo che era stato ufficialmente festeggiato per i suoi novant'anni e l'ho trovato come sempre vivace, attivo, desideroso di conversare, di aprirsi e confidarsi davanti al mio registratore, o meglio a «quell'aggeggio nero», come lo amava definire. Abbiamo trascorso lunghi pomeriggi discorrendo di VJadimir (che lui chiama familiarmente Volodja) Majakovskij e Osip (per lui Osja) Mander itam, di Lcv (Leva) KuleWv e Aleksandra Chochlova, di Charlie Chaplin e di Jurij Tynjanov. E mentre il registratore fissava il materiale con il quale intendo preparare una Rassegna cinematografica a lui dedicata (Sklovskij ha lavorato intensamente nel cinema scrivendo o collaborando a 33 sceneggiature), mi riferì che aveva riscritto il suo libro 1eoricoprincipale, e più noto, Una teoria della prosa (O teorii prozy) perché ri1eneva che dopo cinquant'anni fosse invecchiato, così aveva deciso di 'aggiornarlo', di «chiarire quanto era capitato in tutti questi anniit. Quando nel 1925 fu pubblicato per la prima volta, Una teoria della prosa non conteneva saggi dedicati espressamente al cinema, ma egli mi disse che nella nuova redazione il cinema e la televisione si erano fatti largo di prepotenza, occupandovi un posto non indifferente (d'altra parte non poteva essere altrimenti se, come ebbe a confidarmi, egli è convinto che un giorno o l'altro -.la televisione potrebbe sostituire la prosa»), e mi propose di pubbLicare, in speciale anteprima per il lettore italiano, le parti della sua nuova opera che più direttamente si riferiscono al cinema e alla televisione. Scorrendo ora questi brani, mi accorgo che, seppur estrapolati dal loro più generale contesto, essi mantengono tutta la propria unitarietà e si sviluppano secondo il rigore che Viktor Sk.lovskij persegue con tenacia nei suoi lavori. Un rigore particolare, sicuramente sui generis, che affida ora alla reminisc.enzaora all'aneddoto curioso il compito di fare teoria e mira a raggiungere, con l'apparente disinvoltura della memoria, gli stessi risultati che altri critici perseguono sul filo delle più intricate avventure intellettuali. Certo non è la prima volta che tra gli scrittori e i critici russi la memorialistica viene 'nobilitata' ed elevata a materia prima letteraria, ma Sldovskij sa fare teoria e produrre critica utilizzando del materiale solitamente considerato ancora più 'basso', insignificante, oscuro, inutile. ln questo modo egli intende, come dichiara esplicitamente, riallacciarsi al folclore, alla tradizione 'popolare', secondo un costume di prosa sospesa tra letteratura e giornalismo che aveva avuto tra i suoi migliori rappresentanti quel Vasilij Rozanov che Sklovskij ha sempre sentito vicinissimo e dal quale, oltre a questo modo di pra• ticare la scrittura, ha appreso anche l'inconfondibile stile che contraddistingue la sua prosa: meiaforico, impressionistico. ..-disordina.. to•, ..-daibruschi passaggi,., e senza ..-apparentemotivazione nel collegamento delle singole parliit, proprio come egli scrisse dello stile di Rozanov. Dunque, sono i problemi rela1ivi alla cultura 'popolare', alle espressioni 'folcloriche', o meglio il ruolo che l'individuo, come membro di un collettivo, può svolgere per riaffermare la propria continuità ideale, che più preoccupano Sklovskij. In effetti, egli ha trovato un artificio stilistico per continuare, e ribadire, nella critica letteraria la tradizione 'folclorica' come la manifestazione più autentica del gruppo sociale, e ora ci suggerisce di impiegare il mezzo cinematografico o televisivo per collocarci nella stessa direzione tematica. Ma percorrendo quale strada? l suoi riferimenti storici (il Fedro di Platone, l'Istituto di linguistica dove lavoravano Koni e Séerba) e gli avvertimenti che riguardano il temix>di percezione. si ripromettono di ricondurre la funzione del cinema e delJa tv all'interno, non tanto del lavoro 1estuale o intertestuale, quanto piuttosto del privilegio del linguaggio come privilegio della phont. Sottolineando il concetto di parola viva, mi pare che egli intenda riaffermare che l'essenza o la normalità dell'ascolto presuppone che colui che ascolta prima dì tutto si ascolti, cioè si proietti dall'es1eriorità del mondo alla propria interiorità, quale unica via per difendersi dal possibile coinvolgimento suscitato dal cinema o dalla tv e ricollegarsi cosl alle strutture più profonde della propria coi11è culturale, del proprio gruppo sociale. Sintomatica, in questa linea di sviluppo, è poi anche la sua affermazione: ..-Accanto alla parola è apparsa una rivale: l'immagine,.. Certo, egli ostenta notevole fiducia nelle capacità dello spettatore, seduto al cinema o davanti alla tv, di non identificarsi con l'azione o con il personaggio della finzione. Infatti, per Sklovskij il sapere del soggetto assume una forma ben precisa, nel senso che lo spenatore è in grado di rendersi conto di percepire una fanualità immaginaria o anche, si po1rebbe aggiungere, DasklcineChaos (1966) di capire che egli rappresenta il luogo in cui l'immaginario realmente percepito accede al simbolico. Colui che guarda, insomma, si identifica (o può identificarsi) pri• ma di tutto con se stesso come stato di veglia, attenzione cosciente, percependo l'accadimento filmico o televisivo come significante di un'attività esterna che solletica in lui il suo immaginario, la sua coscienza di essere sociale, di soggetto colleuivo. A questi risultati, secondo Sklovskij, si può pervenire ..-prendendo coscienza» delle nuove convenzionalità e decodificando le nuove strutture narrative che ci vengono proposte, come succede ad esempio per i prodotti seriali, ai quali per altro egli non attribuisce nessuna connotazione negativa, perfida o coinvolgente (come spesso è accaduto da noi in recentissimi dibattiti), a condizione che il soggetto si dimostri in grado di decifrare l'insieme delle funzioni narrative che reggono il racconto di serie. Viktor Skiovskij di fronte al cinema manifesta spesso un atteggiamento di modestia, si scusa dicendo di aver lavoralo relativamente poco nel cinema, si lamenta di essere nato troppo 'presto', quando il cinema non era ancora stato inventato (per non parlare della televisione) e a Pietroburgo ci si divertiva davanti alle «incerte immagini propos1e dalle lanterne magiche,., Tuttavia. egli ammette di essere sempre stato affascinato da una «certa meraviglia per il cinema,., da un amore discreto. ma continuo, che l'hanno portato a riflettere costan1ementc non solo sulla funzione e sul linguaggio del cinema (e poi della tv) in senso tecnico, ma l'hanno anche spinto a andare oltre la 'precisione' del soggetto e della fabula. Per questo motivo, nel suo testo io trovo dell'altro, trovo rimandi, spie, sintomi, trovo allusioni ai mutevoli giochi dell'inconscio, ai quali, per allro, Sklovskij ha sempre riconosciuto un posto di poco conto nella sua opera. Certo, egli ha denuncialo la presenza nell'azione umana di un partecipan1e occulto, quale l'inconscio, fin dall'inizio della sua attività (-.Tutte le nostre abitudini procedono dalla sfera dell'inconscio o dell'au1omatismoit), e ulteriori riferimenti al suo impercettibile lavoro non mancano, ma essi solcano le pagine dei testi con la velocità di una freccia, non lasciando traccia evidente. Adesso, però, egli definisce l'arte come la continuazione di un sogno incompiuto. Che significa allora tutto ciò se non riconoscere all'arte non soltanto una funzione di straniamento, ma anche onirica? In sostanza, l'arte è il prodotto del sogno, e insieme fa sognaré. Come Benjamin, che sosteneva: «Dopo la Psicopatologia deJla vita quotidiana tale situazione è cambiata. Quest'opera ha isolato e reso analizzabili cose che in precedenza fluivano inavvertitamente dentro l'ampia corrente del percepito. Il cinema ha avuto come conseguenza un analogo approfondimento dell'appereezioneit, anche Sklovskij trova nel lavoro onirico, nella produzione inconscia, un complemento a quello straniamento che prima aveva ricercato sul piano puramente formale. Questa sua tendenza, poi, mi sembra ancora più evidente quando egli affronta il 'continente' Ejzen~tejn e tale approccio è in questo caso maggiormente giustificato perché in questa direzione Sklovskij ha di fronte a sé una strada già spianata, dal momento che gli scritti e la creazione di Ejzen~tejn sono, ormai da molti anni, oggetto di una ininterroua analisi psicanalitica con la quale si sono misurati, ovviamente nell'ambito del 'lecito' statale, anche i critici russi come V. lvanov con il suo libro Linea• menti di storia della semiotica in Urss (OCCrkipo istorii semìotiki v Sssr). Sarebbe interessante poter precisare se Sklovskij, definendo EizenStejn come il «vero vincitore dello spccchio►1, avesse in mente soltanto un riferimento letterario, volesse cioè riconoscere al regista il merito di aver saputo mettere l'arte cinematografica sui propri piedi vincendo quella certa «ossessione del rovesciamento>oda cui è dominato Thro11gh the lookingglass di L. Carroll, o piuttosto pensasse di suggerire che il ragazzino EjzenStejn, seppur vestito al• la lord Fauntleroy e tenuto per il collare, aveva già saputo superare la fase dello specchio 1rovando in pieno la propria identità come sog• getto creatore. Se fosse vera questa seconda interpretazione, Sklovskij si porrebbe, comunque senza particolari conseguenze, in aperto contrasto con quanto sostiene, nella sua monografia su EjzenStejn, O. Fernandez, il quale melle in relazione i codici di montaggio con il desiderio che EjzenStejn avrebbe provato di rinnegare l'infanzia, di credersi un altro mostrando i frantumi di se stesso. Certo, i problemi che Sklovskij affronta non terminano qui. Ma ora andiamo ad ascollare il testo, a provare il piacere della lettura, non dimenticando lo straordinario autore che, per il vigore e l'attualità del suo pensiero, non cessa, malgrado i suoi novant'anni, di stupirci. Luigi Magarotto D a che cosa incomincia l'arte? Nel sogno si riconoscono le prime cos1mzio11iarbitrarie, Queste epoche sono spartiacque della cultura umana. So110 le sulure dell'arte. Anche oggi assistiamo allo scontro di differenti culrure in campo artistico, come quando fu ù1ven1atala scrittura o la stampa. Da qlll!isogni che sono rimasti incompiuti. I sogni se ne vanno sempre prima di concludersi. la conclusione si può cercarla nei libri, solo che bisogna iniziare dalla fine. ma necessarie. I sogni sono squarci delle rimembranze umane, di ciò che si è percepito e che non si è mai concluso. La felicitd i Il, alla fine. Tuili se ne vanno da qualche ~ :~~ !/::a;;~ o semplicememe pensano ali'amata /ontaIl sogno è un archetipo dell'arte. L'uomo ha sognato l'arte ancora prima di tracciare la prima linea sulla pietra. «Forse il bisbiglio è nato gid prima delle labbra... »' E il cinema è apparso molto prima che aprissero le sale Sia Socrate, sia PlalOne, il quale fece di Socrme un pensa- /Orevivo, un personaggio dei suoi dialoghi, eranopersone di una cultura orale, di una cultura fondamentalmente poetica. [ I sogni si compongoM di frammenti, che vengono sotto- """ posti a un montaggio, come le costruzioni poetiche. ~ li sogno e il graffito sulla pietra hanno raddoppiato per .g primi la vita all'uomo. ... Sono l'espressione non solo di ciò che si percepisce, ma i anche di ciò che può essere percepito. ~ La gente deve tastare le pietre, passarvi una mano sopra e incominciare un graffito, che non si concluderd mai. I sogni raramente si concludono. ] / sogni sanno unire incerte schegge di ci<} che è staro visto ~ o sentito, e tutto questo è quasi il vero montaggio. • cinematografiche. Ormai da millenni l'arte cammina a fianco dell'umanitd . E l'arte muta assieme a/l'umanità. Dal ringhio della scimmia nasce la parola. E dopo nasce la scrittura, cresciuta sotto l'ala della pittura. La grafia di molte lettere, soprattutto dei geroglifici (che EjunJtejn conosceva cosi bene), conserva un legame con il graffito. Poi fu inventata la stampa. Quindi è apparso il cinema, e subito dopo la televisione. L'arte drammatica si è formata dai miti dei dialoghi e il coro, nel mezzo dei dialoghi, era come rappresentasse gli ascoltatori, i quali intervenivano nel discorso. Allora la prosa era Ulilizzata nelle descrizioni di viaggio, nella corrispondenza d'affari e negli atti dei dibattiti giudiziari. Tutto questo faceva parte di un mondo orale. L'azione del miro è stata trasferita sulla ceramica, e le scene mitologiche, anzi frammenti di mito, decoravano le anfore. Esisteva una severa normativa su come dovevano essere rappresentati questi disegni-segni. Per esempio, se nel dise-
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