Q uesti spunti, qui espressi in una forma volutamente sintetica. trovano uno sviluppo più articolato ne L 'Abba11do110 (Geftusenheìt, Pfullingcn, G. Neske, 1959). Esso comprende un discorso commemorativo del 1955 e il testo di un •colloquio sul pensare lungo un sentiero tra i campi» tra uno scienziato, un erudito e un maest.ro, che risale al periodo 1944-1945. In entrambi gli scritti Heidegger espone con esemplare chiarezza la sua posizione critica di fronte al dominio della mentalità tecnico-scientifica che, con la sua inquietante -ocasscnza di pensiero», minaccia e distrugge l'uomo nel suo intimo: -l'uomo del nostro tempo è in fuga davanti al pensiero», una fuga che egli non vuole neppure .:riconoscere» (p. 29). Di fronte a questa situazione di disagio Heidegger propone «attraverso un pensiero meditante. un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra G ià all"inizio degli anni cin• quanta la psicoanalista ame• ricana Margarct Naumburg, invitando a disegnare e dipingere tanto bambini che adulti in maniera il più possibile spontanea. riesciva a far estrinsecare e poi interpretava - anzi, riesciva a far interpretare da• gli stessi pazienti - i loro complessi rimossi o, comunque, i loro pensie• ri più o meno censurati o semplice• mente inibiti (non solo, dunque, le loro Verdràngungen. ma le loro Hemmungen) 1 • Questo metodo dimostra, meglio di molte elucubrazioni psico,. filosofiche, l'importanza premi• ncntc del «pensiero visivo• (di quello che viene spesso definito •visual thinking•) come mezzo per l'estrinsecazione di alcuni clemen• ti inconsci d'un individuo - cstrin• sccazione che avviene quasi sempre in forma simbolica e quindi, inizialmente, senza che il soggetto sia consapevole dei significati degli stessi. Quello che qui mi preme di ipo-. tizzare e di proporre - nel tentati• vo di «isolare• un problema come quello dei rapporti tra pensiero visivo e inconscio - è. appunto, il fatto di considerare come, attraverso l'attività immaginifica, si possano mettere a nudo e «ri-pescarc• direttamente certe formulazioni inconsce o preconsce dell"in• dividuo, meglio e più direttamente che attraverso le analisi impostate esclusivamente sul linguaggio verbale- linguaggio che spesso deforma e altera quelle che potrebbero essere le «spie» d'una rivelazione inconscia. Infatti. se in molti casi è proprio attraverso certe alterazioni lingui• stiche (lapsus. WitzY che si riesce a venire a capo di alcune motiva• zioni inconsce. è anche vero che spesso i resoconti parlati o scritti ~ dei sogni e delle «fantasie• oniri- ·t che sono alterati dalla traduzione in parole. Per questa ragione la tecnica ideata e utilizzata da M. ~ ] Naumburg rimane una delle «pro- - ve• più singolari e attendibili di ~ come il pensiero visivo possa essere un tramite prezioso per una pre- ~ cisazione dei confini e dei limiti di t: quello che. per ora, continuerò a ] definire come «inconscio•. ~ In realtà, è il concetto stesso di ~ «inconscio» - tanto discusso. conepoca• e che è rappresentato «dall"inarrestabile strapotere della tecnica» (p. 36). Non si tratta però di «gettare in campo( ... ) il pensiero meditante contro il pensiero pura• mente calcolante» (ivi), con l'intenzione di annientare quest'ultimo, bcnsl di recuperare una dimensione di pensiero che si liberi dalla logica distruttiva della volon• tà di potenza e di dominio. Non si tratta, dunque, di rifiuta-1 re la tecnica e i suoi prodotti, ma di usarla per quello che t, mantenendo la propria libertà: «Possiamo dir di sl all'uso inevitabile dei prodotti della tecnica e nello stesso tempo possiamo dir loro di no, impedire che prendano il sopravvento su di noi, che deformino, confondano, devastino il nostro essere. ( ... ) Si tratta infatti di lasciar entrare nel nostro mondo di tutti i giorni i prodotti della tecnica e allo stesso tempo di lasciarli fuori, di abbandonarli a se stessi come qualcosa che non è nulla di assoluto. ma che dipende esso stesso da qualcosa di più alto• (p. 38). Ora è proprio questo atteggiamCnto apparentemente «ambiguo», «che dice al tempo stesso sl e no al mondo della tecnica• (ivi), quello che Heidegger definisce qui «pen· siero meditante• e che esprime col termine Gelassenhcil: «l"abbandono di fronte alle cose (l'abbandono delle cose alle cose)» e «l'apertura al mistero» (p. 39). Fino a che punto questo atteg• giamento corrisponda a una disim• pegnata (e forse comoda) passività, o invece racchiuda tutta un'eti• ca della responsabilità che ripensa l'essenza dcll'ague e del /acere al di là della logica del produrre risultati, non è del tutto chiaro. Occorre leggere il secondo scritto compreso in questo volume - il «colloquio• che cerca di evocare e di raggiungere il luogo proprio dell'abbandono-per vedere come il rifiuto della volontà non comporti una posizione di attesa passi• va, di disimpegno o di distacco nel senso della noluntas schopenhaue• riana. «Forse in questo lasciare, nell'abbandono, si cela un senso dell'agire ancora più elevato di quello che attraversa tutte le azioni del mondo e l'agitarsi dcll'uma• nilà ... • (p. 49). SulJa base di queste affermazioni sarebbe forse il caso di mettere mano a una .._rilettura» dì a1cune tesi heideggeriane sul problema della tecnica, mettendone in luce gli aspetti costruttivi e sostanziai• mente «etici», finora rimasti nell'ombra. Potrebbe darsi, infatti, che il pensiero meditante come «abbandono•, come «lasciar--essere» capace dì non modificare e di non manipolare le cose e il mondo, non sia pensato da Hcidegger come una alternativa radicale e polemica nei confronti del pensie• ro calcolante, bensl come un atteggiamento complementare di criti• ca e di libera rinessione (cfr. a Il pensi@~visivo traddctto, biasimato, esaltato - che deve essere una volta di più riesaminato. Ed è per questo che vorrei. innanzi tutto, ricordare co,. mc già Owelshauvers (rammenta• 10 da Lacan) 1 avesse denunciato l'abbaglio di chi crede di poter considerare come unitario il concetto stesso di inconscio. Secondo quanto riferisce Lacan•, questo autore aveva elen• cato nel 1916 ben otto diverse modalità di inconscio: l'inconscio della sensazione, l'inconscio d'automatismo, il «coconscio» della dopditario che si riconosce nei nostri doni naturali•, e infine l'inconscio razionale o inconscio metafisico implicato dall'«atto di spirito•. Non intendo certo accettare né criticare queste categorie un po' abborracciate e alquanto discutibi• li. Vorrei invece soffermarmi su alcune altre categorie, solo in par• te sovrapponibili a quelle or ora citate. che mi sembrano coprire un"arca più omogenea e meno arbitraria. E precisamente: I. Non possiamo non dare il massimo peso a ciò che vorrei definire «inconscio percettivo», ossia quella forma di percezione ---conla coda dell'occhio» di cui siamo costantemente testimoni (più o meno inconsapevoli). 2. Questa osservazione si può estendere a un altro fenomeno ben noto: quello della visione subliminare, di cui si è valsa e si vale an• che la pubblicità e certi metodi persuasivi di tipo psichedelico. Come non tener conto di questo immenso bagaglio di percezioni vi· sive (ma anche auditive, tattili, ecc.) che avvengono senza che la nostra coscienza vigile ne sia edot• ta? 3. Un'altra forma di attività non del tutto consapevole - o consapevole inizialmente e in seguito «di· menticata•, eppure ancora vigente o rinnovabile (rammemorabile magari attraverso stimolazioni), da cui non si può prescindere e che può venir considerata come facen• te parte, in un certo senso, dell'in· conscio - è quella dovuta agli infiniti engrammi mnestici, risalenti alla prima infanzia o, come sostic• ne qua1cuno, al periodo fetale (quando alcune percezioni acusti• che transamniotichc sono o sarebbero capaci di influenzare il com• portamento futuro del feto, senza che questi, ovviamente, ne sia consapevole). 4. Sulla dinamica delle percezio-- ni visive come viene studiata dalla psicologia della Gestalt, non intendo soffermarmi. Eppure molti degli esempi offerti, per esempio, da Amhcim e da altri ricercatori' attorno all'attività più o meno cosciente di certe percezioni subliminari, rientrerebbero certamente nel novero di una visualità inconscia. questo proposito la recensione di Gianni Vattimo, «Salvàti dalla memoria», in La Stampa dcll'8 lu· $liO 1983). Certo è che il pensiero meditan· te (che, come abbiamo visto, costituisce l'essenza del genuino «fi. losofare») rappresenta per Heidcgger l'unica possibilità di «salvezza• per l'uomo contemporaneo, per le cose, per il mondo, per la natura nel suo insieme. Tutto ciò dipende sì dal «corrispondere aJl'appello», «dall'abbandono alle cose• e «dall'apertura al mistero•, ma anche e soprattutto da.U'appcl• lo stesso, dal dispiegarsi della verità: •l"uomo è colui che è assunto nell'essenza della verità al suo ser• vizio-. Solo così egli riceve «l'impronta della propria essenzu (p. 72) e, raccogliendosi in un atteggiamento rammemorante, può imparare a pensare, senza per questo farsi «signore dell'cs.scnte», mari• mancndo fino in fondo umile «pa· store dell'essere». V orrei ora passare a conside· rare finalmente alcune espe• rienze più direttamente im• plicate in quella che t l'ortodossa dottrina psicoana1itica. Tra gli esempi più tipici di un"attività inconscia (e preconscia), si devono rammentare quei meccanismi che conducono agli «atti mancati•, ai lapsus, alla formulazione del Witz, alla realizzazione di fenomeni nel• l'area cui appartengono le attività simboliche descritte da Freud in Totem t tabù. Sono fenomeni ben noti, che sarebbe ingenuo rivisitare. Ma quel• lo che, a mio avviso, t stato spesso trascurato, è il fatto che molti di essi riguardano soprattutto la sfera visiva, il «pensiero visivo-. il pen• siero per immagini; mentre il più delle volte la loro definizione e la loro analisi vengono compiute, dallo stesso Freud, sulla base di argomentazioni esclusivamente o prevalentemente verba1i. È stato affermato spesso che Freud prediligeva e privilegiava, nelle sue indagini e nelle sue esemplificazioni, la radice letteraria su quella pittorica. Anche nei suoi saggi più decisamente legati all'arte figurativa (Leonardo, Mosè. Gradiva), J"a. spetto lenerario delle de-
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