Paolo Fabbri. Qual è il dissidio che ti oppone a questo tuo libro, che tono li ha fatto? Jean-François Lyotard. Questo libro mi ha fallo un torto immenso. Lo detesto, mi ha quasi ucciso, ci ho lavorato per dieci anni. Nel 1974, subito dopo l'uscita di Economia libidinale, tenni un corso a Vincennes e dissi: •Ora basta con le metafore della sostanza, dell'energia, della forza, dell'intensità. Bisogna lavorare su un piano più povero, che non presupponga entità di cui non si sa nulla. Prendiamo quindi il piano del linguaggio e, in esso, il livello più debole, e ciot le frasi». Quelli che in Le Différend possono sembrare accenni di linguistic analysis, sono di fatto il tentativo di abbandonare ogni presupposto 'forte' (la sostanza, l'energia, il senso della storia) per giungere a una sorta di grado zero. Evidentemente, non c'è grado zero, e anche il linguaggio è una entità. Ma io qui non mi occupo del Linguaggio - esamino semplicemente la frase, una frase qualsiasi, la frase appena detta: dunque, la frase piiì. il tempo. Comunque, spero di essermi liberato di Economia libidinale, della sua metaforica e della sua energetica, romantiche e ottimistiche, della sua filosofia della volontà. Credo che sia per questo motivo che Le Différend mi ha fatto tanto penare. E certo non vi si troverà il piacere di scrivere; non cerco neppure il piacere del lettore, il che vuole forse dire: •Non leggetemi». Fabbri. Adotti anche un sistema di montaggio piuttosto anomalo: non sviluppi un discorso continuo, ma una serie di 'concatenamenti', brevi paragrafi che eludono la continuità dell'attesa. Lyotard. Tu1te le volte che rileggo Le Différend, mi accorgo che ogni parag, afo è straordinariamente frustrante: alla fine di ogni 'numero' si potrebbe scrivere: «So what?». In questo senso, si può dire che il percorso è •Sottosviluppato». Maurizio Ferraris. E tuttavia, per quanto in Le Différend non vi sia un filo conduttore esplicito, è però possibile, a /e/tura ultimata, isolare alcuni nuclei tematici. Provo a ricostruirli brevemente, anche 'in beneficio dei lettori', come si dice. Il punto di partenza è la definizione del dissidio - cioè di una situazione, del res/o diffusissima, in cui manca una regola di giudizio capace di dirimere una contesa e di riparare a un torto. Esistono regimi eterogenei di frasi (frasi descrittive, frasi prescrittive, frasi sentimentali...), e non c'è un metalinguaggio capace di organizzarle e gerarchizzarle. Ogni tentativo in questo senso risulterebbe abusivo (esempio classico, la teoria della giustizia in Platone: è giusto ciò che è vero; per cui si fa valere un descrittivo - 'è vero' - come determinante per un prescrittivo - 'è giusto, si deve fare cosi'). Da questa constatazione, lei passa a un esame dei modi in cui si manifesta l'eterogeneità delle famiglie di frasi sul piano del linguaggio (il problema del nome in Kripke, cioè la gnoseologia, la conoscenza linguistica del reale; l'ontologia, la presentazione, il modo in cui lafrast 'accade', è un evento; e la dialettica nel suo rapporto con l'ontologia, il linguaggio e il giudizio). A questo livello, lei analizza con panico/are attenzione (nel Capitolo quinto) il problema dell'etica e dell'obbligazione, a panire da Levinas, nel cui pensiero si riconosce con particolare evidenza il fatto che la frase etica (la prescrizione, l'obbligazione) è costitutivamente eterogenea rispeuo alla frase teoretica (la descrizione), e come l'obbligazione, invece di discendere da una descrizione, da un consenso teoretico, preceda la descrizione stessa. Finalmente, lei suggerisce delle vie per un giudizio che non si avvalga di una omologazione tra descrizione e prescrizione: come giudicare in assenza di regole universali. Un giudizio condotto secondo ciò che Arinotele chiama phronesis, la saggezza, e che consenta di fare la spola in quell'«arcipelago» (espressione di H0lderlin) che I l'eterogeneità delle famiglie di frasi. E la phronesis giudica 'colpo su colpo', avvalendosi di •monogrammi» (espressione kantiana: analogie, 'ideali della sensibilità'), di «segni di Sloria» (ancora Kant: accenni a un al di là della esperienza e degli interessi), di paradossi - nella migliore tradizione sofistica. Si riconosce in questo 'riassunto'? Lyotard. In linea di massima, sì. Ma escluderei che gli ultimi capitoli abbiano la funzione 'risolutiva' che tu attribuisci loro. LA questione resta mollo più aperta. Polltka • gludWo Fabbri. Potremmo allora cominciare dal fondo, dal problema della politica. Nella prospettiva di una eterogeneità di famiglie di frasi, quale viene presentata in Le Différend, il giudizio politico non può avere un valore assoluto o risolutivo. Lyotard. In effetti, vi sono esigenze del regime cognitivo, esigenze del regime sentimentale, esigenze del regime etico. E credo che bisogni lasciarle le une accanto alle altre. Quello che detesto in ciò che si chiama politica è che per essa biso• gna assommare tulti questi regimi eterogenei, e assegnare loro un solo senso, una finalità unica. Fabbri. Quindi il politico non è per te un metadiscorso, un genere dei generi. Ora, non ti pare che questo tuo modello del politico assomigli piuttosto al modo in cui si pensa oggi la scienza? Se non si pone il discorso scientifico come un metalinguaggio che decide del valore dei diversi tipi di pratiche, se si cerca di conferirgli un valore retorico-po/emiCommcnt sauver l'honncur de pcnser co, allora la pratica scientifica si presenta come un puro concatenamento di frasi: gli scienziati rimodellizzano, riposizionano istanze discorsive, ne trasformano le condizioni - poi passano la mano. li discorso è fatto per essere ripreso: il dato è un darsi (BegebenheitJ. Per cui, invece di essere pensaio in termini cumulativi e produttivi, di certezza e verità, il discorso scientifico assume un tono piuttosto disperato: propone frasi che saranno poi smontate perché, per definizione, nella scienza il discorso davvero interessante non è il proprio, ma quello dell'altro, quello che smentisce e non quello che conferma e a cui siamo esposti e soggetti. Spicchi statistici e piramidi ccrvcllichc Lyotard. Sono d'accordo con la tua descrizione del discorso scientifico; ma il politico è diverso, perché include un numero di discorsi molto maggiore di quello compreso nel discorso scientifico. Per questo nel libro insisto molto sull'analisi del dispositivo della deliberazione. che è tipico del discorso politico: comprende un grandissimo numero di generi discorsivi, e nel passaggio dall'uno all'altro vi è sempre l'abisso. Faccio un esempio banale, quello della retorica. È vero che ci sono argomentazioni di tipo retorico nel discorso della scienza; ma se si riduce la scienza a una argomentazione di tipo retorico-persuasivo, bisogna allora abbandonare l'idea stessa di conoscenza. LA retorica scientifica, che pure esiste, è delimitata dalle grandi regole di definizione-fondazione della realtà. li che non vale nel caso del dispositivo politico, nel quale l'argomentazione retorica mira specificameÌtte allapersuasione, intesa come momento costituJivo del politico. Bisogna commuovere. L'ingraso in massa delle frasi appartenenti al genere della retorica e dello poetica ,u:m è una eccezione, ma la regola del genere. Ferraris. E allora il limite, per esempio, della critica della ideologia consistereblll nel ravvisare in una trasparenza di tipo scientifico (penso a Halllrmas, a Ape/) la finalità ottimale del discorso politico ... Lyotard. Si, non si può parlare di ideologia se non si assume un campo cognitivo di referenza, che con.senta di dire: •Ecco la realtà, la trasparenza•. Il che, in definitiva, è una cosa arbitraria: la lotta dei Sofisti contro Platone è impanante proprio perché condotta contro la trasparenza, contro la definizione di un mondo univoco e reale- anche se Platone era un uomo molto più complicato, il suo pensiero non è riducibile a una questione di realtà e di trasparenza. «Accade?» I segni di storia Fabbri. Nell'analisi del politico, il problema non è quindi quello della trasparenza valutato in termini cognitivi. Quello che cerchi è una dimensione più complessa. Pen.so, ad esempio, alla Jet1uradei 'segni di storia': muovendo da Kant, tu mostri come la legittimazione del discorso politico possa avvenire anche per vie che potremmo chiamare 'passionali'. È il caso, prestntato appunto da Kant, de/l'entusiasmo dei tedeschi per la Rivoluzione francese: essi non erano implicati nella rivoluzione, non avevano alcun in1eresse in gioco; eppure si 'infiammavano' per un dato, un darsi passionalmente giusto. La passione va ovviamente intesa nei termini del sublime (è sempre lo carallerizzazione kantiana), non in quelli della effervescenza breve del vino ... Lyotard. Della elezione di Mitte"and! Fabbri. Appunto. Nel discorso sui 'segni di storia' c'è il riconoscimento di un fenomeno •patetico» dotato di una opacità rivelatrice, irriducibile allafrase cognitiva. Una opacità che non fa scandalo, una volta che si sia abbandonata l'ipotesi di •/rasare» la politica in termini di valori cognitivi. Lyotard. Certamente. Per il giudizio politico vi sono indicazioni importanti in ciò che Kant scrive a proposito del giudizio riflettenlt!, nella Critica del giudizio. Il giudizio riflettente, a differenza di quello determinante, l'alido nella Ragion pura, non mira al/'univerJale, a una visione cognitiva del reale. Nel giudizio riflettente è in opera una finalità senza fine 'mondano' (interessi, scopi empirici): dall'esperienza essa trae materia per il proprio giudizio, ma tende verso un al di là de/l'esperienza storica, del consenso politico e della opinione comune. E se nella Terza critic:aquesto giudizio si esercita sulla natura, negli opuscoli politici di Kant - che costituiscono una sorta di Quana critica - il giudizio rifle1tentesi applica appunto al campo della storia e della politica. E in essi vi è l'immagine di un giudizio che riconosce nell'esperienza-le tracce, i segni (i 'segni di storia', appunto: GeschichtszeichenJ di un possibile, di un 'sublime' che va al di là della doxa e degli interessi. Un 'pensabile' che non è 'presentabile' nel mondo, ma che deve guidare il nostro giudizio - un trasparire della giustizia nella storia che non è motivato da alcun interesse pratico. E quale Geschichtszeich Kant fa appunto l'esempio, che ricordavi tu, dell'entusiasmo dei tedeschi o degli italiani per la Rivoluzione dell'89. Fatto inspiegabile per il politico professionista, per colui che Kant chiama •moralista politico», abituato a riconoscere nei conflilti lo scontro di interessi nenamente riconoscibili - fatto, d'altra parte, in cui gli entusiasti scorgono l'annuncio esplicito di una utopia libertaria che sta per realizzarsi. Ma colui che Kant chiama •politico morale», e che non fa una filosofia politica ma una politica filosofica, riconosce nei Geschichtszeichen precisamente dei segni, gli indizi di una finalità a cui tende il genere umano - una finalità che non si compie mai nei falli, ma che deve orientare il nostro giudizio, alimentare la phronesis del giudice. Ferraris. Mi domando, però, se il discorso sui 'segni di storia' non sia comunque venato da un certo spirito dell'uro- ~ pia. L'immagine di un procedere asintonico verso il bene, di -~ cui i segni di storia sareb~ro gli indizi, è stata la base delle 00 teorie politiche alquanto utopistiche o ireniche del neokanti- :S.. smo fra Otto e Novecento (se si vuole, sono appunto la base ~ dei discorsi di Benjamin sulla 'redenzione', su una visione ·~ piuttosto religiosa della storia e dtlla politica). Ora, è vero ~ che i tedeschi si infiammarono per la Rivoluzione francest, -ci.! ma ·sono possibili controesempi negativi: negli anni trenta, ~ molti inglesi, francesi e americani si infiammarono per il ~ nazismo... . Lyotard. A partire da quanto scrivo in Le Difflrend, i:: questo controesempio non è possibile. A differenza della j Rivoluzione francese, che è un.a proiezione sul fu.turo, il i
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