Alfabeta - anno V - n. 55 - dicembre 1983

Prove d'artista Luigi Malerba Il dolort'famasma (Alfabcta 55) Non ho mai avuto ambizioni letterarie, non ho mai pensato di fare lo scrittore e, a differenza di lanti miei compagni di liceo o di universirà, non ho mai scritto nemmeno una poe• sia, lo giuro. Faccio l'ingegnere idraulico, mi occupo di pompe e impianti di irrigazione, ho studiato un nuovo tipo di idrovora veloce per una società multinazionale e sto brevettando una pompa con un si.sremadi autoraffreddamento che le consente di girare a secco anche per ventiquattro ore di seguito senza bruciore l'avvolgimento del motore elettrico. Ho fauo questa premessa per togliere di mezzo ogni possibile equivoco prima di affermare che ho alcuni tratti di somiglianza con Marce/ Proust. Prima di tulio sono asmatico anch'io come lui. Per fortuna i progressi della medicina mi evireranno, spero, di fare la fine del topo in trappola come è successo a quel disgraziato scrittore: a quell'epoca l'asma era una malattia quasi incurabile. Povero Proust, deve aver sofferto come un cane. È anche vero che a lui piaceva soffrire e sentirsi malato e che dalla malattia ha saputo ricavare la sua fortuna letteraria. Forse forse se non esistesse il cortisone sarei diventato anch'io uno scriltore. Che mi importa? Preferisco non soffrire perché io non ho e non ho mLJiavuro ambizioni letterarie e sono del tulio soddisfatto della mia professione di ingegnere idraulico, lo giuro. Ho collocato le mie ambizioni nelle pompe e non ho motivo di pentirmene. E adesso parlerò di un'ollra somiglianza fra me e lo scrirtore francese. Si tratta della memoria. Ho sempre avulo una memoria formidabile ma anche bizzarra e maligna, che ha finito per condizionare gran parte della mia vita e che mi ha spinto proprio in questi giorni a prendere una decisione drammatica e a scrivere questo breve memoriale a metà fra la confessione e l'aulodifesa. del trapano che pene1,ava nella cavi1àdel deme mala10. Mi rt>ndevoconto confusamentt' che si traltava di un dolore mentale perché il dente non c'era più: un caso piu1tos10insolito di effetto senza causa. Ora so che talvolta, dopo una amputazione, il paziente può sentire dei dolori all'arto amputato. I medici lo chiamano dolore-fantasma ma in quei casi si tratta, dicono, di un dolore sordo e ovattato mentre nel mio caso si tra1tavadella replica esatta, sia come intensità che come durata, di un dolore precedente. Nei giorni seguenli ebbi al/re cri.si atrocissime. Bastava per esempio che mi ritornasse alla memoria il momenlo in cui il denti.sta mi estraeva il dente oppure quando me lo tormentava con il trapano a pedale, perché provassi esattamente lo stesso dolore che avevo prova/o nella realtà. Un dolore reale, effe1tivo, perfe11amentelocalizzato, ma al cento per cento di origine mentale. La mia memoria era cosi precisa e efficien/e che spesso, duranle la rappresenlazione di un dolore passato, gli occhi mi si riempivano di lacrime e mi sfuggivano gridi improvvisi. Qualche volta ebbi addirittura la sensazione di avere la faccia gonfia. Mia madre non poieva credere alle spiegazioni che confusamen1e tentavo di imbaslire e volle riportarmi dal denti.sia, convinta che fosse rimasto nella gengiva qualche frammento del dente estratto, e così dovei/i subire una inutile tortura supplementare. Quel trimestre presi quattro in Ialino. Ho parlato delle mie somiglianze con Proust, ma adesso devo parlare anche di una differenza fondamenlale. Men/re Prousl aveva evidentemenle una facollà straordinaria di richiamare alla memoria sensazioni e sentimenti del passato, io ho una facoltà altrettanto slraordinaria di raffigur0re soltanlo i dolori fisici del passalo. Una facoltà del lui/o negativa e inconlrollabile, delerminata da una memoria perversa che mi ha persegui/alo per anni e che, sia pure in altro modo, Devo ri10rnare indietro nel rempo e parlare del mal di ancoro oggi mi avvelena lo vita. Bealo Proust, mi dissi quandenti per rinlracciare il momenlo in cui mi resi conto che la do, a diciannove anni, tu.si per la prima voùa i suoi libri. mia memoria funzionava in modo s/rano e pericoloso. Dun- Bealo lui, mi dicevo, che ha dei ricordi così sottili e raffinati que ho soffer10 molto durante Iulia la mia adolescenza, per il e che riesce a 1uffarsi con piacere den1ro le esperienze del mal di demi. Dolori a/roci contro i quali sembrava non ci passato. La mia memoria mi tonnenlava con ricordi banali, fossero rimedi, dai quali non sapevo come difendermi. Ho di tuu'altro genere: /'i.s1antein cui mi ero schiaccia/o un dilo passaro ore e ore n-!ll'anticamera del dentista, ore e ore sotto con il martello, quello in cui un chiodo arrugginito mi aveva il /rapano, ne ho ancora il ronzio sinistro nelle orecchie. lacerato il palmo di una mono, quello in cui mi ero taglialo il Era il terzo anno di gm:rra e io frequenlavo la quinta memo cadendo su una pietra aguzza e poi quando il medico ginnasio all'Istituto Romognosi. Soffrivo dolori lancinanti mi aveva ricucito la ferita con quotlro punii. Una scottatura, pu un molare destro superiore, avevo perso alcuni giorni di il morso di uno vespa vicino a un occhio, il brucioredell'al· scuola e passato notti intere senza dormire. li denti.sta di cool su una feri1a, un foruncolo dentro al naso, una spina di famiglia era un giganle con la barba che somigliava in modo acacia sotto l'unghia di un piede, questi erano i ricordi che impressionante all'omone cauivo che in certe comiche di mi tornavano alla memoria improvvisamente e a di.stanza di Charlot perseguita il piccolo vagabondo, e COf! lo sua forza anni. Beato Prowl, mi ripetevo. pazzesca piega come fuscelli i lampioni di ferro delle strade. Un giorno il preside del liceo mandò a chiamare mio moQui entra in scena Proust. Se avessi esercitato la mia memoria a ricordare le sensazioni e i sentimenti come lui, forse sarei riuscito anche a sosliluirfi ai ricordi dei dolori fisici che mi tormentavano da anni. Per assimilare lo spirilo di uno scrittore il modo più sicuro è quello di penetrare nel suo mondo linguistico. Così decisi di dedicarmi allo traduzione della suo opera. Oltre al resto la le11uradella versione italiano del primo volume, La s1rada di Swann, mi aveva deluso profondamente e mi era parsa tolmeme grossolana da scoraggiare la lettura dei volumi seguenti. Giò le prime righe mi facevano venire i brividi: «Per molto tempo, mi son coricato presto lo sera. A volte, non appena spento lo candela, mi si chiudevan gli occhi cosi subito che... • Quel «son• e quel «chiudevan• mi sembravano proprio linguaggio da pa"occhia. Man mano che andavo avanti con la lettura mi montavano fiamme di rabbia. La traduzione ero slato fatta da uno scrillrice che forse si sentiva sufficientemenre proustiana perché aveva pubblicalo qualche anno prima un libre/lo di memorie famigliari che aveva avuto qualche fortuna di pubblico. Povero Proust. Incominciai a tradu"e La strada di Swann. Ne traducevo una o due pagine al giorno, facevo molte co"ezioni, rileggevo il lesto originale infinile volte cercando di assimilare i ritmi e la musica del francese. Mi portai dielro questo traduzione dal liceo ali' Università o/remandola agli studi di ingegneria idraulica. Ho molta sensibilità per la scrittura e cone>- sco bene il francese. Credo proprio di avere fallo una bellissima traduzione ma, come ho già detto e ripetulo, non ho mai avuto ambizioni letterarie. La mi.a traduzione aveva soltanlo uno scopo terapeutico e perciò, dopo avere tradotto e co"eno l'ultima pagina, feci un bel pacco con lutti i fogli e andai a gettarlo nel fiutM, anzi nel torreme, che attraversa la mia ciità. Non ho nessun rimpianto, lo giuro. Quello era un geslo libera10rio, uno sfida olla mo/onia, e io mi ero comporUJtocome il malato che «ho deciso• di essere guori/Q e getta via le medicine con cui si era curato fino a q~I momento. Veramente non ero guarito, anche se la cura proustiana aveva ol/enuto un risultato sorprendente. Ormai non ricordavo quasi più i dolori fisici ma soltanJo i dolori che appartenevano alla sfera dei sentimenti. Il mutamenlo era avvenuto lentamente, nel corso di quattro lunghi anni, quanti ne avevo impiegati per tradurre il primo volume del 'opero di Proust. Naturolmente avrei preferito eserciUJrela mia memori.a o ricordare i sentimenti e le sensazioni piacevoli invece di quelle dolorose, ma già mi sembrava di avere realizzato un progruso notevole. Non mi rendevo conto che lo scambio mi avrebbe procuralo guasti ancoro più gravi e che mi ero messo dentro a una trappola infernale con le mie s1essemani. Ques10 denti.sia veniva idolatrato nella mia famig/UJ, era dre e 'lefece dei discorsi ambigui ma piulloslo allarmanti che La mia memoria ormai lavoravo nella nuova direzione amico di mio padre e possedeva un palazzetto nello s/esso la /asciarono scossa e le tolsero almeno in parte lo convinzio- che le avevo imposto. Di tanto in tanlo ricorda110con disapaese dell'Appennino dove noi avevamo a quell'epoca case e ne che le mie fossero soltanto delle furbe finzioni per non gio le parole offensive che il professore di fisica mi aveva terre. Si chiamava Squarcia e ogni volta che sentivo ques10 studiare o per evùare incarichi noiosi nei mesi della villeggia- indirizzalo ,in giorno, di fronte ai suoi assi.s1en1ie a un cognome cosi poco rassicurante mi correvano i brividi per tura. Mi accorsi in seguilo che poco alla volla in famiglia si gruppo di allievi, invitandomi a ritirarmi dall'esame. Mi tutto Il corpo, mo questo non l'ho mai confidalo né a mio erano abituali a trattarmi con qualche attenzione di lroppo, aveva chiamalo «inutile caprone• e tutti si erano messi a padre né a mia madre perché sapevo che si sarebbero irritali come se fossi un ipocondriaco, mo sempre con una com- ridere: Il ricordo improvviso mi faceva rivivere come in un e di.spiaciuli. Il gigante con la barba era un dentista molto prensione e un affetto che mi aiularono a sopportare in que- flash-back quell'offeso sanguinosa e ogni volto, come quel illustre nella città dove io frequentavo le scuole, era anche gli anni lo mia mo/aula. Perché in fondo ancora oggi sono giorno, mi sentivo tremare le ginocchia e salire k vampe al professore nella università locale, godeva insomma di un convinto che si tralla di una ma/auia, anche se i medici che viso. alto prestigio, anche se qualcuno mormorava che c'erano mi visitarono alloro e in seguilo mi guardavano con sospetto Un altro momenlo di sofferenza e di umiliazione lo avevo ormai dentisli più giovani e aggiornali. Ma io dovevo andare e si dichiararono sempre impotenti a curarmi. provalo una manina che due miei compagni di università mi da lui, dal professor Squarcia. Negli anni del liceo un mio compagno mi diede da leggere avevano sbeffeggiato e preso o spintoni, ossoluromente senza Ricordo con infinito strazio il trapano a pedale che usava Siddharta di Hermann Hesse e mi iniziò, sia pure ingenua- ragione, per semplice teppismo, di fronte a una ragazzo di per curare le carie. Aveva anche un apparecchio ele11rico, men/e, ai misteri delle religioni orientali e sopratuuo alle cuieroocredevodiessereinn.amorato. llfanosulmomento bianco e moderno con gli snodi di acciaio lucenle, ma evi- pratiche dello Zen. lo rimasi deluso do quel libro, ma capii mi ave11acolpito solo in superficie, ma in seguito aveva dentemente era affezionato al suo vecchio /rapano verniciato subito che forse nello Zen po1evo lrovare qualche sollievo scatenalo, come in una reazione a caleno, lutte le mie insicudi nero con fregi dorati, proprio come la vecchia macchina alla mio malattia. Mi tuffai in quelle pratiche strane e cercai rezze talenti e mi aveva gettalo in uno straziante nervosismo. da cucire Singer che mia madre /eneva nella casa di campa- in particolare di esercitarmi nel •vuoto men/aie•. I giova- &nza rendermene conto mi ero sorpreso a compo"e pensiegno. La punta del trapano penetrò nel mio molare durante menti furono del lutto modesti e sproporzionati alla mia ri intorno al suicidio ma, fortunatamente, non avevo rinundue o tre interminabili sedure e finalmente, dopo avermi buono volontà e al mio impegno. In rea/Jà i ritmi del mio cia10o ragionare, e ragionando mi ero convinto che gli effetfatto soffrire come un disperalo, il gigante con la barba male non concordavano affatto con quelli necessari o ottene- ti che stavo provocando quel piccolo gesto di teppismo erano decise che non c'era nienre da fare e che bi.sognavastrappar- re il vuoto mentale. Per raggiungere ques/o stato occorreva ossolu1amente sproporzionati alla causa. Nonostante la fucilo, ma lui diceva •es/rarlo•. Chiusi gli occhi per non vedere un estenuanle esercizio di concentrazione e preparazione, dilà e il distacco con cui riuscivo a guardare lo mia situazie>- la pinza che si avvicinava alla mia bocca spalancato, mo mentrelereplichedeidolorifisiciarrivavanoall'improvviso, ne, ogni volto che mi rilornova alla memoria quella scena ormai l'immagine dello strumento d'acciaio lucenre si era assolutamente imprevedibili. Imparai a giocare d'astuzia e, ero cos1re1toa rivivere non sollanto l'umiliazione che avevo stampala sulle mie palpebre abbassate come su un cuscino di ogni volta che arrivava il dolore, io lentavo immediatamente provato al momento del 'offesa ma anche la depressione che velluto rosso. L'immagine delle pinze scomparve soltanto di richiamare alla memoria un vuoto mentale realizzato il ne era seguita. Dove stavano mai i vantaggi di avere sostilui- S:: quando il dolore atroce dello strappo mi fece •vedere le giorno prima o una settimana prima, non imporra quando, to le disfatte sentimenlali ai dolori fisici? Mi venne addirillu• -~ stelle•. Non so perché questa espressione sia caduta in disu- in modo da spiazzare in qualche modo lo memoria del dolo- ra il dubbio di avere peggiorato la si/Uozione, perché questo ~ so. È mollo efficace ma anche esatta, perché certi dolori re. Purtroppo il meccanismo della memoria, che era così volta non vedevo nessuna possibilità di trovare un antidoto Cl. acuii e violenti si accompagnano alla visione intermittente di efficiente e preciso quando si trattava di ricordare un dolore al nuovo corso di ricordi dolorosi. ~ scintille lucenti proprio come le sie/le del firmamenlo. passato, non era altrettanto allivo nel rievocare l'anestetico Ogni volta che riaffiorava uno di q~i brandelli fulminanti Ritornai a casa con la faccia leggermente gonfia e indolen- vuoto mentale. Io speravo che quella teoria mi aiulasse a del passato, la mia men/e reslava come paralizzala e del ! zita per l'anestesia. Levato il dente passato il dolore, diceva raggiungere la emancipazione della menre dal corpo, e quin- tutto incapOCedi qualsiasi reazione. Avevo un bel ripe1ermi: E mia madre per consolarmi. E invece no, il dente era s1ato di dai dolori fisici, mo non avevo tenuto conto che la immo- devi essere cinico, devi ridere di ques1e tue debolezze. Nien1e ~ levaro ma il dolore ritornò a tratti, improvviso e violento, nei bi/ità della men1e che mi proponevo di o/tenere non poteva da fare, questi drammatici flash della memoria mi lasciava- ~ giorni successivi. Un pomeriggio stavo studiando la sintassi agire direttamente sulla memoria. Riuscii tuitavia con questo no compktamente prostralo e onnic/tililo. Per qualche ora C latina, ricordo perfellamente che avevo qualche problema s1ratagemma mistico ad alleviare le cri.sie sopratulto a capire dovevo mettermi sedUlo su una poltrona, possibilmenle al ~ con la perifrastica passiva, quando sentii improvvisamente che qm:I dolore mentale anda110combattu10 nella sua stessa buio, per riprendere il mio equilibrio nervoso con un es~- j un dolore lancinan1e che riproduceva esattamenre il dolore sede e cioè nella memoria. nuante esercizio di relax. Man mano che la memoria mi ~ L_ _____________________________________________________ _.;;

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