(Lavelle, per esempio) si sono ac- · corti dell'indispensabilità del corpo «alla formazione stessa dell'anima»; cosl pensavano e pensano molti altri appartenenti a diverse e talvolta contrapposte correnti di pensiero, inclini a considerare l'individuo come una irrazionale e fastidiosa presenza all'interno delle leggi della natura e della storia. Discorso sulla norma La risposta che si deve dare alla domanda «normale rispetto a che cosa?» non può essere ricavata - salva la sfera psicologica sopra ricordata - che sulla base del sapere biologico: normale rispetto a, o nel senso di, conformità alle caratteristiche morfologico-funzionali della specie. L'asserzione è che il corpo batterico divorato da quei virus che si chiamano appunto batteriofagi, l'arbusto infestato da parassiti, l'uomo con cuore univentricolare, nel quale il sangue venoso refluo si mescola con quello proveniente dal polmone, non sono normali nel senso generico e corrente dell'espressione. In termini diversi, si può dire che il loro adattamento all'ambiente in cui vivono è in qualche misura ridotto o, al limite, del tutto insufficiente. Di fatto, poi, esistono considerevoli difficoltà nel fissare una precisa linea di demarcazione tra normalità e no - ciò che è già implicito nei diversi e perciò insoddisfacenti Ques10 inlervento da noi scello di Senghor è il 1erzo di una serie •Su Marx» che comprende i due precedentemente pubblicati - entrambi provenienti dal convegno a Treviri (/4-16 marzo '83)-di André Gunder Frank (n. 50151) e Samir Amin (n. 52), e qui di seguito tre scritti italiani nuovi (Lavatelli, Spinella, Leonetti). L a teoria delle tappe dello sviluppo economico e sociale esposta da Marx e Engels è ben nota, tanto più che essa è al centro del loro «umanesimo». Come si vedrà, tale sviluppo non è precisamente lineare, bensì uniforme, anche se dialettico. Engels lo riassume in questi termini: «La rivoluzkme cui aspira il socialismo moderno è rappresentata. in breve, dalla vittoria del proletariato sulla borghesia, e dalla nuova organizzazione della società per mezzo della soppressione di tutte le differenze di classe( ... ). Laborghesia è di conseguenza, anche sotto questo aspetto, una condizione preliminare alla rivoluzione socialista». Una lettera di Marx Lo scambio di lettere tra Vera Zasulie e Karl Marx si ricollega a questo problema. Dopo l'indipendenza del 1960, la domanda rivolta dalla populista russa appassiona tanto i socialisti africani quanto i militanti della «negritudine». Ho avuto modo di parlarne nel 1975 al congresso di Tunisi sul Liberalismo pianificato e la via africana al socialismo. Da allora, la questione è stata ripresa da molti studiosi. Tra di essi voglio ricordare Guy Belloncle per un articolo pubblicato nel 1979 dalla rivista Présence africai• ne, il cui sottotitolo è «Nuove riflessioni sulla lettera a Vera ZasuJie». Il 16 febbraio 1881 Vera, in una modi di definire il concetto stesso di norma in generale, nella variabilità degli individui all'interno della specie, nella molteplicità dei termini che indicano le varie forme di scarto dal normale (anomia, anomalia, menomazione, ecc.} secondo criteri diversi. Ma ciò non può essere davvero l'occasione per confondere i due campi, tanto meno quando si pensa alla medicina pratica e al suo essere una tecnica di intervento dove buona parte delle decisioni sono prese in condizioni di incertezza - decisioni, infine, da maturare sulla base di un rigoroso esame di ciascuna situazione ma, d'altra parte, nell'impossibilità morale di un distacco scientifico in senso forte, simile a quello dell'entomologo che interviene sui suoi insetti. È questo uno dei luoghi in cui si riconosce la differenza della medicina rispetto a altre scienze applicate, la sua specificità, il fatto che il suo oggetto immediato appare irriducibile tanto in una prospettiva meramente naturalistica quanto in una troppo insistentemente sociologica. Come a suo tempo aveva sostenuto il patologo Franz Buechner, un corretto approccio alla medicina non può che essere antropologico, nel senso ampio del termine, o consapevole dell'intrinseca «dialetticità» del proprio campo. Vero non vero, anzi neutrale Quanto al tema della neutralità della scienza, è necessario tenere bene distinti i diversi piani sui quali condurre il discorso, se non si vuole ricadere negli stessi dibattiti che spesso portarono in passato a affermazioni deliranti. Distinguendo, c'è il piano dell'asserzione delle scienze intorno ai fenomeni naturali, della quale si può dire soltanto se, e in quale misura, è vera (similmente a quel che intendeva Marx quando dichiarava di non conoscere logaritmi gialli). Vi è poi il piano dominato dal fatto che le esigenze produttive privilegiano talune direzioni di ricerca a scapito di altre, e con ciò è ovvio che - lungi dal corrispondere alle tappe di uno sviluppo interno diretto dal succedersi degli interrogativi - le scienze crescono in funzione di quanto una società vuole ottenere da loro. Ma uno sviluppo distorto, sollecitato e promosso dall'esterno, non cambia niente di quel che si è detto in precedenza: che l'acido lattico si accumuli nei tessuti ogni volta che l'afflusso di ossigeno è deficitario, resta asserzione di un fatto e, per quel che ne sappiamo, vera; predicarne la neutralità o il suo contrario non ha alcun senso. Infine, c'è il piano dell'uso in senso tecnico applicativo: va da sé - già si è detto - che questo è totalmente dipendente dalla realtà sociopolitica, e perfino dalle contingenze locali più variabili. Per tanto, parlare ancora genericamente di non-neutralità delle scienze della natura appare rischioso e fuorviante, perché da un lato svaluta ogni tentativo di delineare qualsiasi conoscenza intersoggettiva, dall'altro crea l'illusione che il mutamento della formazione economico-sociale sia di per sé in grado di risolvere i problemi della m;.1tcrialità dell'uomo. Il quale~ anche fatto di una sostanza che tr,1 1 ,Ut,i attributi annovera l'irrever..1bilc tendenza a disgregare le forme organismiche individuali, e la loro possibilità di alterarsi spesso cosl gravemente da battere sul tempo il compimento naturale della vita. Ne consegue che la morte e il patologico sono fenomeni naturali dei quali si può anche discorrere serenamente, senza che la coscienza comune ne sia sconvolta fino al rifiuto, finché riguardano altre specie. Ma non appena daU'«in sé» si passa al ..per sé» l'argomento viene censurato, espulso dalla sfera della coscienza stessa. La morte, e le forme patologiche che a essa conducono, sono divenute il più vistoso simbolo negativo di questa società: il loro contrasto con il mito del successo sociale e economico, con il buon andamento degli affari, con l'individualismo edonistico, è troppo rude e SenghQr=,p, Treviri lettera, faceva a Marx la seguente richiesta: «Ci rendereste un grande servizio se voleste esporre la vostra opinione sui possibili destini delle nostre comuni, e sulla teoria secondo la quale ogni popolo è costretto, per necessità storica, a percorrere tutte le fasi della produzione capitalistica». Nessun'altra richiesta, se pur presentata come un suggerimento, poteva essere più pertinente. Da ciò l'imbarazzo di Marx che, rivela Belloncle, dovette scrivere «quattro diverse stesure» prima di trovare la risposta giusta. Dopo aver parlato del «malinteso riguardo alla sua presunta teoria», il filosofo socialista cosl precisava nella sua risposta: «L'analisi condotta nel Capitale non offre alcuna ragione pro o contro la vitalità della comune rurale: lo studio particolare che ne ho fatto (... ) mi ha convinto che questa comune è il punto di partenza della rigenerazione sociale russa, anche se, affinché essa possa funzionare come tale, bisognerebbe anzitutto eliminare le influenze deleterie che la colpiscono da ogni parte e, successivamente, assicurare le condizioni normali di uno sviluppo spontaneo». È da questo testo esplicito di Marx, che egli scrisse due anni prima di morire, che noi socialisti senegalesi siamo partiti per tracciare, da un lato, la nost'ra via africana dello sviluppo per tappe e, dall'altro, per riformare, organizzandole, le nostre comuni rurali. All'epoca della conquista francese, a metà del XIX secolo, la nostra società era infatti caratterizzata più dal sistema delle caste che non da quello delle classi socioprofessionali. Dal 1960 in poi, dopo l'indipendenza, abbiamo semplicemente conservato la soppressione delle caste realizzata dalla colonizzazione francese e favorito la mobilità sociale nel quadro di un socialismo democratico, e cioè il libero passaggio, meritocratico, tra le classi socio-professionali. A questo scopo abbiamo adotta• to le importanti riforme di un socialismo democratico, adattandolo alla nostra società preindustriale. È cosl che a suo tempo si è data più importanza all'educazione, alla formazione e alla cultura, per le quali stanziamo il 33 per cento del budget dello Stato, e privilegiato il settore rurale: l'agricoltura, l'alle•• vamento e la pesca. Ne vedremo tra breve le ragioni. Le comuni rurali Passando alla questione delle comuni rurali, dirò che esse erano sostenute, animate, dallo spirito comunitario della società neroafricana .. L'«influenza deleteria» del feudalesimo aveva frattanto fatto sl che il 95 per cento delle terre fosse di proprietà del 15 per cento delle famiglie- risultato non solo disumano, ma soprattutto antieconomico. È per questo che lo Stato socialista democratico ha cominciato a nazionalizzare tutte queste terre tornando al diritto nero-africano originario: al diritto d'uso, esercitato dalla famiglia che coltiva di fatto la terra. Lo Stato ba continuato con una riforma amministrativa delle collettività locali. Se ci siamo ispirati alla Riforma francese per dividere il Senegal in «regioni», •dipartimenti» e «cantoni•, ispirandoci a Marx abbiamo anche trasformato la comune rurale in comunilà rurale. Essa è composta da una dozzina di villaggi o frazioni che contano ognuna da 5 a 15.000 abitanti, possibilmente della stessa etnia e della stessa lingua, ma non necessariamente della stessa religione. Il consiglio rurale, che amministra la comunità, viene eletto per tre quarti a suffragio universale, e per il resto dalle cooperative agricole, dai coltivatori e dai pescatori.( ... ) L'economia sodalista in Africa Il secondo problema su cui vorremmo soffermarci è quello dell'economia socialisla e - all'interno di essa - dei due concetti essenziali della creazione e dell'alienazione. Nel manoscritto postumo intitolato Il lavoro alienato, Marx ci dice che la prima attività dell'uomo è rivolta alla soddisfazione dei suoi «bisogni animali», e cioè il cibo, l'abbigliamento, l'abitazione. Ma a partire dal periodo neolitico, con l'invenzione dell'allevamento, della pesca, dell'agricoltura e dell'artigianato, l'uomo ha iniziato a produrre più beni di quanto richiedessero i suoi bisogni immediati, e a scambiare il surplus per ottenere i beni che non possedeva. Si è alla prima rivoluzione sociale, quella che fa oltrepassare all'uomo le «fasi» o tappe che lo condurranno, in Europa occidentale, dalla «comune rurale» allo Stato borghese, passando attraverso il feudalesimo e la monarchia. L'ultima tappa, che fu quella studiata da Marx, è il capitalismo. È da essa che siamo partiti, ancor prima dell'indipendenza africana del 1960, per preconizzare una rievidente per essere smussato negli angoli più acuti. La stessa idea di dominio della natura, attraverso le scienze e le tecniche, viene ridimensionata dall'ovvia constatazione che esse non riescono neppure a dominare la naturalità dell'uomo. Di più - come osservava a suo tempo Werner Fuchs, - la società contempo-- ranea nasconde e ignora morte e malattia pcrch~ è essa stessa causa di morte e malattia, costituita cioè in modo da anticipare la (l([IJ.Ortc naturale• in un gran numero di casi. La relegazione di tali eventi in ambiti puramente tecnici e isolati è allora un passo obbligato, una semplice questione di coerenza. Se tutto ciò è scontato all'interno del pensiero e della pratica organici alla conservazione dell'attuale stato di cose, non lo è affatto per il pensiero che di questo si definisce critico. E qui occorrerebbe un lungo e complesso discorso per identificare le cause, remote e prossime, della romune riluttam.a a affrontare questi argomenti- dato che, palesemente, non basta il pur generoso sforzo dei pochi che hanno trattato le contraddizioni tipiche dell'istituto della medicina. Il problema è molto più a monte e coinvolge clementi diversi; non ultimo quello del modo, rosi diffuso, di intendere la ragione fuori dal confronto con gli aspetti più oscuri della realtà. voluziou socialista prrchl tkmocratica, ma all'africana.( ... ) Abbiamo iniziato con il porre tennine alla oscillazione degli stipendi nel settore pubblico e abbiamo esortato queUo privato a fare lo stesso. Si è fatto ancora di più, nazionalizzando dò che era nazionalizzabile. Non tanto le •piccole e medie industrie» quanto, oltre i grandi servizi pubblici, quelle che chiamo le «industrie motrici», l'acqua, l'energia, i trasporti, le miniere, ecc. Non dimenticherò le terre che, come si è detto, per il 95 per cento appartenevano per intero aJ 15 per cento delle famiglie. Dunque, anche su questo punto, siamo ritornati alle radici della civiltà nero-africana. Infatti, prima dell'istituzione del feudalesimo, la terra era di proprietà comune - o meglio, era una dea generosa, che si metteva a disposizione della comune rurale, dove ogni fa. miglia esercitava un «diritto d'uso• sulla terra da lei coltivata. Il Senegal socialista è ritornato al «diritto d'uso». Mi domanderete: «Quali sono i risultati di questa politica economica e sociale che si ispira aJ 'socialismo scientifioo'?• Escludendo i Paesi petroliferi, il cui caso è più complesso, è un fatto certo che i Paesi africani meno poveri sono quelli che si rifanno al -socialismo democratico», come la Tunisia, o ~ al «liberismo pianificato», come la <: Costa d'Avorio, il Camerun, il -~ Gabon, senza dimenticare il Ma- c:i.. rocco. Per esempio in Senegal, i Paese sudan~eliano per ca:cl-. ";: lenza, a partire dal 1960- anno ~ dell'indipendenza-fino aJ 1979, si ~ sono contati dieci anni di siccità su 5 ~!~:~;:~:=~i:~ si triplicato, passando da 160 a 463 i::: dollari. ! (Traduzione Ì di Daniela De Agostini) ""ii
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